La storia di Romolo e Remo ha una forte valenza simbolica per Roma e i romani. I due gemelli cresciuti dalla lupa, con il loro sacrificio, sono i fondatori del più grande Impero che abbiamo conosciuto nei secoli. Gli iniziatori di un concetto di comunità che, forse, oggi abbiamo iniziato a dimenticare. Romolo - appunto Il Primo Re di cui narra il film di Matteo Rovere che vedremo in sala dal 31 gennaio - il 21 aprile 753 a.C. tracciò la linea di confine che avrebbe segnato l'inizio della costruzione di Roma sul colle Palatino. Comunità alla quale erano invitati criminali, schiavi fuggiti, esiliati e altri reietti a unirsi a lui con la promessa del diritto d'asilo. Romolo fondò la prima grande civiltà basata sull'uguaglianza: una comunità disposta a ricorrere alla violenza solo se attaccata, unita dal senso di condivisione e reciproca protezione. A guardar oggi, sembra che la lezione di Romolo sia stata persa nel tempo e che, invece, perduri la volontà di Remo, talmente spaventato dal volere degli Dei che decise di dichiararsi "Dio" a sua volta, volendo fondare una civiltà basata sul terrore, sul potere e sulla sottomissione.
Alessandro Borghi e Alessio Lapice sono i protagonisti di questa storia ferma nel tempo, di cui abbiamo parlato anche nella nostra recensione de Il primo Re. Remo e Romolo. Due fratelli. Due individui diversi ma al tempo stesso un'unica entità che rappresenta le due facce della stessa medaglia dell'essere umano. "Remo ha un vero e proprio delirio di onnipotenza." Ci racconta Alessandro Borghi, interprete di Remo ne Il primo re. "Tu puoi anche voler formare una comunità, ma se lo fai come individuo stai comunque sbagliando. Devi comunque concepirti come parte della comunità, soltanto così riuscirai ad avvicinarti a un concetto di civilizzazione come quello raccontato nel film. Devi farlo per la comunità, non puoi ritenerti tu stesso un Dio."
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Le conseguenze dell'amore nel 753 a.C.
Alessio Lapice, invece, interpreta Romolo, apparentemente il più debole tra i due gemelli. Il più religioso e quasi accecato dal volere divino. Un fratello devoto all'amore e alla protezione dell'altro, ma che al tempo stesso si rende conto di quanto la rabbia e la foga di Remo lo stiano portando alla sua stessa distruzione. L'epilogo, che conosciamo tutti fin troppo bene, non è un omicidio premeditato o brutale, quanto più un vero e proprio sacrificio. Una scelta dettata dal destino e suggellata dalle parole dello stesso Romolo che, estratta la spada dal corpo del fratello, dice: "Sarei voluto morire io". Un ruolo molto particolare nel caso di questa intima unione tra fratelli lo giocano tre elementi molto importanti: "La fede, la fratellanza e la sopravvivenza credo siano racchiuse nell'amore di questi due fratelli." Dice Alessio Lapice, continuando con: "E credo che questo rapporto sia come un'arma a doppio taglio, proprio come l'amore. L'amore ci rende vulnerabili, ci fa fare delle cose che non sono ragionate, che vanno contro la ragione e ciò che è giusto. E tutto quello che è contro la ragione, spesso ha dei risvolti che si pagano, nel caso nostro, con gli Dei o con la vita."
Il Primo Re: una sfida produttiva e umana
Il Primo Re rappresenta parte di quello che, purtroppo, ancora manca in Italia: il coraggio. Una pellicola coraggiosa che sfida degli evidenti limiti produttivi, dove i set sono per lo più in esterna, il giorno e la notte comandano e le luci artificiali sono del tutto inutili. Un film dove la natura può essere amica e nemica, sottoponendo gli attori a delle sfide continue. Un film basato sul silenzio e sulla lingua latina che già di per sé rappresenta un enorme ostacolo, sia dal punto di vista produttivo che da quello interpretativo. A questo proposito Alessandro Borghi dice: "Ci sono state molte cose complicate che, appunto, facevano parte di questa sfida. Le sfide da affrontare sono state molte, ma avevamo un grande film da fare, una grande storia da raccontare e un regista che non si è mai tirato indietro davanti ai problemi. Matteo è stato aperto a tal punto da riuscire a metterti in una situazione di agio perfino nel disagio più completo. E poi quando per un attimo, nella stanchezza totale, ti balza in mente l'idea di lamentarti, ti ricordi prima di tutto di quanto sei fortunato a fare questo lavoro, ma anche a raccontare una storia del genere. Ed ecco che riprendi la spada, sali sul cavallo, ti ributti nel Tevere, ti fai male, vai a dormire con il raffreddore e sei felice lo stesso."
E anche Alessio Lapice sembra essere della stessa opinione del collega, aggiungendo: "_È come se tutto quello che abbiamo vissuto durante questo viaggio ti portasse, ad un certo punto, a guardarti intorno verso quei posti e quelle persone, e ti aiutasse così a ricordare di star facendo la cosa più bella della tua vita.
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