Col terzo Heimat si chiude la grande saga cinematografica, tra storia e romanzo, sulla Germania, l'ambizioso progetto che il regista tedesco Edgar Reitz ha dedicato alla sua terra e a tutti coloro che cercano una patria. Questa è la cronaca di una svolta epocale raccontata in sei lungometraggi per un totale di undici ore, la storia dell'ultimo decennio del ventesimo secolo di chi ha visto cadere il muro di Berlino e guarda al futuro con più fiducia. A parlarci oggi di Heimat 3 - Cronaca di un cambiamento epocale è il regista Reitz, accompagnato dai due protagonisti Henry Arnold e Salome Kammer.
Si parla molto della nostalgia dell'Est che fu. Perché i tedeschi rimpiangono tanto quel periodo? Edgar Reitz: Sono cresciuto nell'Ovest perciò anch'io conosco questo sentimento solo per sentito dire e per averlo poi tradotto nel mio film. Credo che dipenda molto dal fatto che la gente dell'Est pensava che dopo la caduta del muro tutti i suoi problemi si sarebbero magicamente risolti semplicemente con questo cambio di regime, mentre così evidentemente non è stato perché si è trovata a confrontarsi con tutte quelle illusioni che aveva sulla vita della Germania dell'Ovest ed essere poi costretta in questi anni a rivederle. Questo ha portato anche ad un rimpianto verso alcune cose che aveva prima e che adesso non ha più.
Alla fine di Heimat 2 ci sono delle anticipazioni su quello che sarà il seguito e cioè che il protagonista in realtà non è il genio che avrebbe potuto essere. Nel nuovo Heimat si capisce in effetti che la musica è importante per lui ma non è fondamentale. Quanto questo si intreccia col suo ritorno a casa, con la fine dei sogni, delle illusioni? Edgar Reitz: Ho conosciuto molti musicisti di questa generazione, persone che negli anni Sessanta avevano grandi sogni di autorialità, di essere compositori dell'avanguardia e poi sono finiti a fare i direttori d'orchestra, rinunciando ad una propria creatività, suonando composizioni di autori classici e basandosi quindi sul riconoscimento delle opere che suonavano. Questo credo sia un fenomeno del nostro tempo, uno sguardo rivolto al passato, una rivalutazione dell'arte tradizionale che ti consola rispetto alle poche possibilità che offre il presente per poter creare e consola anche rispetto ai limiti del proprio talento. Questo non è comunque un tema centrale di Heimat 3.
Qual è allora il tema centrale, il cuore di Heimat 3? Edgar Reitz: Si tratta di temi elementari, come per esempio costruire una casa, trovare un luogo dove vivere. Persone come Hermann e Clarissa hanno passato tanto tempo a muoversi da un posto all'altro, a non avere un posto di riferimento fisso, una patria, e ora si trovano con questo bisogno di un luogo dove tornare, dove ci si trovi e dove gli altri abbiano la possibilità di trovarti.
Salome Kammer: Un altro tema centrale è il grande amore. Hermann e Clarissa hanno avuto una relazione tra mille difficoltà per poi ritrovarsi nel tempo. Le circostanze avevano impedito la loro storia, il fato si era accanito contro di loro, ma ora che si sono rincontrati cercano in ogni modo e contro tutti gli ostacoli di costruire e creare un rapporto stabile, con tutti i problemi che si vengono a creare quando due persone cercano di costruire qualcosa.
Come è riuscito a concentrare un intero decennio in sole undici ore? Edgar Reitz: Non sono stato io a voler ridurre Heimat 3 che sicuramente doveva essere più lungo. Il fatto che sia poi stato accorciato e sia diventato di undici ore è legato ai problemi di finanziamento.
Ha avuto qualche finanziamento di Stato per la realizzazione di Heimat 3? Edgar Reitz: I primi due Heimat sono stati fatti senza alcun apporto statale, finanziati esclusivamente da televisioni e prevendite, mentre per Heimat 3 abbiamo avuto sia delle sovvenzioni europee, sia dei finanziamenti dallo Stato tedesco che complessivamente fanno più o meno il 40% del budget totale. Il resto è stato raccolto, come per Heimat 1 e 2, attraverso la televisione e le prevendite estere.
