È giunta l'ora di tirare le somme. Come alla fine dell'anno scolastico, facendo la media con la pagella del primo quadrimestre, il Doctor Who di Moffat viene esaminato su tutte le materie e giudicato da ogni punto di vista per raggiungere il verdetto finale. C'è chi confronta l'operato di Davies con quello del nuovo showrunner, chi smembra gli script per individuare la citazione con cui la stagione appena conclusasi omaggia la serie classica e chi concentra l'attenzione sulle performance dei giovanissimi interpreti Matt Smith e Karen Gillan. Insomma, il cult britannico rischia di finire come i sonetti byroniani in L'attimo fuggente, studiato e vivisezionato a discapito di istinto ed emozioni. Moffat sta cercando di plasmare il suo Doctor Who, rispettando la transizione fisiologica, creando la sua mitologia e applicando la sua poetica alla serie iconica di BBC. Nel processo introduce nuove personaggi e chiude la porta ai vecchi creati da Russell T. Davies, raccogliendo quanto seminato quando era ancora solo sceneggiatore nella clique di quest'ultimo. Lo scozzese mette insieme i pezzi del puzzle che ha sparpagliato nel corso della quarta e quinta stagione e li incastra nel mosaico del doppio finale (anche se qualche sorpresa l'ha tenuta da parte per l'anno prossimo) per dimostrarci, come sempre nell'opera moffatiana, che quello che ci aspettavamo non era affatto quanto ci attendeva. Prima della finale, una manciata di episodi che costituiscono la seconda metà della stagione, realizzati da screenwriter vecchi e nuovi alle scuderie del Dottore.
Amy's Choice è un gioco onirico di sliding doors dove a decidere qual è la cosa giusta da fare è la compagna e non il buon Dottore, crucciato dal fatto che nessuno apprezzi l'intramontabile glamour accessorio del farfallino;
Amy si dimostra una rara coprotagonista femminile in grado - finalmente - di superare l'attrazione per l'alieno e coltivare una relazione sentimentale equilibrata e focalizzata sul fidanzato (umano). The Hungry Earth e Cold Blood non rinunciano alla brumosa ambientazione nelle quiete e fredde campagne della Regina ribadendo, per l'ennesima volta dopo The Eleventh Hour, che questi luoghi più di qualsiasi altri nascondono incredibili segreti. Nel caso di questo doppio episodio, è il sottosuolo britannico a celare nelle sue viscere il popolo dormiente che abitò milioni di anni fa la superficie terrestre prima degli umani. L'antica e avanzata razza rettiloide risvegliata dalle trivellazioni eseguite dalla volitiva Nasreen (interpretata dalla bravissima Meera Syal di Goodness Gracious Me, attrice moffatiana apparsa in Jekyll) si rivela, prevedibilmente, incapace quanto gli intolleranti umani di una convivenza non violenta. Il nuovo Dottore non dimentica la prima direttiva di Nine e Ten, perseguire sempre la via della risoluzione pacifica, ma la natura degli esseri senzienti che abitano il suo pianeta preferito non può smentirsi.Segue una episodio che fa letteralmente scomparire i precedenti, il bellissimo e commovente Vincent and the Doctor. Un discorso a parte merita questa puntata eccezionale incentrata sull'allucinata esistenza di Vincent Van Gogh, il quale ha le sembianze del talentuoso Tony Curran (Il Tredicesimo guerriero). Autore della sceneggiatura Richard Curtis, che entra per la prima volta nell'universo imperituro dei Signori del Tempo; Curtis, uno dei più mirabili sceneggiatori britannici (quello di Mr. Bean e Blackadder, di Notting Hill, di Love Actually e di un piccolo cult degli ultimi anni,
lo scatenato e irresistibile I Love Radio Rock) esordisce nella fantascienza - se di fantascienza vogliamo parlare, o, semplicemente, della favola del Dottore, secondo il punto di vista di Neil Gaiman - con un racconto che di alieno ha solo un mostro solo e impaurito, visibile solamente al visionario pittore olandese. L'incontro tra Vincent, Amy e il Dottore, che ha scorto la creatura in un dipinto di Van Gogh, è memorabile quanto può esserlo l'incontro tra un alieno millenario dall'aspetto di adolescente che ha compreso che l'unico modo per sfuggire alle proprie ossessioni è non lasciarsi avvolgere dalla solitudine, e un genio incompreso che di quella solitudine sta morendo (e impazzendo). I siparietti tra Van Gogh e Amy, che cerca di attirare l'attenzione del pittore sui girasoli per ispirarlo a dipingere la celebre tela con i fiori gialli, stemperano i momenti più drammatici di una puntata emozionante e malinconica, con un finale, in cui la guida della galleria interpretata da Bill Nighy - il serafico ed eccentrico Quentin di Radio Rock - scorge l'artista a cui è stato devoto per tutta la vita, che commuoverebbe un sasso. Vincent & the Doctor non cade, tuttavia, in quei sentimentalismi furbetti che ammorbano tante serie americane.The Lodger, puntata che segue Vincent & the Doctor, soffre non poco schiacciata tra l'eccezionale puntata precedente e i successivi episodi di fine stagione: l'episodio gode della popolarità della guest, James Corden, noto in Gran Bretagna grazie al seguitissimo Gavin & Stacey, il cui personaggio in Doctor Who si ritrova un nuovo curioso inquilino di di insospettabile provenienza.
