Je suis Karl, la recensione: messaggio chiaro, provocazione vuota

La recensione di Je suis Karl, film tedesco diretto da Christian Schwochow e disponibile su Netflix, che racconta le derive estremiste di rabbia e paura giovanile.

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Je suis Karl: una sequenza del film

Vogliamo iniziare la nostra recensione di Je suis Karl proprio nell'analizzare il titolo di questo film tedesco disponibile in catalogo su Netflix e presentato al virtuale Festival di Berlino 2021. Necessario farlo perché la scelta di richiamare uno slogan noto per motivi tragici, il Je suis Charlie usato dopo l'attentato alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, dimostra come il film di Christian Schwochow intenda capovolgere continuamente il punto di vista, provocando lo spettatore. Una provocazione che, nei confronti di quello che è davvero il messaggio del film, rischia di sembrare gratuita e fuori luogo, nonostante se ne possa apprezzare l'idea di fondo. Raccontando la storia di rabbia e paura giovanile che trasporta la generazione di protagonisti ad abbracciare ideologie di stampo estremista, fascista e neo-nazista, il film, nonostante un finale inequivocabile, non sembra dare un giusto equilibrio nel legame che unisce i giovani inascoltati alla xenofobia.

Il fascino del male

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Je suis Karl: una sequenza

Protagonista della vicenda è la giovane Maxi, figlia maggiore di una coppia cresciuta con valori di solidarietà e buona morale. Lei e il padre saranno gli unici sopravvissuti della loro famiglia, composta anche da due fratellini più piccoli, dopo l'esplosione di un pacco bomba nel loro appartamento. Il dolore della perdita improvvisa e la rabbia di non trovare alcun colpevole, porta il padre in un abisso depressivo e Maxi a unirsi a un gruppo di giovani, intenti nella loro accademia estiva dal nome Rigenerazione, a condividere la volontà di far sentire la propria voce, in un mondo come quello degli adulti che sembra non interessarsi a loro. A capo di quest'accademia c'è il venticinquenne Karl, di bell'aspetto e amato da tutti, e che in realtà è l'autore dell'attentato. Maxi si ritroverà a sua insaputa a unirsi ai carnefici della sua famiglia, che al di là dell'immagine social incarnano idee politiche neonaziste, e che sono pronti a preparare un attacco più grosso per "svegliare le coscienze" e compiere un colpo di Stato. Rimanendo legati al punto di vista di Maxi, lo spettatore è costretto, di conseguenza, a unirsi al gruppo di estremisti, abbracciandone le convinzioni estremiste e immergendosi in quest'ambiente che risulta a tratti pure fascinoso.

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Una storia di dolore e rabbia

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Je suis Karl: un momento del film

Il gruppo Rigenerazione vuole vedere il mondo bruciare, e il film stesso sembra voler giocare col fuoco, rischiando più di qualche volta un po' troppo nel voler mettere in scena sotto una luce per gran parte positiva ciò che, invece, andrebbe condannato. Si percepisce che la rabbia giovanile e la discesa verso certe convinzioni è provocata dalla rottura e dall'incomunicabilità tra vecchie e nuove generazioni. Risulta, invece, troppo repentino e poco comprensibile, sempre in relazione alla narrazione del film, perché una generazione così distante dai padri sembri abbracciare valori tradizionalisti e xenofobi, di chiusura al mondo. Nel caso della protagonista Maxi, inoltre, il suo cambiamento appare repentino, data l'educazione positiva dei propri genitori. Funziona molto di più, invece, quando il film mette in luce che è grazie alla paura e al dolore che, pur di incolpare qualcuno, si scelga di sprofondare in idee politiche più facili ed estreme, come reazione nell'elaborazione di un profondo lutto. In questo il film mostra il meglio di sé nella prima metà, anche se, soprattutto quando si concentra sul personaggio del padre, a lungo andare qualche scelta narrativa rischia di causare reazioni di ridicolo involontario.

Un buon cast e una scrittura altalenante

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Je suis Karl: un'immagine del film

Regge bene il cast di attori, anche se nel caso del Karl interpretato da Jannis Niewöhner la scrittura non definisce al meglio il personaggio rendendolo fin troppo legato ai clichés del "bello e dannato". La vera rivelazione è Luna Wedler, capace di donare a Maxi non solo un ottimo ritratto del dolore e della frustrazione, ma anche di costruire un personaggio davvero tridimensionale, a volte vittima degli eventi e della visceralità, altre più razionale e distante dal mondo di cui cade affascinata. Anche Milan Pescher, con un ruolo molto roccioso e inamovibile come quello del padre Alex, sa come mettere in scena la propria incapacità e lo smarrimento. Tuttavia quest'ultimo paga dazio di essere protagonista di alcune delle scene meno coerenti rispetto al tono del film, risultando a tratti sin troppo macchiettistico. Complice una scrittura che a volte sembra perdere anch'essa l'orientamento, perdendosi in vacue provocazioni (è il caso dell'insistenza con cui si raffigurano i social network, diventando uno strumento giovanile pericoloso e quindi da esorcizzare, o l'eccessiva rappresentazione dei gruppi di estrema destra). Si ha come la sensazione che, nonostante voglia sottolineare come ci sia bisogno di un ascolto da parte degli adulti nei confronti dei giovani, nell'avere un obbligo morale a non lasciarli soli, il film intenda prediligere comunque un mondo antico, più passivo, più silenzioso, quale quello contro cui, nella maniera sbagliata, combattono le nuove generazioni.

Conclusioni

A conclusione della nostra recensione di Je suis Karl possiamo apprezzare un buon cast, capace di buone performance, in un film che, invece, dal punto di vista della scrittura mostra qualche disequilibrio. Provocatorio eppure canonico, reazionario eppure conservatore, il film tedesco funziona di più quando vuole mostrare le conseguenze di un dolore inespresso e molto meno quando cerca di inserire il tutto in un discorso politico.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
2.5/5

Perché ci piace

  • Le buone performance del cast, in particolare della protagonista Luna Wedler.
  • Il modo in cui rappresenta il dolore, l’elaborazione del lutto e la rabbia giovanile.

Cosa non va

  • La scrittura disequilibra il film che rimane a metà strada tra un messaggio di cambiamento e uno più conservatore.
  • Alcune provocazioni, tra cui quella del titolo, appaiono gratuite ed esagerate.