Il gelo accoglie in sala il regista e il cast de I Vicerè, da questo venerdì in sala. Un po' le diatribe sull'anticlericalismo di cui traboccherebbe la pellicola, un po' la polemica che ha visto il film di Roberto Faenza coinvolto a causa della sua presunta esclusione per demeriti artistici (da leggersi come: film non all'altezza) dalla Festa di Roma, rendono il clima dell'incontro con la stampa teso (stemperato a malapena dagli scroscianti applausi tributati ad ogni singola risposta dai numerosi amici e collaboratori di regista e attori intervenuti per l'occasione).
Faenza cerca subito di chiarire che il discorso finale che il protagonista pronuncia, e che assomiglia molto alla celebre imitazione crozziana di Veltroni "è nel libro. Tutte le parti politiche sono riprese dal libro, non le abbiamo scritte noi".
E aggiunge che "questo è anzitutto un film sulla famiglia, sull'istinto di sopraffazione e sul desiderio di possedere tutto che nasce al suo interno. La famiglia, nel film, è un po' l'alcova di tutti i mali".
Immancabile la domanda sulla mancata partecipazione alla Festa del Cinema, alla quale Faenza fa spallucce: "Non so, non me ne occupo io", salvo poi aggiungere con una certa ironica supponenza che "a saperlo prima, avrei inserito una parte del comunicato della direzione della Festa del Cinema, quello in cui dice 'artisticamente non valido'".
Il regista poi sottolinea il fatto che la genesi del progetto non deve assolutamente considerarsi televisiva. "Il film nasce prettamente per il cinema - dice - e RaiCinema e RaiFiction sono intervenute solo come finanziatori. Sono due modi completamente diversi di girare, sia tecnicamente che artisticamente".
Sensibilità particolare che Faenza ha trasmesso anche ai suoi interpreti. "Non mi sono ispirato a nulla in particolare per interpretare la parte - sostiene Alessandro Preziosi - Mi sono affidato totalmente alle mani del regista, e l'incontro tra la mia e la sua sensibilità ha creato il personaggio. Certo, il libro descrive il mio personaggio come un cinico, ma io cerco sempre di tirare fuori una sfumatura positiva".
Lando Buzzanca mette invece scherzosamente a nudo le velleità di Faenza: "'Mi devi far dimenticare Lancaster', mi ha detto. Al che io ho quasi pensato che non era il caso di fare questo film. Il mio personaggio è dominato da tre caratteristiche: l'avidità la superstizione e la cultura dell'odio. Tutte cose che proprio non mi appartengono, per cui ho dovuto lavorarci molto. E in questo Faenza è un esteta, è il primo spettatore del film, ti aiuta moltissimo sulle piccole cose".
C'è spazio anche per una breve polemica di ordine letterario, quando viene sollecitato un confronto con Il gattopardo e una certa visione del sud Italia. "Tomasi di Lampedusa diceva di De Roberto che guardava la storia dal buco della serratura - ricorda Faenza - Ma Il gattopardo è per molti versi l'opposto de I Viceré. Anzi, Il gattopardo si può proprio considerare un plagio, un saccheggio mai riconosciuto de I Viceré. La sfortuna di De Roberto è stata quella di essere stato bollato dai crociati per tantissimi anni".
Nonostante il finale cinico e amaro, Faenza è tuttavia convinto che il suo sia un film positivo: "Io faccio solo film di speranza. Secondo me questo è un film positivo: fare la radiografia di un paese malato, dal mio punto di vista, è un atto di grande amore".