La recensione di Clark, miniserie svedese di Netflix, ci porta nuovamente nei territori di genere della produzione nordica, per l'esattezza in ambito crime. Qui si punta sulla vera, folle storia di Clark Olofsson, un vero e proprio criminale VIP (kändisbrottsling, come si autodefinisce nella versione originale), le cui scorribande sono alla base di sei episodi a firma di Jonas Åkerlund, già alla corte del gigante dello streaming qualche anno fa con il thriller Polar. Sei episodi adrenalinici e molto divertenti, che mettono alla berlina le convenzioni del biopic già con la scritta iniziale di ciascun capitolo: "Basato su verità e menzogne". Una dichiarazione d'intenti di non poco conto per una miniserie che vuole farsi notare nel mare infinito che è il catalogo di Netflix, capace di soffocare e ridurre all'anonimato anche i titoli più forti quando questi non aderiscono pienamente alle logiche dell'algoritmo. N.B. La recensione, senza spoiler, si basa sulla visione in anteprima della miniserie completa.
Una vita al massimo
Clark è, appunto, la storia di Clark Olofsson, destinato a grandi cose già dalla nascita, poiché la madre gli diede il nome di battesimo come omaggio al suo attore preferito, Clark Gable. Ben presto Olofsson (interpretato principalmente da Bill Skarsgård, il cui fratello minore Kolbjörn è Clark da bambino) si appassiona al crimine e a ciò che ne deriva: fama, soldi e donne. Nel corso degli anni accumula condanne su condanne, con mandati di cattura a livello internazionale e vicende surreali come quella della rapina di Norrmalmstorg, un colpo che passò alla storia come primo mai mostrato in diretta TV in Svezia, nonché origine del concetto della Sindrome di Stoccolma (da cui il film Rapina a Stoccolma che adatta liberamente quell'episodio, con Mark Strong nei panni di Olofsson). La miniserie copre i tratti salienti, fino alla fatidica stesura della biografia che lui attende e teme allo stesso tempo, poiché ci sono aspetti della sua vita che non vuole per forza mettere su carta.
Sesso, rapine e cinefilia
Jonas Åkerlund, anche co-sceneggiatore del progetto, mette in scena la vita di Olofsson in modo squisitamente cinefilo: c'è la voce narrante alla Quei bravi ragazzi, l'alternanza di stili e tecniche (bianco e nero, finto materiale d'archivio, animazione), e diversi momenti surreali come quando Clark immagina i titoli di testa di un film di cui è protagonista o, durante l'ennesimo soggiorno in carcere, si mette a cantare e ballare sulle note di Jailhouse Rock (ma non la versione che conosciamo noi, bensì una cover svedese dove il testo è spesso incomprensibile). L'approccio inevitabile per raccontare i trascorsi di uno che si vedeva (e probabilmente si vede tuttora) come una star allo stesso livello dei divi di Hollywood, una categoria a cui, guarda caso, può aspirare anche lo strepitoso interprete principale, membro di una famiglia di grandi attori e qui in grado di coniugare la lingua madre - erano circa dieci anni che non recitava più in svedese - con l'istrionismo impiegato in alcuni dei suoi ruoli americani, in particolare Pennywise.
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Quello di Olofsson è un viaggio frenetico e caotico, al punto che lui stesso deve a volte interrompere la narrazione e tornare indietro perché ha saltato dei passaggi tra un episodio e l'altro. È un gioco che può risultare gratuito e autocompiaciuto per chi preferisce le storie di gangster raccontate in modo diretto, ma dato il soggetto è la tecnica più efficace per portare sullo schermo il divismo e l'egocentrismo di colui che in patria era considerato "un incrocio fra Pippi Calzelunghe e Al Capone". E proprio quell'egocentrismo giustifica il formato della miniserie, perché esattamente come quando ha messo su carta la propria vita (con il titolo molto calzante che si traduce letteralmente Che cacchio è successo?) Olofsson adora il suono della propria voce, il più a lungo possibile. Una voce che, nel caso dei cunicoli dell'algoritmo netflixiano, può definirsi ragionevolmente fuori dal coro: spudorata, eccessiva, carismatica. Da assaporare per sei divertenti ore.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Clark sottolineiamo come si tratti di una spassosa e irriverente miniserie svedese che trasforma il crimine in strepitoso divismo, con un grande Bill Skarsgård.
Perché ci piace
- La commistione di stili e tecniche restituisce un mondo perfettamente caotico e frenetico.
- Bill Skarsgård è fenomenale nei panni di Clark Olofsson.
- La miniserie rispetta e al contempo prende in giro le convenzioni del racconto di gangster.
Cosa non va
- Potrebbe infastidire chi preferisce un approccio più lineare al genere.