A riflettori spenti, finita la grande "sbornia" di pellicole, dei generi più disparati, provenienti dall'estremo oriente, si può e si deve tentare un bilancio conclusivo di questa undicesima edizione del Far East Film Festival: un'edizione che, nelle parole della presidentessa del CEC Sabrina Baracetti, ha rappresentato un po' un "secondo inizio" per il festival friulano, arrivando dopo quella, fondamentale, del decennale, chiamando il Far East a confermare quanto costruito negli anni passati e lottando inoltre con una crisi economica che non ha risparmiato il cinema, anche quello proveniente dall'estremo oriente. Bilancio che, è bene dirlo subito, è più che positivo, confermato anche dall'enorme partecipazione di pubblico, migliaia di appassionati fedelissimi provenienti da tutta Italia (e non solo), e dal calore che questi ultimi tributano ormai da anni a questa manifestazione. Certo, qualcosa da registrare e da rivedere c'è: in primis la questione del Visionario (perché eliminare le comode navette che, fino a poche edizioni fa, facevano la spola dal cinema al Teatro Nuovo e viceversa?) e la scarsa valorizzazione di una retrospettiva importante come quella su Ann Hui, regista tra i più importanti della Hong Kong degli anni '80, che ha presentato a Udine il suo pacato, bel dramma familiare The Way We Are ; e a questo proposito ci si chiede anche perché si sia scelto di limitare l'iniziativa ai lavori televisivi della regista, considerata anche la durata limitata, cinque giorni su nove, della retrospettiva. Qualche proiezione ha fatto registrare anche una sovrabbondanza di posti riservati in platea (nel film di apertura Ong Bak 2 coprivano la quasi totalità del settore) costringendo molti spettatori a scomode visioni nelle gallerie superiori.
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La cinematografia di Hong Kong ha risentito senz'altro maggiormente della crisi, unitamente a una difficoltà (anche a causa della censura) a proporre produzioni che coinvolgessero i capitali della Cina continentale: nonostante ciò, l'epopea marziale di Ip Man ha colto nel segno, a cominciare dalle furiose scene di combattimento, mentre titoli come The Beast Stalker e Connected (raro esempio, quest'ultimo, di remake hongkonghese di una pellicola americana - il recente Cellular) avranno fatto credere a molti di ritrovarsi nel ventennio d'oro dell'action hongkonghese, quello tra gli anni '80 e i '90. Da segnalare anche il ritorno di Herman Yau con una pellicola come True Woman For Sale, magari non originalissima ma narrativamente divertente e sincera negli intenti.
Nella proposta della Cina continentale, la cui produzione è stata condizionata, nel 2008, dall'evento-clou delle Olimpiadi, spicca la "trasferta" del maestro hongkonghese Tsui Hark con il colorato All About Women, il divertente e furbo Crazy Racer, l'interessante e problematico The Equation of Love and Death, diretto da uno dei registi più interessanti degli ultimi anni come Cao Baoping. Proprio di Cao è stato proposto anche, come evento speciale, il thriller politico Trouble Makers, che lo staff del Far East non riuscì a portare a Udine nel 2006: film anch'esso interessante, ma probabilmente penalizzato dalla collocazione a fine festival (Yattaman di Miike era terminato da poco). Le commedie Desires of The Heart e If you are the One hanno convinto poco, penalizzate da eccessivi ammiccamenti al nuovo pubblico, più disimpegnato, del cinema cinese; mentre The Story of the Closestool è un prodotto di segno opposto, classicamente mainland, ma ugualmente privo, in sostanza, di mordente.
La Corea del Sud ha portato a Udine una selezione variegata di pellicole, in cui spicca principalmente il furioso "oriental western" The Good, The Bad, The Weird di Kim Ji-Woon, sentito e divertito omaggio al nostro Sergio Leone. A Frozen Flower è un sontuoso (melo)dramma in costume che deve molto all'epica shakespeariana da una parte, e all'estetica degli ultimi film di Zhang Yimou dall'altra; mentre The Accidental Gangster è uno squilibrato mix di wuxia e commedia, che cerca di rifare il verso al maestro hongkonghese Stephen Chow ma riesce spesso, purtroppo, ad annoiare. Nella selezione vanno comunque ricordati titoli come la commedia Scandal Makers (un po' a sorpresa seconda classificata nell'Audience Award) e soprattutto il bel My Dear Enemy, storia d'amore giocata sottotraccia, narrativamente intelligente, visivamente affascinante.
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Il contributo del cinema di Singapore si è limitato al poco convincente, derivativo horror Rule #1, mentre Taiwan ha portato al Far East l'interessante e fortunato Cape No.7, commedia romantica incentrata sui temi dell'amore e della memoria. Sul fronte filippino è almeno da segnalare il dramma sociale Caregiver, incentrato sul difficile tema dell'emigrazione, mentre lo storico Baler e il romantico My Only U hanno peccato entrambi, nei rispettivi generi, di una certa convenzionalità.
Complessivamente, come si diceva in apertura, non si può comunque che tracciare un giudizio più che positivo su questa edizione della manifestazione friulana, che ancora una volta è riuscita a mediare tra le esigenze del pubblico (equamente diviso tra appassionati, scopritori e semplici curiosi del cinema orientale) e degli addetti ai lavori, mantenendo la sua natura autenticamente popolare. Una vera e propria "festa" (la cui formula dovrebbe forse essere d'esempio a chi, in passato, ha usato questo termine un po' a sproposito, per manifestazioni che di popolare avevano ben poco) che si è giovata di un'organizzazione ormai più che collaudata, che ha fatto ancora una volta della varietà della proposta il suo punto di forza principale. Non resta che dare l'appuntamento a tutti a fra un anno, sperando che le istituzioni pubbliche sappiano valorizzare e sostenere un festival come questo in modo ancora più convinto e significativo.