Anche i piccoli film indipendenti, a fatica e lottando per i propri traguardi, riescono ad uscire dal guscio per essere finalmente conosciuti dal pubblico. Cover-Boy - L'ultima rivoluzione, piccolo capolavoro low-budget di immigrazione e precariato, ha percorso una strada alternativa rispetto al classico iter del mercato cinematografico: ha fatto il giro dei festival internazionali risquotendo un grandissimo successo, aggiudicandosi numerosi premi, e solo dopo due anni, presentato a Roma in una conferenza stampa, arriva nelle sale italiane. A raccontare com'è nata e cresciuta l'idea di questo progetto e ha testimoniare la propria esperienza di collaborazione in questo prezioso film, il regista e sceneggiatore Carmine Amoroso, l'Amministratore Delegato dell'Istituto Luce Luciano Sovena, i produttori Giuliana Gamba e Arturo Paglia e due dei bravissimi interpreti, Luca Lionello e Chiara Caselli. Nel parlare di Cover-Boy si è colta l'occasione per discutere della situazione nel cinema italiano, dei suoi limiti, delle sue potenzialità e di come un film di qualità come questo meriti di essere supportato perché esso stesso rappresenta un inestimalbile supporto intellettuale, di reale valore, per il nostro paese.
Cover-Boy è stato uno dei titoli di maggior successo nei festival cinematografici internazionali, l'Istituto Luce lo ha supportato e ha creduto a questo progetto. Come lo ha vissuto lei, sig. Sovena?
Luciano Sovena: Ringrazio i giornalisti per essere qui presenti e non essere invece alla conferenza stampa del film distribuito da Nanni Moretti (ride ironico, ndr). È assurdo che due film indipendenti in Italia si facciano concorrenza, dovremo parlare di più e metterci d'accordo... Cover-Boy è stato prodotto da produttori indipendenti e coraggiosi. Per quanto riguarda me, oggi non si sa più se si può parlare solo di Istituto o se c'è rimasta un po' di "luce". Io vorrei sempre finanziare film come questo, opere prime o seconde d'autore che si meritano di uscire, come è stato per La Ragazza del lago. Ho adorato da subito Cover-Boy, è un ottimo film e per quanto nessuno lo volesse distribuire e sia rimasto in balia degli eventi per più di due anni, ha fatto il suo corso nei festival europei, conquistando molti premi. Spero di poter fare ancora film come questo, opere che io credo necessarie. Il film uscirà in dieci sale, ed è già una grande conquista, ve lo assicuro. C'è purtroppo una censura di mercato. Il problema non è dei film, ma degli esercenti. Si spera che una parte di pubblico, quello intelligente, ci segua.
Qual è stata la genesi di Cover-Boy per lei, Carmine Amoroso, reduce già da un altro progetto sofferto con il suo primo film Come mi vuoi?
Carmine Amoroso: Sono felice che il film esca per Venerdì Santo, perché è stato un calvario. Il progetto è partito nel 2002 quando avevamo un ingente finanziamento statale da parte del ministero dello spettacolo, somma che col decreto Urbani, sotto il governo Berlusconi, è stata decurtata del 75%. A quel punto uno doveva lasciar perdere il film, ma io l'ho fatto lo stesso ed è stata una fortuna. Insieme alla collaborazione, come direttore della fotografia, di Paolo Ferreri siamo stati pionieri di una nuova tecnologia: il digitale HDV. Il mio primo film, comunque, è uscito in Italia in pochissime copie ma è andato molto bene in Francia. La realizzazione di Cover-Boy è nata dalla mia esperienza di vita in Romania, dove sono stato per quasi due anni all'inizio degli anni '90. Ho avuto modo di conoscere delle realtà e di vedere direttamente delle situazioni che mi hanno colpito molto. Io poi mi sono sempre sentito precario nel mio lavoro e vengo dall'Abruzzo, come uno dei protagonisti del film, quindi raccontare la storia di un precario e di un migrante è stato facile per me, perché è come mi sento anch'io.
Il film è girato benissimo, questa nuova tecnica HDV vi ha limitato oppure aiutato? Cosa cambia dalla pellicola?
Carmine Amoroso: La tecnica digitale HDV ti permette di abbattere i costi e di girare in maniera leggera e agile. Abbiamo usato macchinette molto piccole per girare, quindi un valore aggiunto è stata la nascondibilità delle camere. Nella scena, per esempio, girata davanti a piazza San Pietro, nessuno si è accorto che stavamo facendo delle riprese. Noi italiani siamo stati dei pionieri nell'adoperare questo mezzo, più degli americani. Il digitale democratizza il cinema perché permette di stare fuori dalla dittatura del cinema italiano. Significa aprire lo sguardo in un mondo di privilegiati che solitamente chiude lo sguardo e impedisce di vedere le cose da diversi punti di vista. Se il cinema lo può fare solo chi ha molti soldi, non è possibile che la realtà più povera possa essere raccontata con realismo. Si crea così uno scollamento dalla realtà nella sua rappresentazione e il pubblico non ci si riconosce e smette di andare al cinema.
Perché si dice che 'abbiamo bisogno di questi film'? Questo è un film che ha la sola particolarità di essere veramente buono. Non credete che sia sbagliato metterlo in un ghetto?
Luciano Sovena: C'è una censura di mercato e una reale ghettizzazione. Non stiamo facendo le vittime e io non mi piango addosso, sono gli altri che fanno piangere me.
