Delle sorti di un film, il merito (o il demerito) va sempre quasi esclusivamente al regista. E per quanto questo sia comprensibile, e giusto, è altrettanto doveroso prendere in considerazione l'apporto di altre figure, alcune delle quali stanno acquisendo negli ultimi anni, con il ruolo sempre più centrale assunto dalle tecnologie digitali nell'ambito dell'intrattenimento cinematografico, un peso di notevole importanza. L'intervento di Joe Letteri, supervisore degli effetti speciali di Avatar e in vista, scaramanzia permettendo, del suo quarto Oscar, ci offre quindi un privilegiato punto di osservazione sulle ampie possibilità offerte dalla tecnologia stereoscopica (ma non solo) agli addetti ai lavori e, di riflesso, anche allo spettatore. Perché un film è fatto tanto di storie quanto di tecnica, ed è la maniera in cui questi due elementi si integrano e si influenzano a vicenda a determinare la fortuna di un'opera d'arte, ad avere la possibilità di dare vita a mondi e linguaggi fino a un attimo prima inimmaginabili. Il keynote incentrato sul making of di Avatar è stato preceduto da un'intervista in cui Letteri fa il punto sui progressi realizzati finora dalla tecnologia stereoscopica, e ne immagina il prossimo futuro.
Quali sono le novità tecniche che ha messo in campo per realizzare Avatar?
Joe Letteri: Abbiamo dovuto fare il modo che il regista potesse lavorare contemporaneamente sul mondo reale e su quello virtuale, trattando però quest'ultimo come se fosse reale anch'esso. Questo è stato possibile grazie all'uso di una particolare macchina da presa, una "virtual camera", per l'appunto, che permetteva di vedere gli attori in carne e ossa e gli elementi in computer grafica in contemporanea.
Quali sono le prossime sfide per quanto riguarda il motion capture?
Joe Letteri: Il campo è più che mai aperto a tantissime alternative, non si può dire a priori quale sarà l'evoluzione di questa tecnologia, molto dipenderà dalle intenzioni del regista, di volta in volta.
Joe Letteri: Dopo aver finito Titanic, James Cameron voleva esplorare questo nuovo modo di fare cinema ed avvicinarsi ad esso nella maniera più corretta possibile. Proprio per questo ha girato diversi documentari, in modo da rendersi conto non soltanto dei problemi di natura tecnica, ma anche delle potenzialità espressive, in effetti grammaticali, offerte dalla tecnologia. Il suo intento era quello di usare la stereoscopia in maniera realistica, a differenza di quanto fatto in precedenza, in cui le scene 3d venivano aggiunte al girato in una fase successiva. Il risultato doveva essere credibile, rispecchiare la visione attraverso gli occhi di un essere umano, e in questo senso un'altra problematica importante è stata quella del montaggio, per il quale si doveva identificare esattamente quale fosse il punto di fuoco dell'azione.
Le scene d'azione sono quindi state le più difficoltose da realizzare?
Joe Letteri: Si, sono state le più difficili soprattutto per quanto riguarda la gestione della profondità: non bisogna indirizzare soltanto l'immagine, ma l'intero spazio tridimensionale. Bisogna lasciare "respirare" la scena, e la stessa difficoltà si ha nei passaggi rapidi da un campo lungo a un primo piano.
La rivoluzione del 3d è paragonabile a quella dell'introduzione del sonoro? Prima o poi tutti i registi si "convertiranno" alla stereoscopia?
Joe Letteri: penso che ormai questo sia un approccio comune, molti hanno già questo punto di riferimento e cominciano a interrogarsi su come il proprio film possa essere adattato a questa nuova visione.
Joe Letteri: So che molti produttori stanno già lavorando ad alcuni modelli di televisore con stereoscopia, ma io credo che il vero godimento dell'esperienza in 3d si abbia sul grande schermo, in cui è il mondo che viene verso di te, e non sei tu a dover entrare dentro di esso.
E una visione in 3d senza occhiali sarà fattibile secondo lei?
Joe Letteri: Credo che anche questa sia una possibilità prossima. Qualcosa si sta sviluppando, ma non ancora a livello cinematografico.
A cosa si è ispirato Cameron per la costruzione di Pandora?
Joe Letteri: Cameron è sempre stato affascinato dal mondo sottomarino, si può dire che Pandora sia un universo terracqueo, perché è un connubio tra gli elementi sottomarini, che Cameron adora esplorare, e quelli terreni: la giungla doveva essere riconoscibile.
Finora il 3d è stato impiegato nell'ambito del genere fantasy. Crede che in futuro potrà essere appannaggio di altri generi?
Joe Letteri: Credo di si, tanti registi stanno già prendendo in considerazione questa tecnologia, spinti dal desiderio di aumentare l'esperienza visiva offerta dalla propria pellicola.
Joe Letteri: In verità è già stato utilizzato a questo scopo, anche in Avatar molti degli attori non erano in carne e ossa: ad esempio molti dei soldati nella battaglia finale, o i protagonisti di alcune scene stunt. Sarà anche possibile far rivivere attori scomparsi, ma questa è una problematica legata a diversi pro e contro, sarà il regista a doversi chiedere se sia una scelta giusta.
