"Punk per un giorno, punk per sempre", diceva Joe Strummer dei Clash. F.J. Ossang è stato un punk, e lo è ancora, si vede da quel taglio di capelli, rasati ai lati e lunghi e sparati in aria al centro, e da quella giubba nera, vagamente da uniforme, che indossa. E ha uno spirito punk, nel senso che punta a rompere le regole, anche il suo cinema, pur partendo da generi classici, il noir americano e il polar francese, per poi muoversi verso territori completamente diversi. Come fanno i protagonisti del suo ultimo film, 9 Doigts (9 Fingers), vincitore del Pardo per la miglior regia a Locarno nel 2017 e fortemente voluto dai selezionatori del Ravenna Nightmare Film Fest 2019, dove lo abbiamo incontrato per questa intervista. The dark side of cinema, recita il claim del festival. E non c'è film più oscuro di questo, a partire dell'affascinante bianco e nero della fotografia.
9 Fingers è un viaggio in cui la partenza è nota, ma la destinazione non lo è affatto. È la storia di un uomo che, catturato da una banda di criminali, ne diventa complice. Si innamora di una donna, e segue lei e la banda in un viaggio su una nave che diventa una discesa verso un cuore di tenebra. Il comandante della nave si chiama Kurtz e non è un caso ("La mia idea era di fare un film che si avvicinasse alla letteratura di Edgar Allan Poe e Joseph Conrad, la letteratura che seguivo da giovane" ci ha confessato il regista). E non è un caso nemmeno che la destinazione si chiami Nowhereland, la terra del nulla, e che, man mano che la nave si avvicina, continui a sfuggire.
9 Doigts è una metafora della vita: è un viaggio verso l'ignoto dove nessuno sa dove sta andando, perché, dove e quando arriverà. Non è il destino di noi tutti? Dove arriverà questa nave? Che cosa trasporta? Pare sia del polonio. Ma non importa. Il carico della nave è il classico MacGuffin hitchcockiano, un espediente per far progredire la storia. Dal noir il film di Ossang si sposta verso territori esistenziali, come il cinema di Andrej Tarkovskij, ma quelle immagini fisse degli esterni della nave o dell'isola avvolta dalla nebbia, con un sound design straniante, oltre che al maestro russo ci riportano al cinema di David Lynch. Siamo partiti da qui, e ovviamente dal punk (la musica che correda il film, e soprattutto quella dei titoli di coda, è inequivocabile) per la nostra chiacchierata con l'affabile regista francese.
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Tarkovskij, Lynch e il punk
Che rapporto ha con il cinema di Tarkovskij e Lynch?
Sono due registi che durante la visione ti traumatizzano, ti trasportano in un'altra dimensione. In Tarkovskij possiamo, visione dopo visione, scoprire dei dettagli mai scoperti.
E che cos'è per lei il punk?
Il punk è quello che è successo alla nostra generazione negli anni Sessanta e Settanta. C'è stata questa ribellione, prima nella poesia e poi anche nella musica. In quegli anni la produzione musicale è stata ricca: il punk e poi il post-punk... è stato eccitante, mi ha dato molti spunti per la mia carriera. Anche a livello europeo tutto questo si è sentito. Nella nostra generazione si collaborava, italiani, francesi e spagnoli, nonostante si fosse una minoranza nella società: c'era molta complicità. È stato anche pericoloso... in quel contesto tutto era possibile e poi c'è stato un calo, un tracollo. E come diceva Joe Strummer: punk per un giorno, punk per sempre. All'inizio del movimento punk non si immaginava che ci fossero anche pittori, scrittori, registi punk: la musica è stata un pretesto per sviluppare tante altre cose. Ma è stato tanto tempo fa.
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Il cinema in pellicola e la produzione comunista
Cos'ha forgiato il suo stile?
Quando ho iniziato ad avere l'idea per questo film mi riferivo al cinema tedesco e sovietico degli anni Venti. E anche all'internazionale situazionista. Ho iniziato la mia carriera come scrittore. Poi, a 23 anni c'era il "no future", non c'era futuro, e quindi sono entrato nella scuola di cinema. Così ho scoperto il cinema francese. Sono un fan di Melville, ho scoperto i suoi film quando ero a Tolosa e ho scoperto tutto il cinema noir americano degli anni Quaranta. Se non avessi iniziato a fare la scuola di cinema non avrei mai cominciato a fare cinema. Ho scoperto che era necessaria una macchina da presa e la pellicola: appena entrato nella scuola di cinema ho toccato la pellicola e ho capito cos'era il cinema, una sorta ti transustanziazione della fotografia. È stata un'esperienza sconvolgente. Quando mi hanno proposto di scrivere un libro sul cinema ho scritto di pellicola. E ho capito come la pellicola stesse pian piano scomparendo dal cinema. Nonostante ami il video, credo che il cinema digitale sia qualcosa che assomiglia al cinema, ma non è proprio cinema. E quindi ho deciso di continuare a fare film in pellicola, super 8, 16 mm, 35 mm. Può sembrare idiota, ma rapportarsi alla pellicola è come un desiderio sessuale.
Anche 9 Doigts, ovviamente, è girato rigorosamente in pellicola...
