Il cinema esiste per permetterci di vivere esperienze che per noi sarebbero decisamente pericolose o strane nella vita reale. Possiamo entrare in una stanza e camminare dentro un sogno. Se non volessimo turbare nessuno faremmo film sull'uncinetto, ma perfino questo potrebbe essere pericoloso...
Di "stanze proibite" ne abbiamo visitate parecchie, grazie a lui, per non parlare di tutte le occasioni in cui i suoi film ci hanno fatto smarrire oltre il confine fra realtà e sogno, costringendoci ad interrogarci sulla natura delle immagini, sulla loro illusorietà, ma anche a puntare l'obiettivo verso noi stessi, verso le nostre reazioni nei confronti del misterioso e del perturbante. In fondo, proprio in questo risiede il principale motivo di fascino del cinema di David Lynch: un cinema che richiede allo spettatore di 'entrare' nel film, di abbandonarsi al flusso di visioni e di suoni, di partecipare attivamente alla costruzione di un significato perennemente sfuggente ed ambiguo.
Dai cortometraggi realizzati a partire dagli anni Sessanta e dal delirio onirico di Eraserhead - La mente che cancella, suo film d'esordio nel 1977, fino al suo ultimo lavoro per il cinema, le tre ore di trip allucinato di INLAND EMPIRE, girato esattamemte dieci anni fa, il regista originario di Missoula, nel Montana, ha riscritto dalle fondamenta le regole della narrazione sul grande e sul piccolo schermo, abbattendo pezzo dopo pezzo le convenzioni dei generi per creare una modalità di cinema unica e inconfondibile, tale da richiedere addirittura l'introduzione dell'aggettivo "lynchiano".
Happy birthday David, aspettando Twin Peaks...
Dal 2006, anno della presentazione di INLAND EMPIRE (il suo lungometraggio più coraggioso e sperimentale) e del Leone d'Oro alla carriera al Festival di Venezia, il nostro David si è ritirato in una sorta di "pensionamento anticipato" per dedicarsi ad altre attività: dalle tecniche di meditazione alle mostre di arte contemporanea, dalla musica (gli album Crazy Clown Time e The Big Dream) agli spot pubblicitari, per lo sconforto dei suoi fan vecchi e nuovi. Per fortuna, il timore che Lynch avesse definitivamente abbandonato la macchina da presa è stato fugato dalla notizia del suo ritorno sul set con il più ambizioso dei sequel: la terza stagione di Twin Peaks, la serie culto che, nel biennio 1990-1991, rivoluzionò il concetto stesso di fiction televisiva, e che fra circa un anno sarà di nuovo in onda sulla rete Showtime con nuovi episodi scritti e diretti da Lynch in persona.
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E in attesa di rimettere piede nella fittizia cittadina dei "picchi gemelli" e di farci irretire ancora una volta dai suoi torbidi misteri, oggi vogliamo festeggiare i settant'anni di David Lynch, l'uomo che ha portato gli incubi all'interno del cinema (o forse ha portato il cinema all'interno degli incubi?), ricordando alcuni fra i personaggi più suggestivi nati dalla mente del cineasta americano. Di seguito, ecco dunque la nostra classifica delle dieci figure più memorabili del cinema e della TV lynchiani: creature entrate a far parte del nostro immaginario e che, in alcuni casi, sono riuscite perfino a penetrare dentro i nostri sogni...
10. Marietta Fortune, Cuore selvaggio
Fin dalla sua prima apparizione, nella scena iniziale di Cuore selvaggio, con il suo pacchiano abito da bambola color blu elettrico e il look da Barbie nevrotica di mezza età, con tanto di improbabile parrucca bionda, Marietta Fortune si manifesta come l'anima delirante e kitsch del film. In questa rivisitazione folle e sopra le righe de Il mago di Oz, premiata con la Palma d'Oro come miglior film al Festival di Cannes 1990, Diane Ladd cattura l'attenzione nella parte di Marietta Fortune, madre ferocemente possessiva della giovane Lula Pace di Laura Dern (la Ladd, fra l'altro, è la madre della Dern anche nella realtà), la quale tenta di ostacolare con ogni mezzo la fuga d'amore della figlia con l'ex galeotto Sailor Ripley (Nicolas Cage). Il primo piano di Marietta, con il viso dipinto di rosso e il mascara liquefatto, durante la sua telefonata al detective Johnnie Farragut (Harry Dean Stanton), è il perfetto emblema della sfrenata isteria che costituisce la cifra stilistica di Cuore selvaggio; e Diane Ladd si è guadagnata la nomination all'Oscar come miglior attrice supporter.