Giuliana Gamba: Questo film è stato come un grande amore. Ci abbiamo creduto e ci abbiamo messo tutto il possibile come si fa da innamorati. Tutti i distributori hanno detto no all'offerta del film, se non ci fosse stato l'Istituto Luce non ci sarebbe stato Cover-Boy.
Ma quali erano le motivazioni di questi ripetuti rifiuti?
Carmine Amoroso: I soldi. È un discorso molto terra terra. Dopo la decurtazione per legge ci dovevano comunque dare parte dei soldi, cosa che non hanno fatto. Nessuno si voleva accollare l'onere delle spese distributive. La cifra del finanziamento iniziale era di tre milioni di euro, quando è stata decurtata io ero già da tempo in fase di preparazione, quindi è stato un grande danno, non solo emotivo.
In questo calvario, com'è stata l'esperienza degli attori?
Luca Lionello: Io sono abituato a portare la croce quindi... Alla fine l'arte nasce attraverso il dolore, quindi se il film ha sofferto io sono felice e fiero di queste ferite e di questi tagli. Se non avessimo avuto tutti questi problemi magari il film non sarebbe stato così bello. La fierezza e dignità intellettuale e artistica di Carmine ha dato vita a questo film perché il pubblico lo possa vedere.
Chiara Caselli: Sono orgogliosa di aver dato il mio piccolo contributo a questo film veramente bello. Di solito quando si soffre, si sceglie di rappresentare la bruttezza della situazione descritta abbruttendo le scene. Qui invece c'è un'estetica, una bellezza che non prende mai il sopravvento sulla storia, che rispetta il lato 'brutto' del film. Il mio personaggio è quello che ha perso la speranza nella vita: prima era una reporter di guerra e ora ha scelto di fare la fotografa di moda per guadagnare di più, tanto il suo lavoro 'non cambiava nulla'. Ioan in questo è più fortunato di lei perché ancora ha il suo piccolo sogno.
Vorrei far una piccola polemica e mi scuso per il termine, una parola usurante in Italia al solo nominarla. Fare cinema è sempre una fatica tremenda, è sempre stata una lotta per trovare i soldi. In Italia abbiamo una generazione di giovani registi molto valida, anche per rinnovamento dell'impianto visivo, rispetto agli altri paesi europei. Ogni anno ci sono uscite di opere prime o seconde ottime che non ci sono in Inghilterra, forse solo in Germania e in Spagna.
Sig. Amoroso, lei nel film parla della nascita del pensiero unico, del muro di Berlino, non crede che sia un discorso globale non solo italiano?
Carmine Amoroso: Il neo-liberalismo è un discorso globale, non solo italiano certo. Ho inserito il discorso nel film in un contesto fatto di soggetti scarto, anche culturali. L'Italia è così, ma anche la Francia, per esempio.
Com'è entrata nel progetto Luciana Littizzetto?
Carmine Amoroso: Luciana è una mia cara amica ed è una mente libera, simpatica, ironica in questa nostra Italia.
Come avete lavorato con l'attore protagonista rumeno, Eduard Gabia?
Carmine Amoroso: Ho cercato tantissimo l'attore protagonista. Volevo qualcuno di particolare. Una volta alcuni amici mi hanno portato a vedere uno spettacolo all'Ambra Iovinelli dove si esibiva un gruppo di ballerini rumeni. Io ero molto scettico, questi performer ballavano con delle maschere di topolino sul volto. Quando però Eduard si è tolto la maschera ho subito capito che era lui Ioan.
Questo film è stato girato come hai tempi del neorealismo: ha elementi documentaristici e altri ricostruiti, come la casa. C'è una commistione di realismo e invenzione.
Luca Lionello: Lavorare con Eduard, un artista molto bravo che però non aveva mai recitato e non conosceva bene la lingua italiana, è stata un'eperienza bellissima e ha fatto sì che la recitazione fosse iperealistica. Noi abbiamo vissuto davvero insieme per un po', conoscendoci pian piano e il nostro rapporto è diventato stretto e confidenziale, come nel racconto.
C'è stato un contatto diretto con la comunità rumena? Vi siete avvalsi dell'aiuto di qualcuno che vive e conosce l'Italia?
Carmine Amoroso: Sì, oltre al fatto che io ho vissuto due anni in Romania e che conosco molte persone là, ho anche fatto il viaggio in macchina che unisce il paese rumeno all'Italia, per provare un'esperienza diretta. Tutto è stato vissuto profondamente in modo personale. La Romania dev'essere una terra da riscopreire, soprattutto culturalmente. È un popolo che ha sofferto molto, reduce di due dittature.
Luca Lionello: Loro amano molto il cinema, come noi. Hanno vinto Cannes l'anno scorso, ma al Transilvania International Film Festival non si sono auto premiati, ma hanno scelto di premiare noi.
Cover-Boy è uscito o uscirà in Romania?
Carmine Amoroso: Le sale in Romania sono piene di film americani e occidentali e non c'è la possibilità pratica di distribuire il film. Il cinema rumeno è in una situazione gravissima, basti pensare che il film rumeno che ha vinto Cannes, 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, non è uscito nelle sale in Romania.
Quanto ha significato per lei, sig. Lionello, la sua esperienza come attore teatrale per recitare in questo film?
Luca Lionello: Ho avuto una sensazione forte in alcune scene, soprattutto quelle più intimistiche girate nella casa, mi sembrava di essere sulle tavole di legno del palcoscenico del teatro. Il teatro lascia una grande fame di emozioni ed è con la stessa voglia che ho recitato nel film. Comunque, tutto quello che riguarda l'esperienza attoriale ha a che vedere con un regista e io ho da rendere conto a Carmine.