Non riesce a stare fermo. Si alza dalla sedia, gesticola, recita. Antonio Albanese è attraversato da un fervore costante. Appassionato e ispirato, l'attore brianzolo (ma con sangue siculo) è un moto perpetuo di creatività, uomo curioso il cui sguardo acuto ha saputo cogliere paradossi poi riversati dentro personaggi tragicomici. Tra gli interpreti più pirandelliani della sua generazione, Albanese sembra davvero aver sposato la celebre teoria del grande drammaturgo, convinto che il comico fosse l'ombra del tragico. Perché dietro i dialetti esasperati, sotto gli abiti ridicoli e i gesti eclatanti delle sue maschere comiche persiste un velo di umanità e di rammarico. L'intelligenza spiccata di Antonio Albanese è figlia di una sensibilità fuori dal comune, un sentire che gli permette di assorbire il mondo in cui vive e riversarlo con pungente ironia nel suo carnevale bizzarro e decadente. Come capita spesso ai grandi talenti comici, però, anche lui ispira una grande empatia, il che lo rende affine anche al dramma. C'è una certa dose di tenerezza in Antonio Albanese, assieme ad un briciolo di malinconia. Dice di averla presa dai laghi lombardi, meditativi e riflessivi.
Il resto, invece, ovvero l'impeto, la solarità e l'estro del mattatore viene dal mare della Sicilia. Forse è proprio questa convivenza tra Nord e Sud a rendere Antonio Albenese un abile giullare delle disgrazie italiane. Arrivato al Bif&st di Bari per tenere una masterclass sul palco del Teatro Petruzzelli, Albanese ha parlato della sottile ma sostanziale differenza tra satira e ironia, del duro lavoro dietro ogni risata e dell'amore per il suo mestiere. Un amore che parla foggiano, calabrese, brianzolo e siciliano, ma rimane amabilmente Albanese.
Più pilu per tutti
Il pubblico in sala non sa se ridere o piangere. È un bivio a cui ti portano solo i grandi. Sullo schermo scorrono i titoli di coda di Qualunquemente, l'apoteosi cinematografica di uno dei personaggi più amati (e profetici) di Albanense: Cetto La Qualunque. Gretto, ignorante e fiero di esserlo, questo politicante è un fantoccio perfetto per definire l'approccio comico dell'attore: "Io sto alla politica come Polifemo sta allo strabismo. Però ci tengo a dire che io non faccio satira, non sono un satiro. Il satiro ride degli altri, mentre io sono un umorista. Io rido con gli altri. La satira ha un percorso delimitato che non mi stimola come l'umorismo, che invece ha potenzialità più ampie. E Cetto è questo: è il racconto di un Paese. Non è un'imitazione, ma umorismo puro. Tragicomico come spesso dev'essere l'umorismo. Vi racconto un aneddoto legato al film, che fu presentato al Festival di Berlino. Durante la proiezione non volò una mosca: nessuna risata, nessuna reazione. Preoccupante per un film comico, no? Alla fine ci fu un applauso imponente e un dibattito durante il quale un critico tedesco disse che non aveva mai visto niente di più drammatico. E aveva ragione. Per quanto possa sembrare paradossale, Qualunquemente è un film drammatico. Anche perché comico e drammatico sono ad un millimetro di distanza."
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Il pugliese è blues
Sopra le righe, amaramente ridicoli, estremi. I personaggi creati da Albanese hanno attraversato palcoscenici, programmi tv e grandi schermi, e se sono entrati nell'immaginario collettivo è tutto merito di un grande lavoro oscuro: _"Ci sono attori che sono come colori nelle mani di altri, e attori che ad un certo punto vogliono diventare pittori. Questo è quello che è successo a me. Sono molto attento alla realtà che mi circonda, osservo e scruto ogni cosa. Forse questo accade per la mia estrazione popolare e operaia che mi ha permesso di calarmi così bene nel contesto in cui mi muovo. Tutto questo dà vita ad un processo di scrittura per niente facile. Dietro ogni risata o battuta c'è tanta fatica e un lavoro meticoloso. Anche perché io vorrei sempre sorprendere il pubblico, e questo comporta molto impegno. Sono molto protettivo nei confronti dei miei personaggi.
Tutti, nessuno escluso: Cetto, Frengo, Alex Drastico, il sommelier, il Ministro della Paura. Mi piace costruire dei personaggi che vadano oltre il tempo, che non si limitano a raccontare un tempo, ma che diano l'idea di un Paese intero. Per questo amo curare ogni dettaglio, come gli abiti, i gesti, gli atteggiamenti e la voce. Alcuni personaggi sono nati per gioco o per caso. Cetto è stato concepito parlando con un mio caro amico calabrese, grazie al desiderio di raccontare un Sud che non è mai cambiato. Sicuramente c'era qualcosa che mi toccava dentro, come un tatuaggio indelebile che mi era rimasto dentro. E penso che la cosa fosse dovuta al pensieri dei miei genitori che hanno dovuto lasciare la Sicilia per fame. Frengo, invece, è nato guardando Zeman in televisione. Ero sintonizzato su Novantesimo Minuto quando vidi questo signore che allenava il Foggia. Fu un'illuminazione. Senza dimenticare il grande fascino del dialetto. In Italia ne abbiamo di ogni tipo, gamma e sonorità. Il pugliese, per me, è musica. Il pugliese è blues"._
Antonio attore, spettatore, uomo
Cinema da attore e cinema d'autore. Splendido interprete per grandi registi e artefice dei propri destini cinematografici, Albanese non vede tante differenza quando pensa al suo lavoro nel cinema: "Alla base c'è sempre un grande amore per quello che faccio. Per questo penso sempre al bene del film, non lo faccio mai per apparire. Lo faccio solo perché mi piace, e così mi metto completamente al servizio. Arrivo un'ora prima sul set, e sono felice quando dei registi mi chiedono di lavorare di nuovo insieme. Mi dà grande soddisfazione. Onestamente penso che il cinema e il teatro siano sempre degli attori e non dei registi. L'attore è il cuore. L'attore è tutto. L'attore è il veicolo di ogni emozione. Tutto il resto, ovvero la fotografia, la scenografia o le ambientazioni, è importante ma accessorio. Da spettatore guardo soprattutto ai grandi interpreti. Penso soprattutto al compianto Philip Seymour Hoffman, che è stato capace di farmi provare un sentimento mai provato prima, ovvero l'invidia. Oppure a Corrado Guzzanti o al primo, straordinario Paolo Villaggio". Infine, qualche battuta sull'uomo dietro le sue maschere: "Cosa mi fa ridere? Il mondo del web con la sua cattiveria spaventosa. Penso che sia diventato davvero ridicolo. Ma rido anche per cose semplici, come una caduta o per grandi classici, come la spocchia degli intellettuali. Cosa mi fa arrabbiare? Un certo tipo di ignoranza, di furbizia, di egoismo e di illegalità. Mi arrabbio anche per un parcheggio di doppia fila. Mi urta anche questa considerazione estrema per l'immagine, mi infastidiscono i modaioli". Caro Antonio, non dirlo mai a Frengo e alle sue giacche scintillanti. Potrebbe offendersi.
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