Fede VS sport
Molti sostengono che lo sport abbia parecchio a che fare con la fede. Se si tratta di tifo, sicuramente: l'affetto per una squadra indipendentemente dal suo piazzamento o dal valore delle sue prestazioni, la simpatia per un atleta anche quando commette errori grossolani, o non è all'altezza del proprio nome, sono sensazioni che chiunque ha sperimentato. Ma ancora più potente è il sentimento di chi lo sport lo vive in prima persona, e non solo da spettatore: la disciplina, l'abnegazione, lo spirito di sacrificio sono il pane quotidiano con cui deve sostentarsi chiunque voglia primeggiare. La tendenza alla perfezione, lo sforzo costante per superare i propri limiti, per arrivare a meritare il riconoscimento finale, sono concetti che sia sportivi che uomini di Chiesa hanno ben presenti: ma cosa succede se uno sportivo vuole diventare anche un uomo di Chiesa?
Sembra impossibile mettere la stessa energia in due obiettivi così esigenti in termini di risorse, siano esse fisiche o spirituali: e quindi il giovane Tommaso decide che può rinunciare alle Olimpiadi, pur di farsi frate. Non altrettanto rassegnato è però suo padre Mario, ex centometrista che vede nell'affermazione del figlio un riscatto della propria carriera, partita secondo i migliori presupposti ma arenatasi di fronte alle sfide più importanti. Si aggiunga a questo che Mario si sente anche tradito dall'amico Angelo, meglio noto come monsignor Paolini, reo di aver instillato in Tommaso quelle che a suo dire sono assurdità atte solo a rovinare il suo altrimenti fulgido futuro. Ma la fervida mente di Angelo, sempre impegnata in qualche progetto sopra le righe volto ad avvicinare i giovani alla parola di Dio, non ritiene incompatibile la vocazione di Tommaso con la pratica sportiva. Tutt'altro: una squadra di atletica, in cui il ragazzo potrebbe militare insieme ad altri ex sportivi in forza a varie missioni e conventi sparsi per il mondo, darebbe risalto all'immagine della Chiesa nel mondo, rivelandone la natura più aperta e vicina alla vita reale. Monsignor Paolini e Mario, per l'occasione nel ruolo di preparatore atletico, inizieranno quindi un viaggio intorno al globo alla ricerca di soggetti idonei all'esperimento, nel tentativo di formare una squadra in grado di qualificarsi alle Olimpiadi, e di dimostrare così che la fede non è incompatibile con altri tipi di passione. Apparentemente non c'è niente di strano nell'idea di monsignor Paolini, e quindi del regista Raffaele Verzillo, qui alla sua seconda prova cinematografica dopo Animanera: il Vaticano è uno Stato a tutti gli effetti, e quindi perché non potrebbe avere una squadra olimpica? Spesso, la risposta più semplice è quella giusta, e cavalcando questa logica allora non si può non concludere che, in effetti, non c'è nessun motivo per cui non ce l'abbia. Ma, come si sa, non sempre le cose logiche sono realizzabili senza ostacoli, anzi: ci si mettono i pregiudizi, la burocrazia, soprattutto una certa ipocrisia a rallentarle. E nel film di Verzillo questo si vede, sebbene il regista sia sempre molto attento a conservare un'immagine della Chiesa decisamente edulcorata, che nel peggiore dei casi è tradizionalista (e comunque mai fino all'estremo), ma che per la maggior parte è fatta di persone dalla mente aperta, sensibili e attente alla sostanza più che alla forma. Ma d'altro canto il film non fa mistero del suo essere una commedia nel più classico dei significati, un film cioè in cui si ride, spesso, si sorride, ancora più spesso, e se c'è qualche critica da fare la si fa in modo bonario, perché non è sempre necessario guardare al peggio quando qualcosa di salvabile ancora c'è. In questo volersi attenere alla struttura storica della commedia all'italiana, 100 metri dal Paradiso non offre grosse sorprese dal punto di vista dell'intreccio: lo sviluppo della storia è abbastanza prevedibile, imprevisti (o, appunto, cosiddetti tali) compresi, tanto da lasciare nello spettatore la rassicurante sensazione di aver assistito a una sorta di favola in cui, nonostante le difficoltà da affrontare, si sa che alla fine tutto andrà per il meglio. Ad impartire quel guizzo in più al lavoro di Verzillo ci pensa il cast, che, a cominciare dal protagonista Domenico Fortunato, è in grado di regalare spessore e credibilità ai personaggi, sempre un po' archetipici come richiesto dal genere, ma costruiti in modo da far divertire e commuovere per il proprio sincero realismo.
Il rapporto tra padre e figlio, così come quello con la propria spiritualità, e anche l'esigenza di venire a patti con se stessi pur di ottenere ciò che davvero si vuole sono i temi importanti che animano il film, suggeriti garbatamente quando con ironia, quando con un atteggiamento più pacato. E se i toni si mantengono sempre leggeri, non per questo il peso delle riflessioni che la vicenda di Mario, Tommaso e Angelo suscita risulta banalizzato: 100 metri dal Paradiso è un esempio di come sia ancora possibile realizzare una commedia garbata, in cui si ride senza ricorrere alla volgarità gratuita, e di come un approccio scanzonato non sia necessariamente sinonimo di vacuità.
Movieplayer.it
3.0/5