Dietro la lavorazione di questo film ci sono tantissime figure professionali. Lei in questo senso si definisce più artigiano o scienziato?
Joe Letteri: A questo film hanno lavorato più di mille persone, esperti delle più svariate discipline, ma sempre di grande talento, che hanno contribuito tutti insieme con le proprie idee. Ovviamente guidati da Cameron, che ha sì delle idee molto precise ma è sempre stato aperto e collaborativo. Siamo tutti artigiani e scienziati insieme.
Avete inventato un modo che sembra ancora più vero del nostro. Pensa che in futuro queste tecnologie potranno simulare qualsiasi cosa, ad esempio uno sbarco su Marte?
Joe Letteri: La possibilità c'è, ma non riesco a pensare che un governo possa decidere di spendere una fortuna su un'idea come questa!
Per quanto riguarda i veicoli, anch'essi hanno in alcuni casi avuto bisogno di una controparte reale: il Samson utilizzato come velivolo è stato ad esempio parzialmente ricostruito, nonostante nella maggior parte dei casi i filmati del modello fisico hanno dovuto subire un'integrazione digitale, specie per quanto riguarda l'illuminazione. Un altro obiettivo tecnico che Letteri ci confessa essersi posto con particolare entusiasmo è stato quello di ricreare un'acqua il più realistica possibile: a differenza, infatti, delle precedenti pellicole, in cui si riprendeva semplicemente "vera acqua", qui non è stato possibile lavorare in questo modo in virtù dell'impiego della tecnologia stereoscopica. Una particolare attenzione è stata riposta nel comportamento dei vestiti bagnati e nella velocità dello scorrimento del volume d'acqua. La mole di dati da interpolare era impressionante: per animare una scena di pochi secondi, in cui alte onde si infrangono con una scogliera, è stata necessaria una settimana di rendering.
Il mondo di Avatar è fatto non solo di uomini e na'vi, ma anche di altre creature: ad esempio le banshee, cavalcature volanti del popolo azzurro, per le quali sono stati necessari veri e propri studi comportamentali per comprendere in che modo avrebbero dovuto interfacciarsi con i loro "piloti", e per i quali Cameron ha voluto fossero utilizzati colori vivaci, normalmente appannaggio di rettili di dimensioni di gran lunga inferiori. Un altro punto critico per i tecnici degli effetti speciali è stata l'illuminazione: tradizionalmente, infatti, è sempre stato impossibile ripetere digitalmente il comportamento della luce nel mondo reale. Letteri ha bypassato il problema grazie all'uso delle spherical harmonics, grazie alle quali la direzione e l'intensità della luce è decodificata in ogni punto, così come la sua interazione con l'ambiente. A dimostrazione di quanto questo aspetto sia stato curato, Letteri ci ha mostrato in dettaglio la riflessione di un raggio di luce cangiante sul viso e sulla pupilla di Neytiri: un'esperienza praticamente indistinguibile da quella reale.
A rendere possibile la storia di Jake Sully su Pandora è la corrispondenza fisica tra il proprio sistema nervoso e quello del proprio avatar: allo stesso modo, a rendere estremamente realistica l'apparenza dei na'vi è l'aver ricreato il comportamento dei muscoli umani, e di conseguenza la loro interazione con ossa, grasso e pelle. Un risultato possibile grazie alla ricostruzione completa del sistema muscolare na'vi: e se ai più attenti questo non sembra impressionante, in quanto la Weta aveva già dichiarato all'epoca de Il signore degli anelli di aver ricostruito i muscoli di uruk'hai e soci, Letteri ci svela invece che in quel caso vennero ricreati sono i movimenti muscolari, e non la struttura in sé. In tema di confessioni, il nostro ospite deve fare una concessione alla superiorità dell'uomo rispetto alla macchina: molto spesso, confessa, i semplici dati della motion capture non sono sufficienti per raggiungere il grado di realismo desiderato, e in quel caso la gestione del movimento deve tornare nelle mani di un animatore in carne e ossa.
Nonostante Joe Letteri sia il sovrano incontrastato della computer grafica, quindi, è ben lungi dallo sminuire l'apporto umano all'esperienza cinematografica: a chi gli chiede se i suoi esseri perfetti prenderanno mai il posto degli uomini in carne e ossa, risponde semplicemente che "gli uomini non sono perfetti, e quindi nemmeno i na'vi lo sono: ho cercato di ricreare quella magnifica imperfezione. Senza gli attori non sarebbe mai stato possibile ottenere un simile risultato: è grazie al talento di Zoe Saldana se il personaggio di Neytiri subisce un'evoluzione durante la pellicola. Per quanto teoricamente sia possibile, non mi sognerei mai di falsare l'interpretazione di un attore attribuendo alla sua controparte digitale espressioni e atteggiamenti non originali". Difficile, quindi, immaginare un universo cinematografico completamente in digitale, se persino colui che ha azzerato le differenze tra reale e virtuale non dà credito a questa prospettiva, e tutto sommato questa è forse la strada più equilibrata e utile da percorrere.