Il reiserimento sociale degli zombi
Cosa succede se all'improvviso milioni di morti escono dalle tombe e si presentano non come macabri zombie, ma come individui puliti e perfettamente vestiti? Felicità? Commozione? Festa? Macché, il problema è quello del reinserimento sociale. Anche perché i redivivi, a parte una temperatura corporea più bassa e uno stato un po' più catatonico del normale, sono persone più o meno come erano prima, capaci perfino di fare l'amore. Con la strana abitudine di riunirsi fra loro di notte.
E' la provocazione del regista francese Robin Campillo, al quale però bisognerebbe chiedere com'è che questi nuovi zombi se ne escano fuori dai cimiteri vestiti in abiti sportivi e non, quantomeno, con quelli con cui erano stati sepolti. Detto questo e dell'inizio davvero curioso e accattivante, va certamente riconosciuta la bella riflessione sul difficile rapporto con la diversità, perfino quella dei parenti morti, difficili da accettare anche per i familiari che ormai il loro lutto lo avevano elaborato.
Una parabola sulla società moderna incapace di accettare qualsiasi intrusione, perfino quella degli affetti di ritorno. Ma è anche un problema di lavoro, pensioni, un'esplosione sociale e affettiva che prometteva uno svolgimento pirotecnico e non lo stato catatonico a cui Campillo dopo i primi minuti riduce lo spettatore, forse volendone fare un nuovo zombi. Perché purtroppo il regista francese tratta la scottante materia con un ritmo che dire soporifero è poco. La lentezza dello svolgimento e dei dialoghi rasenta l'immobilità assoluta, e probabilmente per arrivare a una lunghezza da lungometraggio bisognava inventarsi qualcos'altro oltre l'ottimo incipit. E che non si sapeva davvero dove andare lo dimostra anche il criptico finale.