'I' come Iago
Fosse ancora in vita, chissà cosa penserebbe William Shakespeare di questo continuo rimodellamento delle sue immortali opere. Che danni sa creare la diabolica macchina cinematografica che da meraviglia s'è trasformata nel tempo in un contenitore da raccolta indifferenziata che accoglie al suo interno, sempre più spesso, prodotti che meriterebbero ben altra destinazione. Dopo Come tu mi vuoi, opera prima dall'insperato successo, Volfango De Biasi prosegue nel genere della commedia giovanilistica, andando a cogliere lo spunto per il suo nuovo film in territorio inaspettato: la Tragedia. L'idea al suo autore deve essere parsa particolarmente feconda, visto che ha deciso di convertirla anche in un libro, ma tradotta sullo schermo rivela una certa inconsistenza, dovuta anche a qualche imbarazzo di troppo nel portare fino in fondo l'approccio trasgressivo al materiale di partenza. Prosciugata la storia dei suoi aspetti più innovativi, si è cercata la provocazione in senso meno nobile, con una risata a buon mercato che per quanto possa accattivarsi le simpatie del pubblico di massa, annulla però ogni intenzione di svecchiamento del nostro cinema insita nel progetto stesso.
Il diritto di maneggiare un testo classico, in questo caso la tragedia dell'Otello, non può essere negato a nessuno, ma d'altra parte è inevitabile storcere il naso quando lo si trasforma in maniera così netta, decorandolo di accenti comici stonati e di un linguaggio dalla fiera trivialità. La sorte meno felice è toccata al personaggio di Iago, che s'è ritrovato a essere interpretato da un truccatissimo Nicolas Vaporidis, interprete di un universitario che si affanna a tirarsi fuori da una scomoda condizione di poveraccio in mezzo all'opulenza, millantando grandi qualità e diritti di prelazione sul cuore dell'amata Desdemona. Offuscato dalle nubi dell'ambizione mista a gelosia, addensatesi intorno a lui dopo l'arrivo del ricco, bello e raccomandato Otello, trama nell'ombra per mettere l'uno contro l'altro tutti coloro che si frappongono ai suoi obiettivi, sperando così di ottenere alla fine quanto sente spettargli di diritto. Sfiorisce ogni ipotesi d'amore, seppure qualche pulsione primordiale non ci venga risparmiata, e il sentimento che predomina la scena è l'insoddisfazione che grida ritorsione. Si vorrebbe in questo modo riabilitare una figura da sempre tacciata di astuta perfidia, ma ci si impantana in un discorso fragilmente formulato sul dovere di dare a Iago quel che è di Iago, per far sì che la frustrazione non si traduca in scorrette macchinazioni. Ebbene sì, Shakespeare in effetti c'entra molto poco, e per fortuna. Presi in prestito i nomi e qualche spunto interpretato in maniera per lo meno bizzarra, Iago si dirige in tutt'altra direzione rispetto al suo nobile modello. Si potrebbe parlare di deriva 'emo' del post-moderno, se non fosse per quella artefatta "comicità a tutti i costi" che il nuovo testo dice di sé, il quale a conti fatti risulta semplicemente un'opera che non funziona. Quello di De Biasi è in effetti un film giovane, ma rappresenta la parte più negativa delle nuove generazioni: la desolazione di discorsi aridi, il turpiloquio continuo, l'arroganza di chi pretende, il farneticamento di chi non ottiene. Nell'ambito del nostro cinema potrebbe comunque sembrare un prodotto innovativo, ma altrove l'idea è già stata abbondantemente sfruttata: i tradimenti degli originali in salsa pop sono stati tanti e hanno avuto alterna fortuna, esaurendo già quanto di brillante si poteva dire. 'L'amore è l'unica cosa che conta, l'unica cosa che ci spinge a creare' dice Iago nel film. Sicuramente chi ha realizzato quest'opera di amore e passione ne avrà messa tanta, ma è nel nostro diritto di spettatori non corrispondere a questo amore.