Nel flusso dell'accesa polemica tra il Ministro della Cultura Alessandro Giuli, Elio Germano e Geppi Cucciari, nata a cavallo dei David di Donatello, ci arriva in mail una "lettera aperta" indirizzata allo stesso Onorevole Giuli e ai Sottosegretari Lucia Borgonzoni e Gianmarco Mazzi. Lo scopo della lettera, però, non è solo quello di esprimere solidarietà nei confronti di Germano e Cucciari, bensì ha il fine ultimo di smuovere le acque torbide che annegano la nuova riforma del Tax credit. Un ritardo che, si legge nella missiva, "ha lasciato senza lavoro centinaia di lavoratori [...], una crisi che rischia di togliere creatività, autonomia e innovazione a tutto il settore".

L'auspicio, firmato da decine e decine di artisti e addetti ai lavori - da Pierfrancesco Favino a Alba Rohrwacher e Nanni Moretti -, chiede una risposta celere al Ministero riguardo ai temi nevralgici, attraverso "iniziative ben più ampie e rilevanti". Da giornale di settore ci sentiamo direttamente coinvolti (facendo informazione cinematografica), approfondendo la giustificata presa di posizione (forse, per la prima volta nella storia della nostra industria c'è una tale unione di intenti: era ora) insieme al regista Andrea Segre, tra i promotori della lettera, che abbiamo raggiunto al telefono.
Intervista ad Andrea Segre

Segre, alla luce della lettera, quanto è grave la situazione?
"La situazione è molto grave, tutti sappiamo che da tempo ci sono persone che lavorano e fanno fatica ad arrivare a fine mese. C'è ora l'indignazione montata sugli scontri tra alcuni di noi e il Ministro, ma in cima alla lettera da noi firmata c'è il pensiero rivolto alle decine di famiglie che lavorano nel cinema. Tutti i firmatari si sono presi la responsabilità. Molti di noi sono fortunati, come ha sottolineato Elio (Germano ndr.), e per questo bisogna prendersi una responsabilità collettiva. Arrivano firme, e continuano ad arrivare".
Il dibattito ruota attorno al Tax credit, un elemento che ha accentrato attorno a sé diverse polemiche.
"Se la risposta punta all'egemonia politica rispetto alla cultura, questo svia il centro del discorso che invece è molto chiaro. Ossia, la disponibilità nel parlare del tax credit. Siamo tutti consapevoli che bisogna discuterne e migliorarlo, nessun modello al mondo funziona perfettamente. Un modello che ha generato anche quei furbetti che hanno fatto finta di fare film, ma dall'altra parte il Tax credit ha lanciato l'industria sperimentale, in quanto supportata da investimenti pubblici. Investimenti sui titoli più piccoli, e che supportano anche i grandi successi. Solo così si genera profitto".
A che punto è la riforma?
"Ci sono incongruenze su come è stata impostata, il ministero è oberato, ha fatto delle modifiche, ma non sono ancora attive, e questo ha bloccato tante produzioni, soprattutto indipendenti. Non è una questione di andare contro il ministro, ma una crisi oggettiva di produzione. La cultura è uno dei diritti sociali e civili, a meno che non si vogliano smantellarli, certi diritti. In tal caso, ditelo chiaramente".
La cultura è un diritto da tutelare
Sembra la solita polarizzazione tra destra e sinistra.
"Attaccano la cultura di sinistra, ma noi non facciamo cultura di sinistra... Cerchiamo di fare la cultura migliore. Usufruire di cultura è un diritto e una fatica, rispetto ad altri divertimenti. Lo Stato ha il compito di rendere accessibili queste possibilità, perché migliora la convivenza tra persone. Uscire di casa per andare al cinema è una possibilità e una fatica, rispetto a stare in casa davanti ad un monitor. Non aiutare questo insieme, porta a far perdere i diritti. Lo Stato esiste per aiutare le persone. E noi crediamo che la cultura sia un diritto, al pari dell'istruzione, della salute, della giustizia".
Ho l'impressione che il pubblico veda gli artisti come una casta di privilegiati. È una visione distorta: come possiamo modificarla?
"Ci sono tanti lavoratori della cultura, in senso ampio, che partecipano con diverse deviazioni. Poi ci sono dei frontman che rendono più famoso un insieme. Come nello sport. Non tutti sono Sinner, per intenderci. Poi possiamo parlare del perché Sinner guadagni più di un maestro di tennis. È un argomento di discussione. Così, dietro i grandi nomi del cinema, ci sono tanti persone. C'è una vivacità di accesso rispetto all'arte che produce dei grandi nomi capaci di farci raggiungere il mondo accrescendo il sistema. Ma senza questa vivacità non si arriva ad avere i premi Oscar. Stesso vale per le questioni economiche. Sotto le grandi aziende c'è un sostengo pubblico. Il motivo? Bisogna tenere vivo chi non è al vertice. Se attacchi il vertice dicendo sia solo uno sperpero del fondo pubblico minimizzi la base. Elio Germano non fa film senza una base. Il nodo focale è questo, se una società si occupa solo delle eccellenze non avrai mai le eccellenze, e perciò bisogna occuparsi dell'equità di distribuzione dell'accesso rispetto allo sport, il cinema, l'economia. Oggi nel cinema non c'è questa distribuzione, i più piccoli produttori fanno fatica, i cinema chiudono, i registi alle prime armi fanno fatica, e quindi poi rinunciano a lavorare".