9 Doigts è un film low budget - 2 milioni di euro - ed è girato in pellicola 35 mm. E quindi la produzione è stata una produzione comunista! Tutti sono stati pagati alla stessa maniera, è stato fatto in collaborazione con il laboratorio di stampa e c'è stata questa parificazione dei salari. Il film è stato girato in pellicola e in postproduzione è stato fatto un lavoro diverso rispetto al cinema digitale. I mezzi di produzione, i luoghi che non sono economici. E il cinema girato in pellicola è una realtà diversa, fisica, chimica, una realtà oggettiva e ottica. Questo genere ci porta ad avere una disciplina organica nella produzione del film. È qualcosa di sacro, bisogna rapportarsi con esso in maniera diversa. E quando il film è girato è girato, non si può più modificare. Quello che trovo meraviglioso del cinema è che è l'unico modo di espressione che si fa in un presente assoluto. Si gira e poi si monta. È come uno scrittore, prima scrive il suo romanzo e poi lo taglia e lo sistema: noi lo facciamo al montaggio. È la luce dell'istante, del momento.
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Il noir e il MacGuffin
Una delle cose più interessanti di 9 Doigts è la libertà nel ricodificare il noir. Trova delle affinità con i film di Kaurismaki?
Amo molto Kaurismaki. In Francia non c'è una scuola riguardo a questa libertà nell'intrepretare il genere. Ma la mia passione per Melville, nell'affrontare il genere, è una cosa importante.
Il carico della nave in parte è svelato, ma in realtà è un MacGuffin. Come è stato rapportarsi con questa figura hitchcockiana?
Notorious - L'amante perduta di Hitchcock è il mio film preferito, e un altro è Rapporto confidenziale (Mr. Arkadin) di Orson Welles. Penso che sia importante vivere e rivedere la storia del cinema. Il cinema ha poco più di un secolo di vita e si è fermato agli anni Novanta. Nella scrittura nessuno mai penserebbe di rinnegare il passato. Bisogna andare indietro a cogliere qual è l'essenza, abbiamo il diritto di recuperare informazioni, schemi, racconti dalla storia del cinema. Perché siamo nel nostro tempo ma anche in quello passato. Vediamo nella pittura come nel Medioevo e nel diciottesimo secolo sia stata recuperata l'arte romana. Io preferisco fare un cinema poetico, una poesia del cinema, piuttosto che un romanzo del cinema. Trovo che il genere sia di molta ispirazione. Come nella poesia, un'elegia è diversa da un sonetto... così anche se all'interno del film c'è un cambiamento di genere questo va tenuto in conto. Cambia se faccio un film noir o un film di fantascienza: l'attinenza ai generi è importante.
Questi uomini che si muovono senza muoversi è una metafora della nostra esistenza, in cui cerchiamo, cerchiamo senza sapere cosa?
È vero, i personaggi non pensano al futuro. Chi, come il personaggio principale, pensa al futuro viene deriso dagli altri.
La colonna sonora punk industriale e gli attori
Cosa ha chiesto ai musicisti per la colonna sonora?
È un gruppo punk industriale, i Messagero Killer Boy / MKB Fraction, che ha suonato dal 1985 al 1994. Il chitarrista ha continuato a fare musiche da film con me dal 1990, è stata un'esperienza esaltante, nonostante avessero pochissimo budget, lavorare insieme alla musica è stata un'esperienza importante... un'esperienza punk! La colona sonora dei titoli di coda è tratta dal live dal gruppo. Il chitarrista è morto nel dicembre del 2018.
Cosa c'è nel suo futuro?
Spero di fare un film, lo sto scrivendo. Fare film è un'esperienza particolare. Se si fanno tanti film serve tanto denaro. Quello che mi eccita del lavorare a un film è questo lungo processo di scrittura, dall'inizio fino al momento del montaggio. Questo può accadere grazie all'appoggio del centro nazionale di cinema. Per 9 Doigts, dopo due mesi che eravamo partiti non sapevamo se sarebbe stato possibile portarlo a termine. Nonostante il produttore fosse un grande produttore portoghese abbiamo avuto delle difficoltà, il budget era basso. È interessante che un film si crei giorno per giorno, si oscilla e non si sa dove si possa andare. È stato difficile recuperare una nave su cui girare. Ci sono altri film girati su una nave, molto costosi, ma non sono molto riusciti.
Per un regista punk qual è il rapporto con il set?
Tutti i film sono differenti. 9 Doigts è stato facile: c'era un ottimo scenografo un brasiliano che ha studiato in Francia e, nonostante avessimo un budget basso, ci siamo capiti al volo ed è stato fatto un ottimo lavoro. Anche gli attori sono molto giovani e sono arrivati sul set con molto entusiasmo. Il film veniva inventato giorno per giorno. Ho mescolato attori di diverse origini. Ci sono stati attori giovani come Paul Hamy, attori più esperti come Pascal Greggory: è il primo attore che ho scelto. Viene anche lui da una generazione che vuole fare cinema d'autore. Gaspard Ulliel è un attore francese molto professionale, ha le sembianze degli attori francesi degli anni Trenta. È stato devoto al film, e ha un'ottima dizione. Gli attori si sono avvicinati al film per l'arte più che per i soldi.