Si narra di un pezzo di storia poco noto in questo nuovo film dei fratelli Taviani: l'eccidio degli armeni durante il primo conflitto mondiale. Un tema difficile, al centro di questa chiacchierata con la stampa fatta in occasione dell'uscita de La masseria delle allodole (il 23 marzo). Una storia d'amore e odio, come gli stessi registi ci tengono a precisare.
Qual è stata la genesi del film? Perché scegliere questa storia?
Paolo Taviani: Abbiamo letto il libro di Antonia Arslan, che ci ha molto colpito. Io e Vittorio, ci siamo parlati a lungo, del libro e della tragedia degli armeni, un problema che credevamo di conoscere e che invece non conoscevamo per niente. Ci siamo resi conto, studiando il problema, che eravamo ignoranti come è ignorante la cultura europea e internazionale, su questa tragedia che ha segnato l'inizio del nostro secolo. Abbiamo anche pensato che parlare di questa storia è anche un modo per parlare di tragedie molto simili che stanno accadendo, per esempio, in Africa. Stiamo davanti alla televisione, ci giungono notizie di massacri in Iraq e, un po' di anni fa, in Ruanda o in Kosovo. Conviviamo con questi orrori avendoci fatto l'abitudine. Questo film ci dà la possibilità di parlare della nostra contemporaneità, perchè gli orrori sono identici. Sono gli orrori di uomini che si uccidono tra di loro, che uccidono i bambini e, soprattutto, si uccidono nonostante fossero fratelli poco prima. Ci siamo tuffati in questa storia e come sempre, quando si fa un film, si parte dalla realtà e poi si dà libero corso alla fantasia. Così facendo abbiamo costruito i nostri personaggi.
Vittorio Taviani: Noi abbiamo veramente bisogno, ogni volta, di seguire il destino dei nostri personaggi, che è sempre un po' misterioso. Il destino di una fanciulla come Nunik, ma anche quello di personaggi armeni e turchi. Non solo i giovani turchi che avevano in mente il mito della Turchia liberata dagli armeni, ma anche gli altri turchi, che sono anch'essi un po' complici del potere, ma a poco a poco si rendono conto che sta avvenendo qualcosa che non possono accettare e da qui il loro tormento. Parlando sempre di turchi, a noi preme dire che questo non è un film contro la Turchia, per niente. Questo è un film sull'eccidio degli armeni. Certo che, se si rimane solo a questo, esce fuori un trattato di storia; noi, invece, abbiamo voluto raccontare delle storie. Il film si conclude con la parola amore e questo per noi è molto importante, perché questo è un film di amore e odio. Questo per noi è importante, affezionarsi ai personaggi. I nostri attori, che sono venuti da ogni parte d'Europa e non solo, quando sono arrivati sul set, non erano più né spagnoli né tedeschi né francesi, erano tutti i personaggi di un'unica, grande e terribile storia.
Paolo Taviani: Vorrei aggiungere una cosa. Una delle molle che ci ha spinto a fare il film la si può ritrovare nel fatto che l'autrice parla di una famiglia italiana. Gli armeni del film vivono in Anatolia ma anche in Italia. Infatti, nella sceneggiatura, la parte italiana era molto più sviluppata. Poi, come sempre accade, inseguendo la storia e il ritmo del film si è molto ridotta. È stato comunque, uno dei motori principali, perché parlavamo di roba di casa nostra.
Il fatto che il genocidio degli armeni sia stato così a lungo ignorato, vi dava un senso di responsabilità in più?
Paolo Taviani: C'è stato un grande stupore. Stupore nel sapere di non conoscere la realtà e nel leggere, nello studiare e nel capire cosa sia accaduto. Arsinee, che ha interpretato il personaggio di Armineh, è armena e si è data anima e corpo al film. Quando Arsinee ha visto il film, ci ha detto una cosa che ci è piaciuta molto. Ha detto: in genere un attore quando vede un film che interpreta, guarda solo se stesso e ripensa a quello che ha fatto o non ha fatto. Lei ha detto, questa volta per la prima volta ho guardato il film identificandomi con il mio personaggio e mi sono nuovamente stupita di questa storia che sta alle mie spalle. Dice: mentre giravo il film sentivo la responsabilità di esprimere l'orrore che le donne armene portano con sé e guardando il film, quella donna non ero io, ma era una di "quelle donne".
Quali sono state le difficoltà incontrate nello scrivere la sceneggiatura?
Vittorio Taviani: Noi, come sempre, anche quando siamo partiti da Tolstoj o da Piandello, una volta che la storia ha preso l'avvio, diciamo: grazie Tolstoj, grazie Pirandello, grazie Antonia e ora ciao! Andiamo per conto nostro. A noi non interessa e non siamo nemmeno capaci, di fare un'illustrazione. Vogliamo che, questa pagina di romanzo, questi personaggi, mettano in moto la nostra fantasia. Sopra un fatto che ci riporta alla coscienza dei popoli, noi andiamo a vedere i personaggi che amiamo o odiamo.
Giuliano Taviani, figlio di Vittorio, per la prima volta lavora alle musiche di un vostro film...
Vittorio Taviani: Giuliano, che fa musiche da tanti anni, aveva detto: mai farò un film con mio padre e mio zio, mai! Poi ha fatto tanti altri film e, arrivato ad un certo punto, ha pensato: quando ho detto questa cosa, avevo fatto pochi film, ora ne ho fatti abbastanza da essere un professionista. Io non avrei osato chiedere questo. Ci ha pensato Paolo che ha detto: senti, perché alle musiche del film non mettiamo Giuliano? E io: ah, si!
Paolo Taviani: Non mi ha fatto finire...
Vittorio Taviani: Allora ho telefonato a Giuliano che non ha accettato subito. Il dubbio di una notte. Dopodichè ha iniziato a lavorare.
Paolo Taviani: Indubbiamente Giuliano è riuscito a cogliere il senso, studiando bene i motivi popolari armeni. Addirittura è andato in Armenia per far suonare uno strumento particolare che si trova solo li. È andato li ad incidere proprio per questo motivo ed ha inciso anche dei cori fatti da gente armena. Ci ha raccontato che quando ha mostrato loro alcune sequenze del film, hanno dovuto interrompere la proiezione perché molti armeni ne erano rimasti particolarmente sconvolti.