Come risponde, lei, al fatto che escono tanti film che al cinema vengono completamente ignorati? È un altro tema...
"Ci sono momenti e momenti. Quando è uscito Berlinguer le cose al cinema andavano bene. Alcuni titoli hanno convinto, poi da marzo la situazione è di nuovo critica. Sono onde legate alle uscite. Poi c'è da raccontare che la proliferazione è legata alla trasformazione dell'industria. Fare film oggi, grazie al digitale, costa meno. Questo rende meno elitario il lavoro, produce una sovrabbondanza di prodotti rispetto agli spazi. Le sale sono diminuite da quando esistono le piattaforme. Ma i proventi di un film non arrivano solo dalla sala, ma anche dalle vendite estere. Ci sono più mercati oggi, e non si può ridurre il successo solo alla sala".
Anche perché la qualità, a volte, è soggettiva...
"Sì, è molto difficile, perché c'è un margine di soggettività. Da quello che ho capito il decreto precedente metteva nello stesso calderone tutti i film. Su questo c'è stata una discussione sana, ma nel frattempo il dibattito ha bloccato l'erogazione del Tax credit già maturato, oltre al nuovo. Un blocco drammatico per le società medio-piccole. Così come è drammatico il blocco sui finanziamenti automatici. Poi c'è la discussione sui finanziamenti selettivi: dedicare una fetta dei selettivi ai così detti 'italiani importanti' è qualcosa di controverso. Chi è importante? È sbagliato ci sia questa categoria. È una distorsione".
La questione Tax credit
La sala deve tornare ad essere centrale?
"Sì, e bisogna formare e sostenere le nuove generazioni di esercenti. Io viaggio con i miei film e capisco quanto sia complicato gestire una sala, magari ottenendo ottimi risultati in provincia. Capisci poi chi rimane ancorato all'esercizio passivo, senza interagire con il luogo e il quartiere. Bisogna imparare, e costruire una base. Come farlo? Ancora, con l'intervento pubblico. Si potrebbe fare molto di più".
In cosa può essere migliorato il Tax credit?
"Ti dico... Faccio il regista, solo in parte il produttore, ma la sensazione è che ci sia stato uno stallo tra il capire chi ha accesso al tax credit e il destino distributivo del film. La sfida è: come non far accedere a Tax credit film che non esistono? Questa distinzione però rischia di penalizzare i film indipendenti. Penso a Roberto Minervini o Michelangelo Frammartino, ottimi autori che faticano con il pubblico italiano. Impedirgli il Tax credit perché i suoi film non vengono ben distribuiti o visti è folle. Non si possono inserire i loro film nello stesso calderone dei film prodotti senza nessuna qualità".
Sbaglio, o la filiera non è sempre equa nelle molteplici forme di diversità artistica?
"Se esiste C'è ancora domani di Paola Cortellesi, è perché ci sono i film che sperimentano e osano. Non si sarebbe mai inventata un film realista in bianco e nero se non ci fosse stata la sperimentazione di questi anni. La sperimentazione serve a produrre connessione. Minervini e Cortellesi sono diversi, ma è nella diversità che c'è il sostegno equo della cultura. E infatti entrambi sono firmatari della lettera."
Come sostenere il mercato
Come avete reagito alle parole del Ministro Giuli, a margine dei David?
"Va tutta la nostra solidarietà ad Elio e Geppi, ma ripeto, la lettera non punta a questo, non cadiamo nel tranello. I politici fanno i politici, il Ministro è una persona intelligente, e sa che bisogna coprire la crisi, senza spiegarla o rivendicarla. E ripeto di nuovo: se la cultura non deve essere pubblica ma solo privata bisogna dirlo, se non lo dici, bisogna essere consapevoli che nel settore cinema le cose funzionano male. Se attacchi qualcuno vuol dire che copri una questione, sviando il centro del discorso".
Segre, ultimo appunto: come giudica il cinema estivo a tre euro e cinquanta? Non svilisce il mercato?
"La soluzione non può essere il cinema a 3,5€, come ha detto Pupi Avati ai David. C'è un tema, però. Il rapporto con i ragazzi. Ho una figlia di vent'anni. Molti giovani sono andati a vedere Berlinguer. Parlando con loro viene fuori che il peso di una serata al cinema può essere una spesa importante. Se rendi accessibile il cinema a chi ha salari più bassi è un'azione di equità che rispetto, ma se è l'unico intervento diventa elemosina. La carità può essere una virtù, ma se è solo carità diventa una virtù negativa".