È stata un'indubbia emozione, per chi scrive, trovarsi a pochi metri da quella che, nel suo campo, è una vera e propria leggenda; forse l'unico autore orientale di colonne sonore che ha eguagliato, per popolarità e considerazione, i compositori statunitensi ed europei. Joe Hisaishi, con i suoi riconoscibilissimi score per i film di Takeshi Kitano e Hayao Miyazaki, ha contribuito per una notevole porzione a dare al cinema asiatico (e a quello giapponese in particolare) una visibilità inedita nel corso degli ultimi vent'anni.
Dopo il concerto che, nella serata del 24 aprile, ha costituito un "antipasto" di lusso per il pubblico del Far East Film Festival di Udine (che gli ha tributato il premio alla carriera) il maestro nipponico ha incontrato oggi la stampa intervenuta nella manifestazione friulana; parlando degli aspetti maggiormente tecnici del suo lavoro, del suo rapporto con la Settima Arte, ma anche svelando gli aspetti più personali ed emozionali del comporre colonne sonore, e il modo in cui il cinema stesso abbia influenzato il suo rapporto con la musica.
Il processo creativo e la messa in musica
Qual è il processo creativo che usa, quando lavora a una colonna sonora? Prima di comporre guarda lo storyboard?
Joe Hisaishi: La prima cosa che faccio è visionare il copione: è importante avere subito un'immagine certa di ciò che saranno i contenuti. Poi, faccio un meeting con regista, e gli chiedo quale sia la tipologia di film che vuole; come terza cosa, cerco di capire i movimenti, la tempistica delle azioni che saranno contenute nel film: alcune magari saranno più veloci, con stile "rush", altre più lente. Ci possono essere notevoli differenze nei movimenti di una persona, anche in quelli di chi entra da una porta e si va a sedere. Misuro il tempo, quindi: la sua comprensione è un elemento di grande importanza.
Come conduce l'orchestra durante la registrazione di una colonna sonora?
Mi occupo sempre direttamente della direzione dell'orchestra: per cercare di trasmettere le sfumature più sottili di una composizione, devo farlo in prima persona. In genere, inoltre, i tempi sono molto stretti: per far capire ai performers precisamente cosa devono fare, e per farlo in così poco tempo, devo occuparmene io.
Qual è l'azione che preferisce tra suonare il pianoforte, condurre un'orchestra o comporre musica?
Per rispondere a questa domanda potrei usare una metodologia ad esclusione: suonare il pianoforte non mi piace tanto, ma a dire il vero non amo particolarmente neanche condurre: si tratta dello scontro di una singola persona contro 80-90, ed è quindi un grande sforzo. L'ultima cosa che resta è la composizione, quindi: ma questa in realtà è la cosa più dura. Tra le tre attività, questa è forse la più dolorosa, perché a volte succede che non si abbia niente in mente, e si cerchi disperatamente l'ispirazione. Spesso sperò capita che l'ispirazione nasca nei momenti più impensati, durante la notte, e lì arriva anche l'emozione nasce l'ispirazione e l'emozione: per questo, comporre è allo stesso tempo la cosa che odio e che amo di più.
Il rapporto con il regista
Lei ha musicato anche il remake di un film di Yasujiro Ozu, Tokyo Kazoku. Come si è sentito a misurarsi con un modello tanto importante?
Quel film nasceva come un omaggio a Ozu, e il regista ha mantenuto quell'accezione. Ma io, nell'ambito musicale, non ho mai fatto riferimento all'opera originale: ho cercato, piuttosto, di tenere come punto di riferimento un'atmosfera di protezione, nei confronti di una coppia di anziani che attraversano i loro anni più tardivi.
Che ricordo ha della sua prima regia, Quartet? Quell'esperienza ha cambiato il suo modo di relazionarsi coi registi, nei suoi lavori successivi?
Si è trattato di un episodio, in cui ho cercato di cimentarmi come regista. Lì ho capito che quello è un mestiere tremendo, faticoso. Dopo, in effetti, ho cambiato un po' il mio modo di approcciarmi verso i registi: ho cercato di pormi di più nel loro punto di vista, di capirne le dinamiche. Poi, però, mi sono riguadagnato la mia autonomia: perché mi sono detto che comporre musica, comunque, è un mestiere diverso e distinto da quello del regista.
Da quale regista occidentale accetterebbe una richiesta di collaborazione?
La cosa fondamentale, per me, è che ci sia la voglia di trattare la musica come un'opera: mi basta che un regista voglia dare questa impostazione alla colonna sonora. Ora, sono molti i film in cui, al contrario, la musica viene attaccata secondariamente alle immagini, senza una dignità autonoma: con quel tipo di regia non ho mai avuto a che fare, e sinceramente voglio continuare a non averci a che fare.
Tradizioni e innovazioni
Qual è il suo rapporto con la musica tradizionale e popolare giapponese?
