Gene è una emoji residente nello smartphone dell'adolescente Alex. Il giovane dovrebbe seguire le orme dei genitori e fungere da emoticon dell'indifferenza, ma la cosa prende una piega inaspettata quando salta fuori che Gene è capace di assumere espressioni multiple, mandando in confusione il sistema e il telefono di Alex, alle prese con la sua prima cotta. Mentre il ragazzo decide di far resettare lo smartphone, Gene deve raggiungere un luogo sicuro per evitare di essere disattivato dai suoi superiori. Inizia così un viaggio da un'app all'altra, alla ricerca di una doppia soluzione per i problemi di Gene e Alex...
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L'animazione in crisi
In un mercato americano dell'animazione dominato da Disney/Pixar e, in misura minore, dalla DreamWorks, altri brand stanno cercando di ritagliarsi una fetta di successo (per lo meno commerciale). Si sta gradualmente imponendo il Warner Animation Group, che ha dato vita a uno dei nuovi franchise di punta della Warner Bros. con The Lego Movie (e si appresta a riportare al cinema i personaggi della Hanna-Barbera, a cominciare da Scooby-Doo), ed è ammirevole l'evoluzione artistica e tecnica della Laika, la società che ci ha regalato Coraline e la porta magica, BoxTrolls - Le scatole magiche e Kubo e la spada magica. E poi c'è la Sony Pictures Animation, che nonostante dei discreti successi finanziari, con franchise come I Puffi e Hotel Transylvania, arranca un po' a livello creativo e di apprezzamento critico, al punto che all'ultima edizione del Festival di Annecy, la più grande kermesse dedicata all'animazione, è stato organizzato un panel il cui titolo verteva sulla necessità di rivoluzionare il percorso di questo sottogruppo della Sony.
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In attesa di un potenziale riassestamento che include anche un film animato su Spider-Man, in sala si assiste a quello che con molta probabilità rappresenterà a lungo (forse in eterno) il punto più basso della Sony Animation: Emoji: Accendi le emozioni, un prodotto che trasuda cinismo dalla prima all'ultima inquadratura. Un film che aspira alla follia visiva e umoristica di The Lego Movie o Ralph Spaccatutto e all'inventività emotiva di Inside Out (di cui scimmiotta in parte la struttura narrativa, accantonando però quasi del tutto la storyline umana), ma senza poter minimamente competere con essi dato che l'intreccio e i personaggi sono, in questa sede, secondari a quello che bisogna chiamare, senza peli sulla lingua, l'elemento pubblicitario. Emoji: Accendi le emozioni è infatti, per la maggior parte della sua durata, un lungo spot per le varie applicazioni/estensioni che fanno parte della nostra vita quotidiana (Dropbox, Instagram, Spotify, Twitter), cosa piuttosto grave se si pensa che il film è stato concepito principalmente per un pubblico molto giovane, spesso legalmente incompatibile con i vari servizi (per citare l'esempio più ovvio, Twitter non accetta utenti di età inferiore ai 13 anni).
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Un viaggio frettoloso
In media ci vogliono dai tre ai cinque anni per completare un film d'animazione destinato alle sale cinematografiche, a seconda della tecnica usata e delle esigenze ad essa legate (restando in zona Sony Pictures Animation, I Puffi - Viaggio nella foresta segreta è stato ufficialmente annunciato nel marzo del 2014 ed è arrivato nelle sale americane 37 mesi dopo). Nel caso di Emoji: Accendi le emozioni, il processo è stato molto più rapido: la Sony ha acquisito i diritti del progetto nell'estate del 2015, e il film è stato completato in meno di due anni, per essere pronto per un'uscita in sala a fine luglio 2017 (la data è stata annunciata prima del comunicato ufficiale su trama e cast, come da consuetudine nel clima hollywoodiano odierno). Una corsa contro il tempo che, da un punto di vista puramente pratico, è anche giustificabile: a differenza dei Lego, presenti nella cultura mondiale dal 1949, le emoji sono un fenomeno recente, così come le varie applicazioni presenti nel film, e non era auspicabile rischiare che il lungometraggio uscisse al cinema in un momento in cui, forse, sarebbero passate di moda (basti pensare ad Angry Birds - Il film, che pur non essendo stato un flop ha avuto incassi un po' sottotono rispetto alle aspettative associate al noto brand finlandese).
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A forza però di voler finire entro la scadenza stabilita un film che altrimenti poteva essere fuori tempo massimo è stato consegnato un prodotto - nel senso più deleterio del termine per quanto riguarda l'ambito cinematografico - che rimane inesorabilmente legato al suo periodo d'uscita, senza particolari appigli narrativi o formali che ne giustifichino la visione quando gli oggetti al centro del racconto non saranno più altrettanto onnipresenti, soprattutto presso quel pubblico adulto che sarebbe teoricamente il target più pertinente di un film dove la meta ultima del viaggio è il Cloud. E a causa dei tempi accelerati di produzione quel viaggio ha lo stesso appeal estetico di una versione preliminare dei vari mondi esplorati da Gene, con una resa grafica alquanto indegna di uno sfruttamento cinematografico e più idonea a un'uscita appositamente ideata per il mercato home video. A quella piattezza visiva si sovrappone una noncuranza a livello di scrittura, con gag vuote che si alternano a lunghi tempi morti e un gruppo di protagonisti privi di personalità al di là della funzione basilare assegnata nel contesto del mondo informatico.
Talenti sprecati
Mentre per la versione italiana i ruoli principali sono stati affidati a Federico Russo e Marisa Passera, conduttori della trasmissione FM su Radio Deejay, in originale si ha modo di udire tutta una serie di voci più o meno prestigiose, tra cui T.J. Miller, James Corden, Anna Faris, Sofía Vergara, Maya Rudolph e Christina Aguilera. Ma la menzione d'onore spetta a Patrick Stewart, l'unico a mettere un minimo d'impegno nella caratterizzazione vocale del suo personaggio, ossia Cacca. Non a caso la trovata più simpatica del film è legata a lui: nei titoli di coda, quando vengono presentati i doppiatori originali, la Sony ci tiene a farci sapere che la voce dell'escremento col farfallino appartiene a Sir Patrick Stewart, con enfasi sul titolo nobiliare. Un contrasto effettivamente spassoso, che però non basta a salvare un monumento al cinismo commerciale come Emoji: Accendi le emozioni. Persino i bambini molto probabilmente si divertiranno di più con il cortometraggio che precede il film vero e proprio: Puppy!, un breve racconto griffato Genndy Tartakovsky che ci prepara all'arrivo di Hotel Transylvania 3, in uscita la prossima estate. Anche qui le gag scatologiche non mancano, ma sono accompagnate da una vera comprensione della comicità e delle potenzialità dell'animazione, assente nei meandri di Messaggiopoli.
Movieplayer.it
1.0/5