Tra i film della selezione di Alice nella città, tradizionale spezzone del festival romano dedicato al cinema per i più giovani, quest'anno si segnala questo insolito Death of a Superhero, dramma incentrato sul tema della malattia e della morte che propone una commistione di cinema e animazione. Un esperimento interessante e coraggioso per un film semplice, che tratta un tema difficile senza pietismo, non lesinando anzi una certa dose di humour per farci entrare nel mondo cupo e affascinante del suo giovane protagonista. Proprio nell'ambito della manifestazione capitolina abbiamo incontrato il regista Ian Fitzgibbon e il giovane interprete Thomas Sangster, per una chiacchierata sul film e sui temi che affronta.
Thomas, come ti sei preparato per questo ruolo? Thomas Sangster: Nello stesso modo di qualsiasi altro ruolo. E' stato abbastanza semplice, anche se ovviamente era un ruolo molto intenso, emotivamente forte. Il makeup mi ha aiutato molto ad entrare nel personaggio, il fatto di guardarmi allo specchio e vedermi senza capelli, con quell'aspetto. Le prove sono durate cinque settimane, ma posso dire di essere entrato davvero nel personaggio solo con l'inizio delle riprese, e in questo il trucco ha avuto un ruolo fondamentale.
Noi sappiamo fin dall'inizio che il protagonista deve morire. Qual è, quindi, la sua ricompensa simbolica, o emozionale, alla fine del film? Ian Fitzgibbon: Credo le ricompense siano due: la crescita e l'amore. E' interessante, nel personaggio di Donald, l'accettazione della morte, infatti nella sequenza animata finale il supereroe allarga le braccia. Alla fine è riuscito ad amare ed è stato amato, e questo amore ha avuto su di lui un effetto terapeutico.Thomas Sangster: Io aggiungerei anche la felicità. E' strano, ma alla fine Donald riesce a raggiungerla, muore felice.
Come mai la scelta di girare il film in digitale? Ian Fitzgibbon: E' stata innanzitutto una scelta economica, legata ai costi di produzione. Resta il fatto che avevamo una macchina da presa digitale straordinaria, che ci ha consentito di effettuare ottime riprese. La resa notturna della città di Dublino è stata molto buona.
Come ha lavorato sull'adattamento del romanzo originale? Ian Fitzgibbon: Ho scritto il film insieme a un amico, il romanzo ci era sembrato subito molto emozionante. Abbiamo spostato la storia dalla Nuova Zelanda a Dublino, in posti che conoscevo bene, che distavano al massimo pochi chilometri da dove vivo. Io ho due figli di 16 e 18 anni, quindi conosco anche bene le problematiche adolescenziali. Ho voluto poi aggiungere l'animazione come un elemento che non spezza la storia, ma al contrario aggiunge un ulteriore strato, quello interiore del protagonista.
Con che ottica sono stati preparati i disegni? Ian Fitzgibbon: L'aspetto interessante è che dovevano dare vita ai sentimenti. In questo senso, non volevo nulla di sofisticato, lo stile doveva essere grezzo: le immagini dovevano essere quelle disegnate da un quindicenne, quello che doveva emergere era il suo mondo interiore.
Cosa le piaceva, in particolare, del soggetto? Ian Fitzgibbon: Il fatto che un quindicenne stesse preparandosi alla morte, mentre i genitori non riescono ad accettare questo evento. L'ho trovato un tema forte e commovente. Donald è un personaggio a suo modo eroico, e inoltre ha un grande talento nei disegni che fa; mi è sembrato interessante, inoltre, questo suo continuo sfidare la morte, questo suo flirtare col pericolo.Ha trovato qualche ispirazione nella realtà, per delineare il carattere del protagonista?
Ian Fitzgibbon: Sì, ho parlato con alcuni psicologi che si occupano proprio di adolescenti malati di cancro; i teenager sono i casi più difficili da trattare, in questi casi, perché manca loro la saggezza degli adulti. Sono abbastanza grandi da capire la morte, ma non lo sono abbastanza da accettarla. Il disegnatore, poi, era molto simile a Donald da adolescente, anche lui era ossessionato dalla morte e dal sesso. Quello che mi interessava, comunque, non era tanto il cancro, quanto la storia di un ragazzo che deve affrontare la prospettiva della sua imminente fine.
Thomas Sangster: Sono d'accordo, anche per me il cancro era un argomento tutto sommato secondario. La cosa che mi interessava di più era entrare nel personaggio e renderlo credibile.
Ti riconosci in qualche aspetto di Donald? Thomas Sangster: Sì, certo. Bisogna sempre avere alcuni aspetti in comune col personaggio, per fare un buon lavoro. C'è molto di me, in lui, magari amplificato: a volte anche un semplice sentimento, un'emozione molto forte, può darti la chiave e aiutarti a immedesimarti nel personaggio.
Ma tu, alla fine del film, lasci il personaggio sul set o te lo porti dietro? Thomas Sangster: In questo caso ho voluto distaccarmene, perché ne avevo avuto abbastanza. Considerato il tema, alla fine delle riprese avevo voglia di normalità, di uscire con il resto del cast e bere un drink, di rilassarmi. Questo si può fare una volta finito il film, ma durante le riprese è più difficile: la sera lasci il personaggio ma il giorno dopo sei di nuovo lui.Hai mai parlato, in famiglia, dei ruoli che interpreti? Thomas Sangster: Sì, certo. E' curioso, però, perché la vita che vivo a casa è un po' separata da quella del set; quando inizio a girare un film, entro come in un altro mondo, sono due contesti completamente diversi. Mentre lavoro, comunque, mi concentro e vivo a pieno le esperienze.
Avete avuto qualche problema, a livello produttivo, per il tema molto delicato del film? Ian Fitzgibbon: Sì, visto che il soggetto era molto difficile, e volevamo affrontarlo in un certo modo: doveva essere un film toccante ma non deprimente, triste ma non teso, con sequenze anche umoristiche, come quelle dello spinello e della prostituta. Era molto difficile trovare un equilibrio, e speriamo di esserci riusciti. Per raggiungere questo scopo, è stata necessaria una continua negoziazione.
Il film presenta una commistione tra il linguaggio del cinema e quello dell'animazione, insolita per un film con questi temi. Pensa questa possa essere una strada per il cinema degli anni a venire? Ian Fitzgibbon: Io spero di sì, anche se in realtà non posso saperlo con sicurezza. Per me è stato un mezzo per raccontare un'unica storia con due livelli che si completavano a vicenda, e non due mondi paralleli. Io spero che i produttori usino più spesso questo strumento, anche perché è un ottimo metodo per avvicinare al cinema il pubblico più giovane.
Perché avete scelto di cambiare location, e di ambientare il film proprio a Dublino? Ian Fitzgibbon: Perché a Dublino c'è il mare, un elemento interessante della città, che spesso viene sottovalutato dagli stessi dublinesi. Rispetto al romanzo, abbiamo aggiunto nel film la love story tra Donald e la ragazza, e in questo senso il mare ha aiutato: c'è quello scoglio su cui lo psicologo porta Donald, quello dove lui ha dato il primo bacio alla moglie, e dove in seguito Donald porta la sua ragazza. Era un elemento suggestivo, che ho voluto usare in senso cinematografico.