Jean-Luc Godard, l'ultimo e primo rivoluzionario del cinema

Il suo è stato l'ulltimo gesto di un'esistenza rivoluzionaria e fuori dal coro. Tra amore per il cinema classico e il suo ribaltamento, quello che ci ha lasciato in eredità Jean-Luc Godard è un cinema rivoluzionato e rivoluzionario, dentro e fuori gli sche(r)mi. Il nostro ricordo del papà della Nouvelle Vague.

Un primo piano di Jean-Luc Godard
Un primo piano di Jean-Luc Godard

Per lasciare il segno non basta seguire le regole. Bisogna rivoluzionarle. E tutto il mondo di Jean-Luc Godard è fatto di accettazione e ribaltamenti delle norme, passione e insensibilità per l'ordinario. Ancor prima di scendere in campo, alzare il pugno e manifestare a gran voce, la rivoluzione di Godard si compie sul set. Figlio di quella terra francese in cui per arrivare alla rivoluzione non basta lottare, ma si deve correre in prima linea e spingersi oltre i confini, la battaglia compiuta da Godard e da Truffaut nel mondo della settima arte è stata portata avanti non più a fuoco e fiamme, ma luce e macchina da presa.

Con la morte di Jean-Luc Godard si spegne il primo dei grandi rivoluzionari del cinema, portavoce di un desiderio di cambiamento e irruenza giovanile che tutto ha preso e tutto ha mutato. Senza Godard non avremmo avuto Martin Scorsese, Bernardo Bertolucci, Xavier Dolan, Paolo Sorrentino o Quentin Tarantino. Senza Jean-Luc Godard non avremmo avuto quella traduzione in codice cinematografico del bisogno giovanile non più e non solo di evasione, ma di comunicazione e conoscenza. Tra le mani di Jean-Luc Godard la macchina da presa si fa osservatore e creatore di nuove realtà, testimone di cose e persone immortalate nell'ambiguità del reale. Funambolo talentuoso, Godard ha camminato in equilibrio tra l'amore per il cinema classico e la sua destrutturazione, perché solo chi conosce le regole del gioco può ribaltarle per creare nuovi mondi, nuovi linguaggi. E allora, in ricordo del regista nato a Parigi il 3 dicembre 1930, e morto in Svizzera il 13 settembre 2022, scopriamo perché Godard è da considerarsi il primo e ultimo grande rivoluzionario del cinema.

Jean-Luc Godard in una foto che lo ritrae
Jean-Luc Godard in una foto che lo ritrae

GIOCO RIVOLUZIONARIO DI SGUARDI

Jean-Luc Godard in una foto dal set
Jean-Luc Godard in una foto dal set

Sguardi dritti in camera (Fino all'ultimo respiro), oppure disattesi e traditi, ritardati nella loro rivelazione (Questa è la mia vita), bassi e reduplicati. È un gioco di sguardi quello che vive e si apre dinnanzi all'obiettivo di Jean-Luc Godard. Una rete di espressioni che raccolgono in nuce tutta quella portata rivoluzionaria che caratterizza l'opera del regista parigino. Un mondo di occhi nuovi, che vivono sulla scia di quelli immortalati dal cinema classico americano, ma che adesso vengono investiti di un'aura innovativa e del tutto inedita. Non ha paura di screditare e tradire la regola base dei codici classici, Godard. Quei codici che, sulla scorta della reduplicazione fedele della realtà, e della trasparenza del racconto, non ammette dialoghi diretti tra personaggi e spettatori. Ma per Godard il regista prima, e lo spettatore poi, non devono limitarsi a semplici "peeping tom" o guardoni che spiano dal buco della serratura; sono essi stessi complici e parte del gioco di realizzazione della storia, creano e distruggono, colmano lacune e investono di nuove informazioni lo sviluppo del racconto sulla scorta di esperienze personali. E così, ecco che i personaggi di Godard si rivolgono direttamente alla cinepresa, e grazie ad essa agli stessi spettatori. Sono uomini e donne che si fanno rivelatori di nuove realtà possibili, ma che allo stesso tempo rivelano la fattura fittizia della propria esistenza. Trasgredisce alle regola del "cinéma du papa", Godard, con interpellazioni dirette, sguardi in camera, oppure alla loro totale negazione. È alla portata di un viso che si segna il punto di partenza di quella linea di demarcazione che nel mondo del cinema, come ricordava Bertolucci, segna "un pre e un post Godard". Un gioco di sguardi, e di dita che toccano le labbra, che tutto prende e tutto sconvolge, mentre le regole implodono e la rivoluzione prende vita.

