Il maledetto, lungometraggio sceneggiato e diretto da Giulio Base (Il banchiere anarchico, Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma), recupera una delle tragedie di Shakespeare più inflazionate su schermo e la modella a suo piacimento, la decostruisce e la colloca in un contesto apparentemente alieno e dissonante. L'autore non è di certo il primo farlo, ma scoprire che il sottobosco mafioso della Puglia è un teatro perfetto delle vicende ha un che di sorprendente. È la dimostrazione che un racconto così radicato della cultura occidentale può rinascere di nuovo, questa volta non attraverso la solita struttura (con buona pace di Kurzel e Coen). Il maledetto, presentato alla Festa del Cinema di Roma, è quindi pronto a conquistare il pubblico e nella nostra recensione vi spieghiamo perché è da vedere in religioso silenzio.
L'ambizione macchia di sangue la storia dell'uomo
Ne Il maledetto, Base è partito da un assunto: l'ambizione è una macchia scura che come una piaga ha contaminato la storia umana fin dagli inizi (pensate a Caino e Abele), perseguendo per secoli le sue mire sanguinose e funeree. E fondamentalmente il Macbeth di William Shakespeare parla proprio di questo, di un'epidemia mentale che fa perdere la ragione, fa compiere atti disdicevoli, conduce alla pazzia e poi alla morte, lasciando una lunga striscia di sangue. Applicare tale modello in un'altra epoca storica (la tragedia si svolge in Scozia nel Basso Medioevo), per quanto stiamo parlando di un racconto cristallizzato, non è impresa facile, ma un paesino pugliese piagato dall'ingerenza della Sacra Corona Unita ha più che una correlazione con la trama originale. Abbiamo un Re e un Capo famiglia, un generale e un picciotto, due mogli lungimiranti e un unico chiodo fisso: salire al potere a tutti i costi. È la storia di Michele Anacondia (Nicola Nocella), affiliato ad un potente clan. Quando muore suo figlio, la moglie (Ileana D'Ambra), messo da parte il dolore, lo spinge ad una scalata tortuosa e violenta, per controllare tutti e tutto.
Si comincia con una vendetta per ingraziarsi il Boss, si conclude con una strage. Il cineasta sceglie intelligentemente il gangster movie per veicolare su schermo l'opera shakesperiana: un mezzo che può apparire insolito, ma che dà la possibilità all'autore di seminare tutti i collegamenti con astuzia, a partire dai personaggi fino ad arrivare agli avvenimenti veri e propri. Ovviamente non aspettatevi una riproduzione in scala perfetta del Macbeth: ci sono cambiamenti, necessari e anche molto divertenti, come la scelta di sostituire le Tre Sorelle Fatali con una Mistica. Dal punto di vista narrativo, quello che colpisce è la commistione tra il dialetto pugliese e la prosa teatrale che fa capolino inaspettatamente, alcune volte proponendo interi passaggi del Bardo, altre adattando in chiave popolare il suo messaggio. Un cortocircuito linguistico esplosivo che regala qualche piccolo spiraglio di comicità, ma che per la maggior parte è votato al dramma più cupo e nefasto, come d'altronde richiede una parabola infernale verso l'autodistruzione.
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Una messinscena affascinante ma rumorosa
Dal punto di vista registico, ne Il maledetto non mancano le sorprese, anche se Giulio Base si affida ad un inossidabile canone dettato dal genere di riferimento. Ci sono le classiche sparatorie brutali, sfarzo ed eccessi a non finire, i monologhi e i discorsi preparatori, ma il tutto è condito da un linguaggio drammatico inusuale. Quest'ultimo unisce le suggestioni teatrali del Macbeth, portando alla luce alcuni momenti chiave della tragedia ad una visione lynchiana degli spazi e dei personaggi. Già Daniele Salvo con il suo Macbeth in scena al Globe Theatre si era ispirato al famoso regista americano per enfatizzare i tratti più esoterici della storia e anche Base sembra partire dallo stesso fondamento. Ecco che quindi la Puglia sembra popolata da esseri fiabeschi, mentre la macchina da presa indugia, specialmente nella parte finale, su ambienti tetri e oscuri che diventano espressione dell'animo dei protagonisti, sempre più dominati dalla follia, un inguaribile male che li porta allo sfinimento. Parlando proprio del cast, Il maledetto si avvale in generale di un gruppo di attori talentuosi che, grazie a delle interpretazioni fortemente espressive al limite del caricaturale, portano su schermo quell'anima scenica poderosa e coinvolgente che deriva dal mondo teatrale.
In particolar modo spiccano Nicola Nocella ed Ileana D'Ambra, rispettivamente nella parte di Michele e della sua consorte, entrambi abilissimi a simulare ogni cambio emotivo nel corso del film, dalla feroce ambizione iniziale all'irrefrenabile pazzia che conduce al tragico epilogo della storia. Nocella dà vita ad un Macbeth per certi versi inedito, silenzioso e taciturno e decisamente più remissivo della controparte teatrale almeno all'inizio del lungometraggio, mentre la D'Ambra, luciferina e spietata, costruisce una Lady Macbeth perfetta, forse ancora più terrificante della versione originale perché calcolatrice ancora prima degli eventi che abbiamo visto nella pellicola. Piccole note negative sono da segnalare nel sonoro che, per quanto sia riuscito nel suo essere martellante in determinate scene dell'opera, è calibrato un po' male, registrando dei picchi di volume troppo alti. Per quanto riguarda gli effetti speciali, specialmente nelle sequenze conclusive, si nota fin troppo artificio ed esagerazione, dove forse sarebbe stato meglio seguire la strada della suggestione e del pathos seguita fino a quel momento.
Conclusioni
La nostra recensione de Il maledetto è un invito a recuperare un lungometraggio italiano originale e creativo, nonostante si appoggi ad un grande mito del teatro inglese. Un progetto che, registicamente parlando, fonde con rigore ma anche con spirito innovativo il gangster movie e il pathos teatrale, con echi lynchiani che non passano inosservati. A livello narrativo, Base semina la storia di tanti collegamenti con la tragedia, usando un particolare mezzo espressivo: il dialetto pugliese che diventa inaspettatamente il veicolo delle parole di Shakespeare. Eccezionali gli attori, in particolare Nicola Nocella e Ileana D’Ambra, mentre si nota un bilanciamento non proprio efficace del sonoro e alcuni effetti speciali posticci.
Perché ci piace
- La tragedia shakesperiana funziona anche in Puglia, tra gangster movie ed echi lynchiani.
- Attori talentuosi e casting azzeccato.
- L'uso del dialetto si fonde al pathos teatrale.
Cosa non va
- Effetti speciali troppo artificiosi.
- Sonoro non perfettamente calibrato.