Anche ai grandi capita di inciampare. Ne sono una riprova Jean-Pierre Dardenne e Luc Dardenne, i venerati cineasti belgi che dal loro esordio nel 1996 con La promesse hanno collezionato premi, encomi e attestati di stima più di ogni altro regista europeo in circolazione. Il loro ultimo film, La ragazza senza nome, è riuscito a racimolare pochissimi applausi da parte della critica al Festival di Cannes, motivo per cui i fratelli Dardenne hanno deciso di rimettere mano al montaggio.
La pellicola, che vede protagonista la nuova star del cinema francese Adele Haenel, racconta il percorso di redenzione di una dottoressa determinata a scoprire l'identità di una giovane clandestina trovata morta nelle vicinanze del suo studio. Pentita per non averle prestato soccorso, la donna proverà in ogni modo a restituire dignità alla vita di una ragazza di cui nessuno sembra conoscere nemmeno il nome e che viene seppellita nella generale indifferenza.
In occasione dell'uscita nelle sale del film a partire dal 27 ottobre (in circa 70 sale) li abbiamo incontrati per capire cosa ha condizionato le loro scelte pre e post Cannes e per discutere il motivo per cui continuano a credere nel loro progetto.
Il dietrofront
Leggendo il diario di Luc, Dietro ai nostri occhi, è facile comprendere il metodo estremamente meticoloso con cui ideate i vostri film. Cos'è andato storto questa volta?
Luc Dardenne: Il metodo è rimasto lo stesso, ovvero una lunga fase di prove con gli attori prima delle riprese e una forte attenzione ad ogni dettaglio. Quello che è cambiato rispetto alle altre volte è stata la mancanza di una pausa tra la fase di riprese e quella di montaggio. Solitamente nel mezzo andiamo in vacanza, in questo caso siamo stati forse un po' troppo frettolosi. Non lo faremo mai più!
Quando vi siete accorti che c'era qualcosa che non andava?
Luc Dardenne: Già qualche giorno prima del Festival di Cannes eravamo insicuri sulla versione finale da presentare. Alla première abbiamo avuto la riprova che il film aveva qualche problema di ritmo dovuto alla mancanza di armonia tra la sfera professionale della dottoressa Jenny (la protagonista del film, n.d.r.) e la sua indagine sull'identità della ragazza uccisa.
Cosa avete cambiato per porre rimedio a questo squilibrio?
Luc Dardenne: Non si è trattato di un vero ri-montaggio. Ci è bastato un pomeriggio. Ci siamo limitati ad accorciare delle sequenze. Di solito giriamo dei lunghi piani sequenza che ci trasmettono delle emozioni molto forti. Ecco perché quella pausa tra le riprese e il montaggio è essenziale per avere la giusta distanza in fase di post-produzione.
Lo specchio della società
Dopo Due giorni, una notte ancora una donna protagonista. Come mai questa scelta?
Jean Pierre Dardenne: Non abbiamo mai pensato ad un dottore ma abbiamo avuto in mente fin da subito l'immagine di una dottoressa. Crediamo che le donne siano capaci più degli uomini di misurare la temperatura della nostra società. Da uomini troviamo inoltre più stimolante lavorare con attori del sesso opposto.
Adèle Haenal è costretta a relazionarsi per tutto il film con un personaggio inesistente. Come avete gestito questa tensione?
Luc Dardenne: Abbiamo lavorato sull'assenza e sul vuoto. Per noi la ragazza senza nome è una presenza spettrale, come quella del fotogramma in bianco e nero che Jenny mostra incessantemente a chiunque incontri pur di risalire alla sua identità. Mai come in questo film i silenzi sono la chiave per arrivare a decifrare le parole. Come se lo spettatore sia in costante attesa che i personaggi si liberino del peso che portano dentro.
The sound of silence
Per questo motivo siete tornati all'assenza di soundtrack?
Luc Dardenne: Sì, in questo caso il silenzio era funzionale. Ci serviva a sollecitare le parole. L'abbiamo utilizzato come un altro regista si sarebbe servito della colonna sonora in senso affermativo. Tramite il silenzio Jenny sceglie di condividere la propria colpa e induce anche gli altri a parlare. Il suo compito è quello di riaccogliere la ragazza senza nome nella grande famiglia dell'umanità.
L'assunzione di responsabilità nel film è una scelta più cinematografica o politica, ammesso che ci siamo una differenza tra le due?
Jean Pierre Dardenne: L'obiettivo del nostro cinema è quello di rendere tutti un po' più umani. Ecco perché la nostra Jenny si impegna a rendere tutti partecipi della sua condizioni. Per citare I fratelli Karamazov di Dostoevskij "Siamo tutti colpevoli e io lo sono più di tutti".