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DISUNIRE IL MONTAGGIO

The Image Book: Godard in un'immagine promozionale
The Image Book: Godard in un'immagine promozionale

In un mondo in cui tutto è chiamato a farsi replica perfetta della realtà, dove non c'è spazio per freni e ostacoli nel racconto, il montaggio si fa linea continua di una vita che nasce, si sviluppa e si perde per sempre, tra epiloghi felici, o conclusioni dolorose. Jean-Luc Godard quella linea narrativa di matrice classica la conosce bene; consumatore bulimico del cinema americano, il regista prende la propria opera, la ripone su quella nata dal giacimento aureo dei codici classici, e inizia a tratteggiarla per poi decostruirla, cancellarla, tagliuzzarla e riunirla a proprio piacimento. Il montaggio di Godard è disunito, scomposto, poco lineare. Sono esplosioni improvvise, le sue azioni: sono gesti e momenti che iniziano, si ripetono, ma non si concludono; dialoghi che partono sullo sfondo di un viale, per poi continuare e concludersi sulla scia di altri ambienti lontani tra loro. È un montaggio dove l'immagine fa a pugni con il sonoro; un montaggio che taglia come una forbice tremolante non solo la linearità della narrazione tradizionale, ma anche i contorni e le forme dei corpi dei propri protagonisti (si pensi a Una donna sposata) e i luoghi e gli ambienti che fanno da sfondo alle vicende, ora ridottisi in frammenti, sprazzi di ricordi, e momenti effimeri pronti a essere presi e persi per sempre (si pensi alla Parigi di Due o tre cose che so di lei, o di Bande à part). Un processo di taglia e cuci compiuto non più per raccontare filologicamente e realisticamente una storia, quanto per tratteggiare e ricostruire secondo diramazione personali, intimistiche e interiori, vite suggerite, sussurrate, mostrate a metà e per questo completate dalla fantasia dello spettatore. Un processo nuovo di immedesimazione spettatoriale che adesso mostra non più cosa c'è tra le azioni e le relazioni, quanto piuttosto cosa si nasconde tra di esse, come un segreto celato, o un ricordo rimosso.

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LA RIVOLUZIONE DEL CINEMA COME ATTO D'AMORE

Godard E Truffaut
Jean-Luc Godard e François Truffaut

Tutto nasce da un amore viscerale per il cinema. Una passione così forte, così potente, che porta Jean-Luc Godard a vestire la settima arte di abiti nuovi, perché in quelli vecchi, sfilacciati, logori con cui era stata rivestita dal cinema classico americano, la sua generazione non si ritrova più. Si muove tra le viscere della sua produzione la necessità impellente di far emergere la potenza suggestiva del linguaggio filmico, e quindi del cinema stesso, e per farlo Godard compie un'interessante operazione di richiamo e citazione diretta dei miti e archetipi del cinema classico, inserendoli in un universo in cui tutto implode e disorienta lo spettatore. C'è l'icona di Humphrey Bogart e del genere gangster su cui costruire il proprio anti-eroe Michel in Fino all'ultimo respiro; recupera la suddivisione in quadri cara e tipica del cinema muto per raccontare in Questa è la mia vita la caduta di un personaggio da bandire nel racconto classico, perché prostituta, e qui invece elevato a donna da santificare; segue, per poi distruggere, il canovaccio dell'opera fantascientifica in Agente Lemmy Caution, missione Alphaville filmando Parigi per mezzo di lunghissimi carrelli così da donarle una nuova natura, da pianeta sconosciuto (operazione emulata anche da Stanley Kubrick nel suo capolavoro 2001: Odissea nello spazio).

The Image Book: Godard in un'immagine del suo nuovo film
The Image Book: Godard in un'immagine del suo nuovo film

Miscellanee di frammenti riconoscibili, perché presi in prestito da opere classiche, e per questo conosciute e consumate dal grande pubblico. Godard riscrive la storia del cinema entrando negli inframezzi delle relazioni, mostrando ciò che l'occhio non vede perché rimasto incastrato tra i non detti e i lunghi silenzi. Un gioco continuo di ripresa del cinema dei padri, per rinnovarlo con gli occhi dei giovani, che tornerà dopo la fase militante marxista, quando la tecnologia e le infinite possibilità promesse dal media televisivo, stuzziccheranno di nuovo l'immaginazione e la fantasia del regista, per annullare la distanza tra sé e il proprio pubblico. Così è stato per Adieu au langage, o Éloge de l'amour dove gli strumenti del mestiere si fanno colla vinilica con cui unire e allontanare parole, detti, inversioni di colore che, come tessere di un puzzle, colpiscono e parlano alla mente del pubblico innescando continui processi di associazioni di idee e pensieri intimi e personali.

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Jean-Luc Godard
Jean-Luc Godard

"Dietro la realtà c'è la finzione, ma dietro la finzione c'è di nuovo la realtà": c'è un legame stretto, ambiguo e univoco che vive e unisce la realtà al cinema. Una relazione chimica, un'attrazione e un'alchimia dirompente che Godard, insieme agli altri grandi esponenti della Nouvelle Vague, si è sempre ripromesso di mostrare e tradurre in arte. Tra tradizione e innovazione, Godard alza il proprio stendardo e inizia la sua rivoluzione, soverchiando il cinema classico per aprire il fronte a quello moderno, demolendo le figure paterne per imporre un nuovo tipo di stile, più giovane, più innovativo, più autoriflessivo. Una messa in scena dei giochi del mestiere, i cui lasciti sono eredità custodite e rimaneggiate da bambini e studenti ora diventati adulti e maestri (Guadagnino, Bertolucci, Scorsese, Schrader), che hanno assimilato la lezione rendendola eterna, proprio come eterno sarà il nome di Jean-Luc Godard nel firmamento di quel mondo che lui stesso ha tentato di ribaltare, modernizzare, rivoluzionare.