Lui racconta le storie più semplici, e in questo credo che emerga il suo vero genio (...). Molti suoi film non si possono descrivere perché le trame sembrerebbero insignificanti, e invece in realtà ci fa intraprendere un viaggio spirituale.
Nel 2015, introducendo una proiezione de Il raggio verde ad Austin, Richard Linklater descriveva in questo modo la poetica al cuore della filmografia di Eric Rohmer. L'adorazione di Linklater nei confronti del grande regista francese, del resto, non costituirà una sorpresa per chiunque conosca, anche solo in misura minima, entrambi i cineasti: senza Eric Rohmer, del resto, probabilmente non avremmo mai avuto la trilogia di Jesse e Céline, o perlomeno non nei termini con cui ha preso forma a partire dal capostipite del 1995.
Eric Rohmer, nome d'arte di Maurice Henri Joseph Schérer, si spegneva a Parigi l'11 gennaio 2010, alla soglia dei novant'anni, dopo essere rimasto attivo sul set fino a poco tempo prima (il suo ultimo lavoro, la fiaba bucolica Gli amori di Astrea e Céladon, era stata presentata in concorso al Festival di Venezia 2007). E al di là della sua incommensurabile influenza su registi di varie generazioni e nazionalità, da Abdellatif Kechiche a Hong Sang-soo passando appunto per Richard Linklater, i film di Eric Rohmer restano un patrimonio preziosissimo, da far conoscere e riscoprire quanto più possibile e agli spettatori di ogni età. Perché si tratta di film che hanno il dono di riuscire a parlare a tutte e di tutte le età: con quella spontaneità, quella leggerezza e quella profondità di sguardo sintetizzate alla perfezione nell'aggettivo "rohmeriano".
Eric Rohmer, l'ex professore con un futuro da regista
Prima di essere un regista, Eric Rohmer è stato un insegnante, un giornalista, uno scrittore (nel 1946 pubblica il suo unico romanzo, Elisabeth, con lo pseudonimo di Gilbert Cordier) e, in seguito, un critico cinematografico. Esperienze e passioni, dalla letteratura alla filosofia, destinate inevitabilmente a confluire nella futura carriera di questo cinefilo che, a trent'anni, si trova a collaborare con André Bazin nella leggendaria redazione dei Cahieurs du Cinéma. Non è di poco conto che la 'formazione' di Rohmer sia avvenuta al fianco di figure quali Jean-Luc Godard, Jacques Rivette e Claude Chabrol (e con Chabrol, nel 1957 firma a quattro mani la prima, importante monografia mai dedicata ad Alfred Hitchcock), a cui si unirà di lì a breve un giovanissimo François Truffaut.
Considerato uno dei "padri fondatori" della Nouvelle Vague, Rohmer tuttavia non riceve da subito l'attenzione raccolta dai suoi amici ed ex colleghi dei Cahieurs: dopo una serie di corti il suo film d'esordio, Il segno del leone, cronaca di una solitaria estate parigina, ci metterà più di due anni per essere distribuito nelle sale. Nel frattempo però Rohmer dà inizio a quel progetto dei Racconti morali che, alla fine degli anni Sessanta, gli varrà la meritata consacrazione internazionale: nel 1967 il suo secondo lungometraggio, La collezionista, ottiene il Premio della Giuria al Festival di Berlino, mentre nel 1969 La mia notte con Maud entusiasma la critica europea ed americana e gli farà guadagnare le nomination agli Oscar per il miglior film straniero e la miglior sceneggiatura.
I 400 colpi: François Truffaut e la "nuova onda" del cinema
Parole, parole, parole: esprimere una visione del mondo
A partire dal successo de La mia notte con Maud, Eric Rohmer è diventato uno dei nomi di punta della cultura francese, ma pure un regista estremamente riconoscibile: perché in pratica tutti i suoi titoli portano impresso il "marchio di fabbrica" di un autore sempre fedele a una precisa idea di cinema. Che si tratti di pellicole di ambientazione contemporanea, di trasposizioni letterarie come La marchesa von... (tratto dalla novella di Heinrich von Kleist) e il sofisticato Perceval le Gallois (dal poema di Chrétien de Troyes, di cui nel film vengono addirittura mantenuti i versi), oppure dei due drammi storici diretti nel suo ultimo decennio di carriera, La nobildonna e il duca (nella cornice della Rivoluzione Francese) e Triple agent (un racconto di spionaggio nella Francia degli anni Trenta), un film di Rohmer presenta in ogni caso tratti inconfondibili e caratteristiche ricorrenti.
Innanzitutto, le parole: l'attività primaria dei personaggi rohmeriani è il parlare. In quelli che si potrebbero affettuosamente definire "film di chiacchiere", i protagonisti parlano per una molteplicità di motivi: per definire se stessi e per illustrare i propri punti di vista; per confrontarsi con gli altri (talvolta per sedurli) e per motivare o giustificare le loro scelte; in sostanza, per tentare di esprimere una visione del mondo - o meglio, del proprio mondo - che da lì a poco sarà incrinata dagli eventi. Perché la realtà, ci insegna Rohmer, è di rado come ce la aspettiamo, e non si lascia ingabbiare nei nostri schemi cognitivi né nei nostri sistemi morali (non a caso la passione rohmeriana per la filosofia fa capolino in più occasioni).
