Abbiamo incontrato il maestro del cinema asiatico TSAI Ming-liang, protagonista principale dell'interessante seconda edizione dell'Asian Film Festival in corso di svolgimento alla Sala Trevi di Roma, per una lunga ed affascinante chiacchierata.
Qual'è il suo rapporto produttivo ed artistico con il cinema europeo, che da sempre sembra ispirarla?
Tsai Ming-liang: Il mio avvicinamento al cinema occidentale degli anni 60' e 70' è legato soprattutto ai miei studi universitari e mi ha particolarmente influenzato. Molti pensano che il mio cinema sia fermo a quegli anni e non ci sia stato progresso, ma è una precisa scelta; difatti molti dettagli dei miei film riflettono questa mia passione. Sono dettagli percepibili solo al cinema e non guardando i film in DVD.
Le tecniche dei suoi film sono spesso primordiali, o comunque contestualizzabili nel cinema muto. Lo fa per un preciso scopo di rappresentazione della contemporaneità? TSAI Ming-liang: Quando faccio un film la prima cosa che penso sempre è "che cos'è un film?", gli artisti di oggi spesso non lo pensano, finendo per credere che sia solo un mezzo per divertirsi. Guardando questi film trovo siano tutti molto simili e verbosi ma delle potenzialità di un film è rimasta solo quella di raccontare una storia. Facendo così non esiste più reale differenza tra un romanzo, un'opera teatrale, un film e la televisione. Cos'è un film? E' stato tema di molte conferenza che ho tenuto nelle università. I film hanno un'utilità per l'uomo; rappresentano la realtà ma allo stesso tempo se ne distanziano. Per questo per me fare un film non significa comprendere la società ma comprendere introspettivamente le individualità.
Quali caratteristiche deve allora avere un film per non essere solo il racconto di una storia? TSAI Ming-liang: Quando il pubblico vede i miei film si pone delle domande come: "Perché pochi dialoghi? Perché assente la musica? E perché ci sono sempre gli stessi attori?". Domande che non si pone per altri film perché sa già cosa aspettarsi, nulla è imprevisto. Andare a vedere un film diventa un'abitudine che viene spezzata da un film molto diverso, che spiazza. I film sono diventati una sorta di oppio per distrarsi dalla realtà. Prima di andare all'università vedevo sempre film hollywoodiani e li avevo in un certo modo interiorizzati. Poi mi dedicai al cinema europeo e lo trovai più vicino alla realtà, così ho scoperto un nuovo mondo. Ad esempio mi colpì moltissimo Rainer Werner Fassbinder. Ero abituato a vedere storie d'amore tra belli, non tra una vecchia e un nero. La risposta alla sua domanda è quindi legata alla coscienza della rappresentazione della realtà. Scoprire la realtà è un valore fondamentale che spesso è trascurato.
Goodbye, Dragon Inn è un chiaro omaggio al film di King Hu . Qual è il suo rapporto con il genera wu-xia-pian? TSAI Ming-liang: Sono nato in un tempo senza DVD, vedendo i film solo al cinema. Da giovane ho visto in Malesia circa 3000 film del genere wu-xia-pian, ma quando è apparso King Hu ho capito che la qualità era completamente diversa e che pochi film potevano arrivare a quel livello. Nonostante il cinema di Hong Kong sia profondamente diverso da quello taiwanese, in quanto più spettacolare e più influenzato dal cinema occidentale, Dragon Gate Inn è un film di una profondità esistenziale straordinaria.
Ci dà qualche informazione sul suo nuovo lavoro? Verrà presentato, come si dice, a Cannes? TSAI Ming-liang: Ho appena finito il film e sono molto soddisfatto del risultato. I produttori sono francesi ed è un musical a sfondo sessuale e non so se sarà accettato a Cannes, anche se è quello che vorrebbero i produttori per dargli forza sul mercato. Il film si chiama Una nuvola in cielo e probabilmente la censura bloccherà molte parti, specie i balletti sessuali; non credo però che in Italia troverà problemi a uscire.