In realtà, questo rapporto non esiste più neanche nel giapponese medio, e non solo nella musica. Nella storia giapponese, all'inizio di quella che è stata chiamata la "restaurazione Meiji", c'è stata una grossa immissione di cultura occidentale, ed è stato buttato via molto della cultura tradizionale del paese. Una seconda tappa di questo processo c'è stata dopo la Seconda Guerra Mondiale: allora, abbiamo subito l'occupazione americana, e l'introduzione della loro cultura. La storia giapponese è molto particolare: non c'è più un vero collegamento col passato. Nella musica, forse, questo resiste solo in un genere musicale, l'Enka.
Conosce il melodramma italiano, e, se sì, questo ha avuto qualche influenza sulla sua opera?
Ascolto, mi capita di ascoltare, le opere di Verdi e di Puccini: molte delle composizioni italiane hanno melodie chiare, luminose, e per questo le apprezzo molto. Al tempo stesso, però, contengono anche dei contrasti, una bidimensionalità che trovo affascinante.
I progressi nella tecnologia hanno cambiato il suo modo di lavorare?
Sì, senza dubbio. Ora, la parte iniziale la faccio a mano, col pianoforte, ma le rifiniture e gli spartiti ormai sono affidati al computer. Uso la tecnologia in modo personale, ma per il minimo indispensabile: farsi comandare non è una cosa positiva. Il risultato dev'essere sempre il riflesso del proprio mondo creativo: per questo, resto "analogico", per quanto possibile.
Melodia o minimalismo?
Qual è il suo rapporto col cinema di Takeshi Kitano? Lui adotta un'estetica completamente diversa da quella dei film dello Studio Ghibli.
Quelli di Miyazaki sono film di animazione, quindi durante la composizione cerco di creare una vera e propria melodia. Per i film dal vivo, invece, approccio il mio lavoro in modo diverso, creo composizioni più minimaliste: in quei casi, quindi, uso di più quella che si può definire una sfaccettatura artistica.
In realtà, anche nei film in cui crea composizioni più melodiche, si sente sempre l'approccio del minimalismo: nelle sue composizioni c'è sempre un dialogo tra il frammento e la lunga melodia. Questo modo di comporre è sempre stato il suo, o c'è arrivato tramite il cinema?
Io non mi ritengo un compositore di opere melodiche: in realtà sono sempre stato più vicino al minimalismo. Poi, quando ho fatto la colonna sonora di Nausicaa, mi sono reso conto di avere anche la capacità di creare melodie elaborate. Continuo quindi a fare avanti e indietro tra le due cose, a usare una dialettica tra questi due elementi.
I capolavori di Miyazaki sono ricchi di macchine volanti e personaggi che volano. Cosa significa, per un musicista, mettere in note l'idea del volo?
Da un certo punto di vista, volare è sempre stato il sogno dell'essere umano; quando creo quelle composizioni, voglio collegarmi alla speranza di questo sogno di volare. Il volo può contenere anche scene di dinamismo, di velocità: adattare a queste scene una musica più lenta, può creare un contrasto emotivo interessante. Ogni scena, comunque, è un caso diverso.
L'impegno, il presente e il futuro
Lei si è molto impegnato nelle attività di supporto alle popolazioni colpite dal terremoto del 2011. Cosa pensa del disastro di Fukushima? Secondo lei ora, a quattro anni di distanza, quella è una zona più sicura?
Alle attività benefiche ho partecipato, e ho tutta l'intenzione di continuare, nei limiti del possibile. Ma non sono ottimista: ci sono problematiche radicate, in quella zona, di cui ancora non si è parlato, problematiche che potrebbero venir fuori in un secondo momento. Le zone contaminate hanno subito una grossa perdita, da molti punti di vista: non sappiamo se, e quando, l'energia atomica potrà essere considerata qualcosa di veramente pulito. Come persona e cittadino giapponese, comunque, continuerò a fare il possibile.
Si è divertito, durante l'esibizione di ieri? E cosa è significato, per lei, ricevere il premio alla carriera da parte del Far East?
Nella prima parte del concerto avevo gli strascichi di un fastidioso raffreddore, non mi sentivo benissimo. Ma dopo, devo dire che è stata una bellissima esperienza: nel concerto c'è sempre una collaborazione tra orchestra e pubblico, e, in questo caso, tutti insieme abbiamo creato un'esperienza gradevole e positiva. Ne sono felice. Per quanto riguarda il premio, io accetto volentieri qualunque riconoscimento mi venga conferito: per me è sempre ragione di gioia, perché esprime una valutazione positiva. È una doppia ragione di gioia, poi, se questa valutazione arriva in Italia.
Dopo aver ricevuto questo premio, cosa vorrebbe che fosse ricordato della sua musica, tra cinquanta o cento anni?
Non ci ho mai pensato, sinceramente. Sono una persona che non ha un grandissimo interesse nei confronti di ciò che ha creato in passato: quando devo affacciarmi ai brani che ho scritto nel passato, sento che questi non solleticano il mio interesse e la mia curiosità, almeno non come le creazioni future. A me spinge l'idea di creare ancora, in futuro: se poi, tra cento anni, per qualche motivo i miei brani non saranno più ascoltati, personalmente mi va bene così.