Bruno Ganz: i grandi ruoli dell'attore de Il cielo sopra Berlino
Il cimema di Rohmer dai 'Racconti morali' alle 'Quattro stagioni'
È una delle maggiori lezioni che possiamo trarre dal cinema 'chiacchierosissimo' di Eric Rohmer: imparare ad accettare la complessità del reale, la sua imprevedibilità e la sua contraddittorietà, rimodellando di volta in volta la nostra prospettiva sull'ambiente e le persone che ci circondano, ma ancor di più su noi stessi. È quanto imparano a proprie spese lo studente invaghito di una ragazza che sparirà all'improvviso ne La fornaia di Monceau (delizioso cortometraggio di circa venti minuti, che nel 1963 apre il ciclo dei Racconti morali); l'antiquario che ne La collezionista si impegna a resistere allo charme di una sensuale adolescente; il Jean-Louis Trintignant del capolavoro La mia notte con Maud, vittima dell'attrazione per la donna del titolo; o il Jean-Claude Brial che ne Il ginocchio di Claire, altro classico della produzione rohmeriana, si farà trascinare in un languido gioco di seduzione.
Dopo i sei Racconti morali, conclusi nel 1972 da L'amore il pomeriggio, negli anni Ottanta Rohmer realizza il suo secondo ciclo cinematografico, i sei capitoli delle Commedie e proverbi: altre storie d'amore e di seduzione in cui però la focalizzazione è in prevalenza quella di protagoniste femminili, di età compresa fra la quindicenne di Pauline alla spiaggia, alle prese con il proprio "tempo delle mele", e una Marie Rivière alla soglia dei trent'anni ne Il raggio verde, vincitore del Leone d'Oro come miglior film al Festival di Venezia 1986. L'approccio ancora più intimista e quotidiano adottato da Rohmer nelle Commedie e proverbi sarà replicato, nel decennio successivo, nei Racconti delle quattro stagioni, nonché nelle commedie a episodi Reinette e Mirabelle e Incontri a Parigi.
Dalla Trilogia a Boyhood: il ritmo della vita nel cinema di Richard Linklater
I personaggi rohmeriani, fra realismo e tenerezza
Ed è appunto in questi due cicli, i dieci film di cui si compongono le Commedie e proverbi e i Racconti delle quattro stagioni, che si può ritrovare uno degli elementi più affascinanti del cinema rohmeriano: la capacità di un autore già 'maturo' di mettere in scena l'universo emotivo dei giovani, con una concretezza e un naturalismo che hanno davvero pochi eguali. È vero, lo sguardo di Rohmer possiede una lucidità che inibisce qualunque sublimazione romantica (è la principale differenza fra lui e Truffaut); ma proprio questo straordinario senso di realismo contribuisce a farci sentire vivi e veri i personaggi rohmeriani e a farci partecipare ai loro stati d'animo. E quel sottile 'distacco' non è mai fonte di straniamento e non esclude una solida, umanissima empatia.
Perché il cinema di Rohmer parla anche di noi. Nei suoi film minimalisti e sotto le righe, nei suoi eroi teneri, imperfetti o perfino patetici è impossibile non rintracciare qualche aspetto che appartenga a noi o ai nostri amici: l'insicurezza e la gelosia del ragazzo che si improvvisa detective ne La moglie dell'aviatore o della giovane impiegata coinvolta suo malgrado in una "doppia coppia" di attrazioni incrociate ne L'amico della mia amica; il dilemma fra la stabilità di un rapporto e l'ebbrezza dell'avventura della Louise interpretata da Pascale Ogier nel magnifico Le notti della luna piena; l'indecisione e la precarietà sentimentale della docente di filosofia di Racconto di primavera, della ragazza madre di Racconto d'inverno o della viticultrice ultraquarantenne di Racconto d'autunno, così come dell'aspirante padre di famiglia de La mia notte con Maud o del marito fedifrago de L'amore il pomeriggio.
Un'estate d'amore: 8 grandi film su vacanze, sentimenti e malinconia
L'educazione sentimentale nei film di Rohmer
E in una filmografia il cui principale interesse risiede proprio nei moti sentimentali e nell'inesorabile corto circuito fra amore, desiderio ed egocentrismo, una cornice privilegiata non poteva che essere quella delle vacanze: il tempo riservato a se stessi, alla spensieratezza e allo svago, ma pure a un doloroso faccia a faccia con la propria solitudine. Partendo da La collezionista e Il ginocchio di Claire, si può identificare un intero filone di opere rohmeriane di ambientazione estiva o balneare: dalla "educazione sentimentale" di Pauline alla spiaggia alla Delphine di Marie Rivière del celebre Il raggio verde, un personaggio le cui idiosincrasie si intrecciano con vagheggiamenti romantici intrisi di malinconia, per approdare infine alla girandola di amicizie e di flirt del Gaspard di Melvil Poupaud nel meraviglioso Racconto d'estate.
Guardare un'opera di Eric Rohmer, in fondo, significa far visita a un luogo incredibilmente 'familiare' dove incontrare uomini e donne in cui veder riflessa una parte di noi, del nostro modo di far fronte alle piccole sfide e ai bivi morali di ogni giorno, delle pulsioni, delle paure e delle speranze che contraddistinguono ciascuna stagione della vita; pulsioni, paure e speranze che il regista francese ha saputo illustrare con una sensibilità assolutamente unica da un film all'altro. E l'ammirazione e la gratitudine per il cinema di Rohmer sono legate anche alla consapevolezza che quei film continueranno ancora ad accompagnarci... e magari, all'occorrenza, a farci sentire un po' meno soli.