Il nemico più grande
Sociopatico. Il consulente detective Holmes ama definirsi tale, ma His Last Vow, puntata finale della terza stagione di Sherlock, lo smentisce clamorosamente, documentando una strana verità, ovvero che il sadico autore dell'episodio Steven Moffat nasconde - benissimo - un cuore tenero. Sherlock si è cullato brevemente nel miraggio di un futuro come "figlio problematico" di John e Mary, ma l'inattesa gravidanza di lei ha demolito questo scenario. Non si è fatto vivo per un lungo mese con il novello sposo e suo migliore amico Watson, e accampando la scusa della missione sotto copertura è tornato a indulgere nelle droghe, come da canone. Il nemico a cui ha teso una discutibile trappola è Charles Augustus Magnussen, magnate dell'editoria, ricattatore e viscido - tanto da risultare rivoltante agli occhi di Sherlock - prevaricatore. Creso avido e manipolatore, Magnussen conosce i segreti - e i punti deboli - di chiunque, compresa la dolce e ferale Mary, Nikita con l'accento britannico (ma di certo è straniera) decisa a tutto pur di celare il proprio passato da sicario all'amore della sua vita, il dottore che adora il pericolo.
High-Functioning Psychopath His Last Vow celebra una promessa mantenuta, un sacrificio annunciato da parte di Holmes, il quale in The Sign of Three aveva giurato di proteggere per sempre Watson, l'amico che gli aveva salvato la vita. Un episodio di un'ora e mezza denso di avvenimenti conduce al finale presagito; Moffat accantona parzialmente - tra le eccezioni più evidenti la battuta sui draghi, il topless di uno smilzo Benedict Cumberbatch e il ritorno sui nostri schermi del villain più amato - gli ammiccamenti ai fan e gli eccessi ludici e di The Empty Hearse e The Sign of Three a favore delle indagini del caso. Presenta allo spettatore i dettagli di un mistero snervante e avvincente ma senza rinunciare allo smaccato sentimentalismo che ammanta il delicato rapporto a tre di Sherlock, John e Mary. La risoluzione di Holmes potrebbe sembrare spietata, da vero sociopatico, ma il suo gesto, innescato dall'ossessione di proteggere l'amico, chiude il cerchio completando il percorso evolutivo del misantropo smentito. Dapprima protetto dalla solitudine emotiva in cui lo trova Watson all'inizio della serie, ha accettato la responsabilità e la vulnerabilità che comporta l'affezionarsi a qualcuno, imparando ad amare il genere umano attraverso un unico esemplare, John. È ancora un beffardo manipolatore che usa le persone senza farsi scrupolo - l'esuberante Janine ne è la prova -, continua a studiare il prossimo come una cavia da laboratorio - il suo giocattolo nuovo è l'acuto Bill Wiggins - e il suo rapporto con i familiari è rimasto quello di un adolescente insofferente, ma His Last Vow è senz'altro l'ultima tappa della sua umanizzazione. Love is a PsychopathLa poetica di Moffat è precisa, ripetitiva fino all'esasperazione, anche se il bardo scozzese sa camuffare magistralmente i suoi intenti, arroccati in trame contorte. Spesso nella sua filmografia affiora la sua passione per i superuomini megalomani e di presunta amoralità. Il suo Sherlock non è diverso dal suo Jekyll, autoproclamato psicopatico dalle capacità fisiche e mentali sovrumane che si immola per amore. Holmes sa amare solo dirottando tutto l'affetto di cui è capace su un solo soggetto: da bambino adorava il suo cane, da adulto adora Watson. Sembra una prerogativa dei misantropi quelli di riservare la propria predilezione a un unico ricevente: anche il Dr House, estensione dell'Holmes letterario, aveva finto la propria morte per il bene di Wilson. Sherlock ha imparato che perdere chi si ama è insopportabile, per questo è disposto a tutto per proteggere John. Love is a psychopath, spiegava Moffat in Jekyll, e in Sherlock ripropone un protagonista iperprotettivo il cui affetto è tanto forte da strapparlo alla morte. His Last Vow è, in sostanza, la reiterazione della sua tesi preferita: l'amore è invincibile, può tutto e perdona tutto, anche il passato da sicario dell'assassina Mary. Per questo sentimento si è disposti a rinunciare a tanto, tantissimo: Sherlock alla sua libertà, sua madre - noto genio della matematica - alla carriera, Mycroft alla sua reputazione. Ci è voluto un uomo meschino, ripugnante e onnisciente come Magnussen (un Lars Mikkelsen superbo) per scoprire che il punto debole di Watson è Mary, quello di Holmes è Watson, quello di Mycroft, "l'uomo più potente d'Inghilterra", è... suo fratello, il fratello (non l'unico, a quanto dice, che abbia avuto!) che bistrattava da piccolo e verso il quale è spasmodicamente protettivo. Did You Miss Me? His Last Vow è l'unica puntata della terza annata focalizzata su un caso e su un antagonista; dopo due terzi di stagione dedicati al ritorno di Sherlock e votati all'indulgenza dei fan, è l'unico a evocare la struttura narrativa originale. L'episodio stimola lo spettatore con un nemico formidabile - lo stesso detective lo definisce il più pericoloso mai incontrato, tanto che l'unico modo per fermarlo è eliminarlo -, è un susseguirsi di colpi di scena, rivelazioni, segreti riaffiorati e tensione. Moffat confeziona un caso dagli sviluppi apprezzabili (con qualche incongruenza) e sempre rispettoso della fonte (L'avventura di Charles Augustus Milverton), che rende il diffuso sentimentalismo tollerabile per chi non apprezza l'abuso di effusioni. Una questione a parte è l'epilogo: insistere così tanto sulla natura ributtante del villain Magnussen è l'ovvio espediente di un autore che vuol far rimpiangere un cattivo ancor più nichilista, ma seducente e amatissimo, come Moriarty. Le ultime scene, con tanto di comparsata alla Max Headroom sugli schermi di Piccadilly, suggeriscono un fine più bieco: grigliare i fan per prepararli al paventato ritorno di Moriarty ("Vi sono mancato?", chiede il joker suicida con il broncio sfrontato del meraviglioso Andrew Scott nella uber-ammiccata della stagione). His Last Vow replica, con sfacciataggine sconcertante, il finale della seconda stagione con il redidivo Sherlock. Solo fumo negli occhi, è improbabile che Moriarty sia sopravvissuto al colpo in testa - come viene fatto osservare da Watson - il finale sensazionale è concepito per lasciare gli spettatori a languire e arrovellarsi fino alla quarta stagione. È altresì improbabile che Moffat, nonostante l'oltraggiosa megalomania che gli perdoniamo sempre, si smentisca riportando in vita il consulente criminale dopo decine di interviste (Leggi l'intervista a Gatiss) in cui ripete che il Moriarty che abbiamo visto morire si sia davvero ucciso. Aspettiamoci l'ennesimo brillante raggiro: che quello comparso su tutti gli schermi d'Inghilterra sia solo il volto sponsor di una rete criminale, oppure una messa in scena di Moran (personaggio del canone), o un beffardo trucco postumo dello scaltro villain. O, più semplicemente, l'anteprima del ritorno di Moriarty, quello vero che finora ha preferito farsi sostituire da impersonatori. Accettiamo che His Last Vow è un episodio grandioso solo se ammettiamo, di nuovo e spensieratamente, che ci piace farci buggerare da quei due diavoli di Moffat e Gatiss.