Cosimo Alemà è innanzitutto regista di videoclip (tra gli artisti da lui diretti, Casino Royale e Verdena), e questa sua attitudine è più che evidente nel suo esordio cinematografico, questo teso At the End of the Day - Un giorno senza fine. Un thriller ad ambientazione rurale, tra i boschi di un'imprecisata località europea, in cui sette ragazzi impegnati in un match di Soft Air (guerra simulata con armi che sparano pallini di gomma) vengono presi di mira e decimati da un gruppo di criminali un po' troppo nostalgici della guerra, quella vera. Un esordio interessante dal punto di vista visivo, un po' meno da quello narrativo, in cui alla semplicità dell'idea di base non sempre si accompagnano una coerenza e una qualità di scrittura ottimali. Il regista, insieme al produttore Lorenzo Foschi e agli sceneggiatori Daniele Persica e Romana Meggiolaro, ha presentato il film, già passato al Noir Film Festival e al Fantafestival di Roma, ai giornalisti della capitale, spiegandone genesi e traversie realizzative.
Nel film, un momento spensierato come il Soft Air viene incrociato con quella che viene presentata come una scoria del passato, ovvero la guerra. Come vi è venuta questa idea?
Cosimo Alemà: Il film ha una genesi un po' particolare: l'idea mi è venuta mentre giravo un videoclip ad ambientazione bellica delle Vibrazioni. Siamo incappati all'improvviso in due squadre di Soft Air, individui super-equipaggiati che si atteggiavano a soldati veri. L'ho trovato un fatto curioso, così ho pensato di contrapporre questi soldati finti, che però simulavano in tutto e per tutto l'equipaggiamento di quelli veri, a dei bifolchi dotati invece di armi reali. Nel film è anche presente una piccola riflessione sulla guerra: inoltre, va detto che nei primi anni '90 ci sono stati parecchi episodi di cronaca reale simili alla storia narrata nel film.
Daniele Persica: L'idea interessante è che un'arma (come una mina) una volta innescata o caricata non può fare a meno di esplodere. Così è per la guerra: una volta invocata o semplicemente simulata, non può fare a meno di scatenarsi.
Cosimo Alemà: Quella del doppiaggio è stata una casualità, non abbiamo scelto le voci con l'idea di fare un film che richiamasse Hollywood. Nel film c'è forse una patina di opera "filo-americana", ma la cosa non è voluta; certo, Un tranquillo week-end di paura è un capolavoro che ci ha anche ispirato, ma non dal punto di vista del senso: lì il messaggio era quello di non disturbare la natura, mentre qui il tema forte è quello della guerra.
Cosa potete dirci sugli aspetti produttivi e di scrittura?
Lorenzo Foschi: Intanto, il film è girato in digitale, non ha un grandissimo budget ed è un film di genere: questi elementi ci hanno permesso di concentrarci sugli aspetti che ci interessavano e che potevamo controllare meglio. Nel processo produttivo siamo poi riusciti a coinvolgere ottime professionalità, personalità importanti, a cominciare dai doppiatori. Abbiamo scelto di girare il film in inglese perché l'idea iniziale era quella di venderlo all'estero, mentre la distribuzione italiana è arrivata solo successivamente, quando abbiamo riscontrato che c'era un interesse specifico.
Dov'è ambientato, di preciso, il film?
Cosimo Alemà: In un non-luogo. Volevamo che l'ambientazione restasse imprecisata, senza lasciare nessun riferimento spazio-temporale. L'unica cosa che mi sento di dire è che probabilmente siamo in un qualche paese europeo, certo non in America.
Il film è girato con una speciale macchina da presa digitale, la Red. Non è un mezzo con cui si rischia un po' l'effetto-playstation?
Cosimo Alemà: La Red viene utilizzata in tutto il mondo, anche per molti blockbuster americani, tra cui l'ultimo Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare. E' un mezzo molto versatile, e siamo contenti dei risultati ottenuti: certo, il digitale ha i suoi pro e i suoi contro, si perde qualcosa in termini di profondità ma se ne guadagna nella gestione della fotografia. Lo stile del film, comunque, ha più a che fare col mio modo di concepire le scene che col mezzo utilizzato.
Romana Meggiolaro: In effetti, Michael all'inizio fa un effetto inquietante, dopo i provini non capivamo se fosse pazzo o normale. Quasi mi auguravo che non fosse scelto! Sembrava il classico tipo con dei problemi mentali: ma per fortuna, poi, si è rivelato tutt'altro, una persona squisita e un ottimo professionista.
Cosimo Alemà: A un certo punto abbiamo anche dovuto modificare in parte il ruolo dello zio, per adattarlo alla sua figura, modellandoglielo addosso. E' un peccato che nella versione italiana si sia persa la sua voce originale, perché è molto caratterizzante. Sul set, era inquietante anche il fatto che non avesse legato con nessuno, specie coi ragazzi protagonisti; gli altri, in un certo senso, lo temevano.
Cosa potete dirci sul lavoro sulle musiche e sui suoni?
Cosimo Alemà: E' un aspetto tra quelli che abbiamo curato di più: volevamo un suono diverso da quelli che sono i cliché del genere. Praticamente non c'è mai musica ritmica, il commento sonoro è sempre iper-dilatato: gli artisti coinvolti sono stati un gruppo italiano chiamato Women in the Woods, una giovanissima cantante austriaca, di soli 20 anni, che si fa chiamare Soap and Skin, e un gruppo americano di nome Hammock.
Cosimo Alemà: In effetti con i videoclip si tende sempre ad essere eclettici, sono una sorta di palestra. Ora mi sono concentrato sul tipo di film che volevo davvero fare, ovvero un thriller d'azione più che un horror. È un genere che anche all'estero ha il suo appeal, e anche questo fatto ha avuto un certo peso, visto che volevamo avere una distribuzione internazionale. Anche il mio prossimo film sarà probabilmente un thriller, anche se ad ambientazione metropolitana e forse più orientato verso il dramma.