9. Alvin Straight, Una storia vera
Una storia vera rappresenta un unicum nella carriera del regista, essendo la sua opera più singolare ed anomala, ma al tempo stesso è anche un film intimamente lynchiano per la sincerità e l'emozione con cui abbraccia il mondo messo in scena e i suoi personaggi. Il protagonista della pellicola, Alvin Straight (Richard Farnsworth), è un anziano agricoltore dell'Iowa che, a bordo della sua falciatrice, intraprende un viaggio di quasi quattrocento chilometri per recarsi nel Wisconsin e riconciliarsi con il fratello Lyle (Harry Dean Stanton). Uomo pacato e benevolo, contraddistinto da una serena malinconia e dalla purezza dello sguardo con cui osserva il mondo circostante, Alvin è uno dei personaggi più toccanti della filmografia di Lynch, anche per merito dell'interpretazione del veterano Richard Farnsworth, che alla soglia degli ottant'anni si è aggiudicato la nomination all'Oscar come miglior attore per quello che è rimasto il suo ultimo ruolo (Farnsworth, affetto da un male incurabile, si sarebbe suicidato un anno più tardi).
8. Mystery Man, Strade perdute
Il cinema di David Lynch è popolato di figure bizzarre, inquietanti e misteriose, alcune delle quali più simili a prodotti di una fantasia malata che non a individui reali; e di questa categoria fa parte anche il personaggio senza nome, indicato semplicemente come "l'uomo misterioso" (Mystery Man), in Strade perdute, thriller surreale del 1997. Interpretato da Robert Blake, ex bambino prodigio nella Hollywood degli anni Quaranta, l'uomo misterioso si manifesta al cospetto di Fred Madison (Bill Pullman) nel corso di un party a Los Angeles: il volto bianco come quello di un cadavere, il ghigno sardonico, la voce cavernosa ("Ci siamo già incontrati, mi pare"), il tono di velata minaccia con cui si rivolge a Fred ne fanno un'apparizione dalle sfumature demoniache, nonché una delle 'creature' più angoscianti dell'universo lynchiano. Per Blake, molto popolare negli anni Settanta per la serie poliziesca Baretta, si trattò dell'ultima apparizione sullo schermo.
7. John Merrick, The Elephant Man
La fascinazione per la stranezza, l'anormalità e la mostruosità, utilizzate come veicolo di riflessione sulla natura umana e sul nostro senso morale, costituisce un elemento chiave della poetica del cinema di David Lynch, particolarmente evidente nel suo film di maggior successo: The Elephant Man, capolavoro del 1980 affidato al semi-esordiente Lynch dal produttore Mel Brooks e ricompensato con otto nomination all'Oscar. La parabola di John Merrick (John Hurt), un uomo dall'aspetto deforme ridotto a un fenomeno da baraccone in un freak show della Londra vittoriana, per poi diventare l'oggetto degli studi del professor Frederick Treves (Anthony Hopkins), è basata sulla vera storia di Joseph Merrick, ed è stata restituita da Lynch in un film di profonda e struggente sensibilità, un anno dopo il debutto in palcoscenico dell'omonimo dramma teatrale. Per la sua performance dietro la maschera dell'Uomo Elefante, John Hurt ha ricevuto il BAFTA Award e la candidatura all'Oscar come miglior attore.
6. Rita, Mulholland Drive
È una delle varie "donne del mistero" del cinema di David Lynch: una damsel in distress, ma anche una femme fatale sensualissima e ambigua, dietro la cui identità si cela un terribile segreto. Stiamo parlando di Rita, la procace ragazza bruna interpretata da Laura Harring, vittima di un'amnesia dopo essere rimasta coinvolta in un incidente stradale sulla Mulholland Drive, e il cui nome è ricavato da un poster di Gilda con Rita Hayworth. Seminale cult movie di Lynch, ricompensato con il premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2001, Mulholland Drive è un intrigante thriller costruito come un meccanismo di scatole cinesi, in cui il confine fra realtà e sogno si fa via via più labile. Se il punto di vista privilegiato del racconto è quello di Betty Elms (Naomi Watts), giovane e ingenua aspirante attrice appena approdata a Hollywood, è nella figura di Rita che si addensano però le tensioni (e gli orrori) al cuore della storia.
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5. Laura Palmer, Twin Peaks
"È morta... è avvolta nella plastica!". Su queste parole, e sul volto senza vita di Laura Palmer, l'8 aprile 1990 il pubblico americano faceva il suo ingresso a Twin Peaks. La pionieristica serie della ABC, firmata da David Lynch insieme a Mark Frost, avrebbe tenuto incollato agli schermi decine di milioni di spettatori in tutto il mondo grazie al fatidico interrogativo "Chi ha ucciso Laura Palmer?". Ma la bionda "reginetta del liceo" impersonata dalla ventiduenne Sheryl Lee non è solo la giovane vittima su cui sono incentrate le indagini della polizia e dell'FBI: Laura Palmer è una vera e propria "donna fantasma", che continua a ossessionare gli abitanti di Twin Peaks tramite i ricordi del passato, la scoperta di verità inconfessabili o le sinistre visioni della Loggia Nera... senza contare che, nel corso della serie, la Lee si trova a interpretare anche il ruolo di Madeleine Ferguson, la cugina di Laura, nonché suo alter ego dai capelli bruni. Icona indiscussa dell'universo di Twin Peaks, perfino con il suo celeberrimo primo piano da 'cadavere', Laura Palmer è stata protagonista, nel 1992, anche dello sfortunato film prequel di Twin Peaks, Fuoco cammina con me.
