I ragazzi del Giffoni Film Festival e l'onorevole Luca Barbareschi, i produttori israeliani e i giornalisti stranieri. Questo il variegato pubblico che ha accolto David Grossman, celeberrimo scrittore di Gerusalemme, che ha voluto presentare insieme a regista e cast Qualcuno con cui correre, pellicola tratta da un suo romanzo omonimo che avrà, a quanto pare, una buona distribuzione in Italia grazie al sostegno fornito da Medusa, che lancerà il film in circa settanta sale.
Ovviamente essendo presente uno dei più grandi narratori ebrei - appena uscito il suo ultimo romanzo, A un cerbiatto assomiglia il mio amore - non poteva non catalizzarsi su di lui tutta l'attenzione, fin da subito ripagata con uno squillante "Shalom!" quale primo saluto.
Che ne pensa della trasposizione della sua storia dal libro al film?
David Grossman: Quando uno viene da me e mi dice che vuole trarre un film da un mio libro, cerco di dissuaderlo. Quando però Davidoff mi ha detto voleva fare un film da Qualcuno con cui correre e mi ha raccontato la visione che aveva della storia, mi sono dovuto arrendere. Il processo di trasposizione è stato così insolitamente piacevole. In generale quando consegni il proprio libro ad un regista questo fatto di per sè genera una sofferenza, ma in questo caso mi è stato restituito quasi meglio del libro e il seguire la propria storia in mano ad un altro è stato facile.
E' una Gerusalemme molto dura, quasi una Berlino anni '70...
David Grossman: Quando il libro fu tradotto e pubblicato in altre lingue, ho incontrato molta gente sorpresa a credere che Gerusalemme potesse essere veramente così. Le persone hanno bisogno della Gerusalemme divina, delle religioni, da cartolina; ma non è tutto così, è una città normale, vivace, vibrante, ricca di tanti strati che di solito non si vedono nelle 4-5 immagini che i media raccontano ciclicamente.
Esiste la casa degli artisti di cui racconta?
David Grossman: Quando scrivo un libro capita mi si chieda "ma questo esiste, è esistito veramente?" Io rispondo sempre "volete che esista? Se vi è sembrato credibile e convincente nel racconto allora esiste"....
Ci potreste parlare ancora di questa inconsueta visione di Gerusalemme?
Oded Davidoff: Il libro di David è fantastico, per me è stato bellissimo trasformarlo in film, mi sono sentito appoggiato e sostenuto dallo scrittore, che per un regista è una cosa eccezionale. Anche io sono nato a Gerusalemme e la visione che volevo dare era quella di una città realistica, un pò come faceva il neorealismo italiano. Piazzavamo la macchina sulla strada e lasciavamo che inquadrasse quello che accadeva. Al contempo però c'è l'"elemento fantasia", mescolato con maestria nel romanzo alla dura realtà, che fa diventare al contempo questa storia realistica una leggenda.
Ci può dire perchè si è coinvolto con la produzione di questo film?
Luca Barbareschi: Ringrazio i produttori israeliani, anzitutto, che hanno creduto nel progetto. Conosco il testo già da tre anni, e sono stato molto felice aver contribuito con la Casanova, la mia casa di produzione, che oltre a fare del buon teatro aiuta anche grandi autori ad arrivare al cinema, a far si che questo film nascesse. Un grazie anche a Medusa, perchè è la prima volta che si punta in modo così netto su un film israeliano. Mi piace produrre il cinema che racconta qualcosa, che ha passione, come in questo caso, per il proprio paese, una realtà meravigliosa e complessa. E' la dimostrazione che si possono fare film che non costano tanto ma che hanno un grandissimo impatto emotivo. Questo è il futuro del cinema, non i filmoni da 50 milioni di dollari.C'è dunque una crescita e una maturazione del cinema israeliano...
David Grossman: Il cinema israeliano sta facendo cruciali passi avanti da quindici anni a questa parte, i film non ingigantiscono più la realtà, ma stanno invece guardando la vita negli occhi, affrontando anche il conflitto israelo-palestinese, e sta diventando una fonte di identità come non era mai stato prima. Il cinema rispecchia la complessità del reale, è diventato meno melodrammatico, meno sentimentale, è affascinante vedere come si sviluppi questo processo. Sta diventando punto di riferimento nel paese.
Oded Davidoff: Israele è un paese giovane , ha 60 anni, e per un lungo periodo non ha prodotto alcun tipo di film. Ora abbiamo aperto scuole di cinema, la tv ha ormai tanti canali da uno che era e i nuovi registi hanno molto da dire, c'è molta passione per il cinema in Israele.
Certe atmosfere ricordano la Los Angeles di Ellroy. Cosa pensereste di un eventuale remake americano del vostro film?
Oded Davidoff: Non ci vedo il sottoscritto a farlo, io il mio film l'ho fatto già, e questa è l'unica cosa sicura. Beh, almeno io non mi ci vedo, ma dipende sempre quanto mi pagano! Quando ho incontrato David mi chiese di rendere ricco di emozioni questo film, ed è questo che mi ha guidato sempre, tutto il resto è stato come uno sfondo, non me ne preoccupo tanto.David Grossman: Non riesco a vedere il film e il libro fuori da Israele e da Gerusalemme, non li vedo con un altro vestito addosso. Però mi sono abituato a vedere i miei libri tradotti, così forse sarebbe possibile anche vedere un film indossare un abito diverso da quello che pensavo io. Sarebbe complicato ma sarei anche curioso di vederlo. Alla base di questo dibattito c'è la storia di due adolescenti che sono anche due idealisti, fanno qualcosa di pericoloso e di eroico, e questa storia potrebbe funzionare ovunque.
Il cinema per voi israeliani è un importante mezzo di comunicazione?
David Grossman: La dimensione dell'arte è quella di far vedere quel che c'è di scomodo, fatto dovuto alla pluralità di punti di vista che pian piano si sviluppano, fin anche quello del nemico, perchè solo questa offre una possibilità di trovare una soluzione, e in questo aspetto il cinema è una delle arti più progressiste in Israele, in special modo il documentario.
Noi siamo in guerra, c'è una guerra tra israeliani e palestinesi. Il termine nemico non viene utilizzato in Europa, c'è una castrazione dovuta al politicamente corretto. Se non ammettiamo che ci sia un nemico, non potremmo mai arrivare alla pace. Il cinema può contribuire a spiegare tutto questo