Le saghe filmiche sono sempre caratterizzate da polemiche di carattere politico. Lei ha incontrato questo tipo di problemi in Germania? Edgar Reitz: Quando uscì Heimat, negli anni Ottanta, ci furono delle polemiche soprattutto negli Stati Uniti. Alcuni critici newyorkesi furono irritati dal modo in cui veniva rappresentato il nazional-socialismo. Nei miei film, secondo loro, il fatto che venisse rappresentato da un punto di vista molto quotidiano minimizzava gli orrori del nazismo. Secondo loro l'Olocausto non veniva rappresentato in modo adeguato, se ne parlava troppo poco. E' chiaro che queste polemiche mi hanno molto colpito e addolorato, perché chiaramente non era nelle mie intenzioni ignorare le vittime e gli orrori del nazional-socialismo, ma per me era importante rappresentare quel periodo da un'altra prospettiva, da una prospettiva umana che si ponesse la domanda di come è stato possibile arrivare a ciò e come ci si comporterebbe oggi nelle stesse circostanze. Per quanto riguarda Heimat 3 ci sono state altre polemiche perché comunque tratta un tema politico, lo sguardo sull'ex Germania dell'Est, ma le risposte che do io sono molto simili a quelle di Heimat 1, è solo il contesto storico che cambia.
Nel suo cinema lo stile è molto importante. Perché questa scelta di alternare le scene a colori a quelle in bianco e nero? Edgar Reitz: Il cambiamento dal bianco e nero al colore si trova in tutta la trilogia di Heimat e ogni volta abbiamo cercato di trovare delle motivazioni diverse per questo cambiamento. La vera ragione è che comunque la fotografia in bianco e nero crea un'atmosfera completamente diversa e focalizza in modo differente le cose, dando una certa importanza a certi aspetti piuttosto che ad altri. La fotografia in bianco e nero, per esempio, dà molta importanza al volto umano, è un modo di acutizzare il realismo e di uscire dalla realtà, di citare il cinema classico e questa è un'associazione che è stata molto importante in Heimat 3. Quelle sequenze dove viviamo la storia di un tempo passato il bianco e nero funziona come collegamento con la storia e con la storia del cinema. In Heimat 3 perché gran parte della storia della Repubblica Democratica Tedesca è resa in bianco e nero e ciò ha a che fare con la qualità del ricordo, cioè col modo in cui ricordiamo.
Quali sono i riferimenti del suo cinema? Edgar Reitz: La letteratura è sempre stata la mia fonte di ispirazione più grande, più che il cinema. Ho sempre tratto delle idee, degli impulsi dalla storia della letteratura, anche perché nel cinema il romanzo è una dimensione molto più legata ad uno schema drammatico riduttivo rispetto a quello che permette la letteratura. Il cinema è povero di opere che sono capaci di raccontare un universo narrativo. Uno degli scrittori che mi ha ispirato maggiormente è stato Marcel Proust, che tratta un tema molto filmico, la ricerca del tempo perduto. Trovo che l'arte cinematografica sia uno strumento perfetto per ritrovare il tempo perduto.
In che modo il crollo del muro di Berlino ha inciso sulle vostre vite? Henry Arnold: Personalmente non mi è successo nulla di tutto quello che accade nel film. Il cambiamento più grande è stato per le persone che vivevano nell'Est. Io vivo a Berlino e quello che posso dire è che ho trovato una cosa nuova, cioè il confronto con delle persone con una biografia completamente diversa, con una prospettiva di vita diversa.
Salome Kammer: Nella mia famiglia c'è sempre stata una grande tradizione di avere un rapporto con l'Est. Io avevo un figlioccio, una specie di adozione a distanza, a Dresda, che nel corso degli anni sono andata a trovare ed è stato molto complicato perché dovevo passare ogni volta attraverso numerosi controlli. Suo padre era un operaio e una settimana dopo la caduta del muro è venuto a Monaco ad aiutare me ed Edgar a finire la nostra casa che stavamo costruendo a Monaco.