4. BOB, Twin Peaks
A volte, le intuizioni più geniali possono nascere per puro caso. È quanto accaduto sul set di Twin Peaks quando, durante le riprese dell'episodio pilota, l'attenzione di David Lynch fu attirata da un tecnico delle scenografie, Frank Silva, con lunghi capelli grigi e un volto decisamente espressivo, il cui riflesso era comparso per errore in uno specchio nella camera di Laura Palmer mentre veniva girata una scena. Lynch, che non aveva ancora stabilito con precisione lo sviluppo della trama, apprezzò quel piccolo "imprevisto", e da quel momento decise che Silva avrebbe impersonato il killer della serie. Creatura demoniaca la cui prima, improvvisa apparizione, al termine del pilot, terrorizzò il pubblico, BOB, con il suo sguardo sadico e il ghigno malefico, sarebbe divenuto l'agghiacciante spauracchio di Twin Peaks, pur lasciando intatto il mistero sull'identità dell'assassino 'materiale' di Laura Palmer, e avrebbe contribuito in misura essenziale al successo della serie. Qualora BOB dovesse tornare nella terza stagione di Twin Peaks, non avrà più le fattezze di Silva: il suo interprete, infatti, è scomparso nel 1995.
3. Dale Cooper, Twin Peaks
E restiamo ancora a Twin Peaks, la cittadina in cui "i gufi non sono quello che sembrano", teatro di sogni e di incubi, di passioni e di delitti: il regno dell'oscurità e dell'inquietudine, in cui non vediamo l'ora di rimettere piede. E Twin Peaks non sarebbe Twin Peaks senza il suo 'eroe' brillante e serafico, approdato fra i "picchi gemelli" per indagare sull'assassinio di Laura Palmer: Dale Cooper. Il giovane agente speciale dell'FBI, impersonato dall'attore feticcio di Lynch, Kyle MacLachlan, è stato un altro ingrediente fondamentale per l'immensa popolarità della serie: il suo sorriso rassicurante, la passione per il caffè e le crostate di ciliegia, l'interesse per il misticismo, gli stravaganti (a dir poco) metodi sul lavoro, l'abitudine di appuntarsi considerazioni e pensieri su un registratore portatile, rivolgendosi a un'assistente senza volto di nome Diane... tratti caratteristici di un personaggio entrato a far parte dell'immaginario collettivo. Dale Cooper è il detective dell'ignoto che ci accompagna per gli impervi sentieri di Twin Peaks, ma tutt'altro che immune alle tenebrose forze tutt'attorno a lui, e non potremmo essere più impazienti di riabbracciarlo. Grazie alla prima stagione della serie, Kyle MacLachlan è stato premiato con il Golden Globe come miglior attore televisivo.
2. Frank Booth, Velluto blu
Se la prima, fulminea apparizione di BOB in Twin Peaks faceva gelare il sangue nelle vene, la comparsa di Frank Booth (Dennis Hopper) in Velluto Blu, il capolavoro di David Lynch del 1986, segna un progressivo, inesorabile crescendo di tensione, con il malcapitato Jeffrey Beaumont (Kyle MacLachlan) nascosto dentro un armadio e intento a spiare la scena. Nell'arco di pochi minuti, infatti, Frank svela la sua mostruosa bestialità, dando sfogo ai propri impulsi sadici e a una perversione dai contorni incestuosi. Emblema dell'orrore e della violenza celati dietro l'apparente serenità dell'immaginaria cittadina di Lumberton, Frank Booth è un gangster dalla follia incontrollabile, votato nel 2003 dall'American Film Institute nella classifica dei cinquanta migliori villain cinematografici di tutti i tempi; un'efficacia dovuta soprattutto all'angosciante performance di un redivivo Dennis Hopper, al suo ritorno sulle scene e qui nella più intensa prova della sua carriera. Indimenticabile - e ancora oggi da brivido - l'immagine di Frank che aspira del nitrato d'amile (una potente droga) da una mascherina collegata a una bombola portatile.
1. Dorothy Vallens, Velluto blu
E sempre a Lumberton, la cittadina dalle staccionate bianche e dai prati in fiore, ma in cui basta prestare la giusta attenzione per imbattersi in un orecchio mozzato, troviamo il personaggio in assoluto più ambiguo e memorabile nell'intera filmografia di David Lynch: Dorothy Vallens (Isabella Rossellini), la fascinosa cantante di night club che al calar della sera si esibisce sulle carezzevoli note di Blue Velvet di Bobby Vinton. Donna del mistero, oggetto del desiderio in grado di scatenare il voyeurismo di Jeffrey (che si introduce nel suo appartamento e coglie l'occasione per spiarla), ma anche moglie e madre distrutta dal dolore e prigioniera del lato oscuro di Lumberton, Dorothy è l'ineffabile creatura della notte il cui nome richiama quello della protagonista de Il mago di Oz, contraddicendone però il senso di innocenza. E l'interpretazione di Isabella Rossellini, all'epoca compagna di Lynch, sprigiona un magnetismo capace di ammaliare e turbare lo spettatore, perfino a trent'anni di distanza...