Craig è innamorato mai dichiarato della sua migliore amica e si rode di invidia per lo squinternato compagno di casa, subito popolare presso gli umani locali grazie a una travolgente abilità di calciatore, ma lo spettatore è troppo occupato a sbirciare nella vita quotidiana del Signore del Tempo (l'Undicesimo Dottore adora la creatività in cucina - ricordiamo con una lieve nausea lo spuntino a base di bastoncini di pesce e crema pasticcera messo insieme nella premiere di stagione - e non lascia mai la doccia libera) per soffermarsi sulle pene del comprimario e su una minaccia aliena che ricorda troppo Il Bambino vuoto - parte 1.Il finale della quinta stagione è, come avevamo intuito fin dalle prime puntate, una spremuta di poetica moffatiana. Lo scrittore scozzese ribalta aspettative e punto di vista, emoziona con le sue storie d'amore che varcano le soglie del tempo e dello spazio, incastrando gli indizi disseminati nel corso della stagione in un quadro finale imprevedibile che fonde senza stridori l'universo narrativo moffatiano e quello whoviano. Il mistero della fenditura nella camera di Amy, la devozione Rory, il ritorno di River Song e il motivo dell'importanza della Compagna nella diegesi di The Pandorica Opens si concatenano per svelare il segreto del sarcofago, realizzando una profezia dai risvolti stupefacenti.
Mentre il Dottore cerca in tutti i modi di violare l'impenetrabile cubo, custodito nel suolo sottostante una gelida Stonehenge presidiata da un avamposto romano, vascelli di tutte le razze nemiche dell'Ultimo Signore del Tempo illuminano il cielo della Terra in attesa che venga rivelata l'identità della creatura più pericolosa dell'universo. Le analogie con il folle e potentissimo Jekyll della miniserie moffatiana, rinchiuso in un sofisticato sarcofago si sprecano, e alla fine, dalla prigione emerge proprio... Hyde! No, scherziamo, l'Hyde interpretato da James Nesbitt era la creatura più potente di un'altra realtà narrativa, e allora a chi è destinata questa volta la scatola? L'essere più pericoloso dell'universo whoviano, temuto e odiato da dalek, cyberman, sontaran etc. altri non è che il Dottore, troppo potente per essere ucciso ma troppo pericoloso per rimanere a piede libero. A scomparire non è la Terra, ma tutti gli altri pianeti, sistemi solari e galassie dell'universo, le stelle ridotte a vestigia mitologiche. E come la Claire di Jekyll, anche Amy si rivela molto più che una comprimaria, entrambe sono il motore degli avvenimenti che rendono possibili la cattura del protagonista: la trappola che inganna l'alieno è tessuta con le memorie dell'involontaria compagna.La season finale è il trionfo irresistibile della volontà sulla realtà - altro tema caro al plasmatore di universi narrativi Steven Moffat - che con la forza evocativa del desiderio piega quella stessa realtà al proprio volere.
Alla fine, si può finalmente festeggiare il futuro che verrà, il Dottore torna a danzare (una danza piuttosto strana, eseguita dal fisico snodabile di Matt Smith), e i whoviani con lui.La prossima stagione, superato l'anno della transizione, si apre sotto i buoni auspici di una qualità superiore delle sceneggiature; Moffat si circonda di screenwriter eccezionali, e oltra a Curtis e a Toby Whithouse (il creatore di Being Human ha scritto Vampires of Venice), la sesta stagione avrà il privilegio di arricchirsi della presenza nientemeno che di Neil Gaiman, il quale ha già completato il suo episodio. La foto che il mirabile narratore ha pubblicato sul suo twitter immortala la trinità letteraria costituita da lui, Moffat e Curtis riempiendo di gioia i whoviani.