"Parlate sempre e quando vedete che il concetto di pace non si unisce a quello di bene allora gridate, perché certe volte la pace va urlata". Così trent'anni fa il passionario Professor Vivaldi (interpretato da un indimenticabile Silvio Orlando) esortava i suoi studenti tra i banchi di un istituto di periferia in una scena de La scuola. Era il 1995 e il film di Daniele Luchetti, tratto dai libri di Domenico Starnone (Ex Cattedra e Sottobanco), faceva da apripista al filone cinematografico di storie sul mondo scolastico.

Quell'ultimo giorno di scuola fotografato con realismo e ironia tra scrutini, professori disillusi e conflitti generazionali in uno scalcinato edificio dei sobborghi romani sarebbe diventato un cult. Da oggi in occasione dei trent'anni anni dall'uscita nelle sale, Mediaset Infinity trasmetterà in streaming la versione restaurata del film, dopo la presentazione (il 15 ottobre) all'evento di pre-apertura della ventitreesima edizione di Alice nella Città in un incontro speciale tra il regista e gli studenti delle scuole di Roma.
La scuola, un cult intramontabile

Daniele Luchetti non ha dubbi: "Sono abbastanza sicuro che il film possa piacere anche alle nuove generazioni - ci racconta quando lo incontriamo -, perché ci si riconosce sempre in qualcosa, ad esempio nello scontro a fuoco tra cultura e ormoni, idealismo e vitalità, o tra l'essere contenuti in un luogo mezza giornata e il voler andare via. Dal punto di vista dei professori, invece, ci si riconosce nell'essere gli unici a invecchiare in una scuola dove i ragazzi sono sempre giovani".
Il film negli anni è diventato un classico intramontabile la cui forza risiede nella sguardo lucido, divertito e insieme crepuscolare su un microcosmo che ha accompagnato ciascuno di noi per buona parte della vita. Il merito è di essere riuscito a intercettare le tensioni di un'istituzione che, tra entusiasmi e disillusioni, continua a essere specchio della società. "Ho sempre avuto il terrore che il film fosse morto e invece quando ogni tanto mi capita di andare a presentarlo in qualche scuola mi rendo conto che il risultato è più o meno lo stesso di trenta anni fa. È la dimostrazione che la scuola non è cambiata e neanche il film".
Cambiare tutto per non cambiare niente

Ma che cosa è successo in questi trent'anni? "È cambiata la parte superficiale della società. Oggi non si potrebbe fare un film del genere senza telefonini o social, ma le funzioni primarie che fanno ribollire le energie sono le stesse. Il problema dell'attenzione c'era allora e c'è ancora oggi". Il ruolo della scuola, ci spiega "continua nonostante tutto. Si impara a far parte di una comunità, di una routine, sai che c'è altro oltre quello che ti interessa. La scuola ci cambia indipendentemente dal tempo che passiamo sui libri, alla fine del percorso scolastico anche chi non studia arriva cambiato, perché si sta dentro una struttura sociale molto forte e collaudata, a un gioco di prestazioni, a uno scontro di culture: è un mondo in cui comunque vada cambierai ed è per questo che cinematograficamente è così interessante".
L'idea del sequel

Glielo hanno chiesto diverse volte: rifarebbe oggi La scuola? "Me lo chiesero subito dopo il successo del film, proponendomi di comprarmi un appartamento come compenso - ci confessa - e io snobisticamente rinunciai. Oggi direi di sì subito!". Ma ci vorrebbe l'idea giusta: "A rendere interessante questo film non è solamente il fatto che parli della scuola, è anche la presenza al suo interno di una serie di idee narrative preziose e delle intuizioni fresche che non ti vengono in mente tutti i giorni. Abbiamo provato a scrivere un seguito, ma non mi sembrava avesse la stessa efficacia e per questo non l'ho fatto". Forse oggi i tempi sono maturi, "ci sarebbe bisogno di qualcuno che faccia da osservatore dentro la scuola e che trovi un modo nuovo di raccontarla. All'epoca non si facevano film sulla scuola, questo fu il primo dopo tantissimo tempo e aprì una voragine; bisognerebbe staccarsi da quello che si fa normalmente. Non basta fare un film sulla scuola, bisogna chiedersi quale".

Come immaginerebbe allora un film nella scuola del ministro Valditara? "Non lo so - risponde -, la scuola cambia indipendentemente dai ministri, cambia perché cambiano le energie al suo interno, anche se alla fine la media fra gli esseri umani che la abitano è sempre la stessa. L'indirizzo che tenta di dare la politica non incide molto. Da quando ho cominciato a frequentare la scuola come studente a quando ho girato il film era cambiato tutto, ma non era cambiato niente".
Il cinema e i giovani
Da anni Luchetti sostiene l'importanza di portare il cinema tra i banchi di scuola e inserirlo come materia di studio, oggi però ammette con una certa disillusione "ci sono stati degli esperimenti, ma ho smesso di seguire il progetto". Eppure resta convinto del fatto che "per i giovani il cinema sia ancora una potentissima arma, solo che non lo vedono più in sala". Per accorgersene gli basta guardare i suoi figli adolescenti: "A casa mia si riuniscono spesso ragazzi per vedere di tutto da Fight Club a Stanley Kubrick, fino alle serie contemporanee. Insieme al divertimento cercano profondità e spessore esattamente come facevamo noi, solo che non lo fanno più in sala".

E riportarceli rimane un'utopia: "Ho l'impressione che non sia più possibile, c'è stata un'inversione di tendenza, probabilmente solo un modello come il Cinema Troisi (n.d.r. a Roma) potrebbe funzionare: il cinema non è più il posto dove comprare un biglietto, vedere un film e tornare a casa. È inutile, se per farlo basta un click. L'idea invece di cinema come connessione sociale, occasione di ritrovo dove si va per studiare, vedere un film, bere una birra o incontrare gli amici mi sembra un modello formidabile. Se non c'è l'impegno di ripensare la funzione della sala come aggregazione sociale, è impossibile immaginare di riportare il pubblico giovane davanti al grande schermo".

Nel frattempo il dialogo tra il cinema italiano e il ministro della cultura Giuli sembra sia arrivato a un punto di rottura: "In questo momento non sto lavorando con le associazioni come ho fatto per tanto tempo, quindi non ne so granché - ci fa sapere -. Mi sono cascate le braccia. Non c'è stato questo gran dialogo, le associazioni dei produttori hanno fatto molto, ma sono anche spaventate. Non si sa bene dove mettere le mani e laddove c'è sempre stato un dialogo, anche nelle situazioni peggiori, adesso c'è un irrigidimento che nessuno ha veramente capito. Non so se sia stata una questione ideologico o semplicemente propagandistico. Nessuno ci ha capito un granché".