Caravaggio a Roma - Il viaggio del Giubileo, recensione: l’anima inquieta di Michelangelo Merisi

Un dialogo tra la Roma giubilare del 1600 e quella di oggi che segue, tra pellegrini e capolavori artistici, la vita travagliata di un artista diviso tra colpa e bisogno di perdono.

Caravaggio a Roma - Il viaggio del Giubileo

Il nuovo film-evento dedicato a Michelangelo Merisi, Caravaggio a Roma - Il viaggio del Giubileo, arriva nelle sale italiane dall'1 al 3 dicembre come appuntamento speciale del ciclo La Grande Arte al Cinema e rimette al centro un Caravaggio meno "maledetto" e più umano, immerso nel suo tempo ma capace di parlare in modo diretto a quello di oggi.

Il documentario, diretto da Giovanni Piscaglia e prodotto da 3D Produzioni e Nexo Studios in collaborazione con Sky e con le Gallerie d'Italia, parte dalla Roma del Giubileo contemporaneo, attraversata dai pellegrini, per tornare alla Roma del Seicento in cui il giovane Caravaggio si forma, si afferma e poi precipita in una spirale di violenza e fughe.

Al centro c'è il rapporto tra le sue tele e i temi della colpa, del perdono, della ricerca di una grazia che non arriva mai davvero, se non nelle immagini che lascia in eredità. Ne nasce un racconto dal taglio dichiaratamente divulgativo, visivamente capace di catturare lo spettatore, che privilegia il coinvolgimento emotivo e la dimensione spirituale rispetto alla ricostruzione meramente biografica.

Caravaggio a Roma: un viaggio tra le strade della Capitale e le tele dell'artista

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Il documentario si apre nella Roma di oggi, quella dei maxi controlli e dei flussi di pellegrini che attraversano ponti e vicoli per raggiungere San Pietro in occasione del Giubileo. Gente che cammina, che prega, che scatta foto, che alza lo sguardo verso le cupole. Da questi volti il film scivola abilmente indietro di circa quattro secoli, in quella Roma barocca che per Caravaggio è stata insieme occasione e condanna.

Non c'è una ricostruzione in costume, nessun Caravaggio in carne e ossa che attraversa il set (e di questo gli siamo grati), ma sono le immagini delle opere, le chiese che le racchiudono e le strade di oggi a mostrarci il percorso controverso e complesso di uno dei più grandi artisti italiani di sempre. La regia lavora di fino con avvicinamenti e dettagli, zoom lentissimi sulle tele, quasi a volerci far entrare dentro la materia pittorica. Il documentario preferisce spesso e volentieri lasciar parlare la pittura, la luce che taglia i corpi, i volti segnati di santi, peccatori, carnefici.

Il tono però resta accessibile anche per chi non ha un curriculum da storico dell'arte, non c'è gergo specialistico, non c'è nemmeno la pretesa di essere una sorta di manuale scolastico. Piuttosto, l'impressione è quella di una visita guidata lunga, ragionata, con in più la possibilità di vedere i quadri come al museo non li vediamo quasi mai, in altissima definizione e soprattutto da soli, senza calca.

Dal Giubileo del 1600 ai pellegrini di oggi

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La chiave del film è il ponte tra due Anni Santi, il Giubileo del 1600, indetto da papa Clemente VIII, e quello appena vissuto dalla Roma contemporanea. Il documentario utilizza questa cornice per ripercorrere gli anni romani di Caravaggio, quando il pittore, arrivato in città da giovane in cerca di fortuna, si scontra e dialoga con una capitale che sta ripensando il proprio immaginario religioso e urbanistico.

La Chiesa chiede immagini che parlino al popolo, che commuovano e convincano, e Caravaggio risponde con quadri che sembrano fotografie di una realtà sporca, quotidiana e violentemente vera.

In questo contesto si collocano le opere realizzate per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, la Vocazione e il Martirio di San Matteo, che Piscaglia mette al centro del discorso perché snodo fondamentale nella vita del pittore. Il regista le filma come se fossero scene di un film e non tele dipinte: la luce che entra da una finestra invisibile, le mani che si tendono, le espressioni di chi sta per compiere una scelta irreversibile.

E le voci degli studiosi e degli uomini e donne di chiesa a cui si dà spazio lasciano che siano i dipinti stessi a raccontare la rivoluzione fatta dal loro creatore, quel modo nuovo, tutto caravaggesco, di mettere al centro persone reali, con le loro incertezze e fragilità, dentro un contesto sacro che all'epoca non era abituato a tanta verità.

Le opere di Caravaggio come confessioni in primo piano

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Il tratto più riuscito del documentario è proprio il modo in cui guarda ai quadri come se fossero (e forse lo erano) confessioni in forma visiva. Ogni dettaglio diventa in questo modo un indizio del mondo interiore, travagliato, dell'artista: la violenza trattenuta, la malinconia, il desiderio di riscatto.

Nel racconto, oltre alle tele più famose, entrano anche opere successive, dipinte dopo la fuga da Roma a seguito dell'omicidio commesso, quando su Caravaggio pesa una condanna e la sua vita è un continuo spostarsi tra Napoli, Malta, la Sicilia. I toni dei quadri si fanno via via più cupi, i volti più segnati, gli sfondi più scarnificati, il nero più nero. I martiri, le Madonne, i santi e i peccatori, ora, sembrano portare addosso la stessa inquietudine di chi li dipinge.

A rendere il percorso più ricco ci sono le testimonianze di storici dell'arte, direttori di musei, curatori, religiosi, ma anche di un artista contemporaneo come Jago, chiamato a dialogare con Michelangelo Merisi da un punto di vista diverso, come "da collega a collega". Tutto questo sullo sfondo di una città che è in continuo fermento, ora come allora, caotica e piena di pellegrini da ogni parte del mondo.

Quando l'emozione prende il sopravvento sull'analisi

Chi conosce poco la biografia di Caravaggio rischia però di cogliere solo per accenni alcuni passaggi chiave come la condanna, l'esilio, il viaggio di ritorno verso Roma. In questo la durata ridotta (circa 75 minuti) non aiuta, anzi costringe a comprimere il ritratto dell'uomo, dell'artista e del contesto religioso. Temi come il rapporto con i committenti, le reazioni scandalizzate a certi quadri o il peso delle sue innovazioni restano in secondo piano e perdono di potenza. O magari ci forniscono l'occasione per rispolverare quel libro di arte che teniamo un po' tutti sulla libreria.

Conclusioni

Caravaggio a Roma - Il viaggio del Giubileo è un tassello in più nel racconto di Michelangelo Merisi. Non pretende di essere la parola definitiva sull’artista, ma offre uno sguardo coinvolgente sul suo rapporto con Roma e con il Giubileo. La forza del film sta nel modo in cui mette a nudo le tele, trattandole come confessioni luminose e oscure, ma anche nel legame continuo tra la città di ieri e quella di oggi. I limiti arrivano quando l’emozione prevale sull’analisi e l’insieme rischia di restare un po’ troppo sospeso.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • Le opere filmate come se fossero sequenze cinematografiche.
  • Il ponte tra Giubileo del 1600 e pellegrini di oggi.
  • Il taglio accessibile, pensato anche per chi non è esperto di arte.
  • Le testimonianze eterogenee, compreso lo sguardo di Jago.

Cosa non va

  • Poco spazio all’approfondimento storico e biografico.
  • La durata limita la possibilità di esplorare davvero tutte le sfumature del personaggio.