Il catalogo Netflix, che si arricchisce mese dopo mese, settimana dopo settimana, di serie e di film di ogni tipo, provenienti dai più svariati paesi del mondo, ci dà spesso la possibilità di apprezzare prodotti di qualità che altrimenti - come spettatori e amanti del cinema, non come giornalisti e frequentatori di festival - mai avremmo avuto modo di vedere. Come scopriremo in questa recensione di 7 Prisioneiros, film brasiliano diretto da Alexandre Moratto e presentato nella sezione Orizzonti Extra della scorsa Mostra del cinema di Venezia, ci troviamo davanti ad una pellicola capace di colpirci nel profondo, che ci racconta una realtà lontana - quella dello Human trafficking, così diffuso in paesi come il Brasile - ma comunque in grado di toccare corde profonde e condivisibili da tutti. Insomma, una storia che riprende perfettamente la filosofia glocal tanto ricercata ed apprezzata da Netflix per i suoi titoli, ossia dare una forte attenzione a prodotti che siano inquadrati in realtà locali ben definite, ma che siano capaci di attrarre un pubblico internazionale molto ampio.
Mateus va in città
Al centro di questa storia troviamo Mateus (Christian Malheiros), un giovane cresciuto nelle vastissime e sperdute campagne brasiliane da una madre sola, insieme a due sorelle. Il giovane vorrebbe smettere di lavorare nei campi e trovare un buon lavoro, così da aiutare la famiglia in costante difficoltà economiche: per questo, quando Gilson (Maurício de Barros) gli fa un'allettante proposta lavorativa che gli farebbe lasciare casa per una metropoli come San Paolo, dove guadagnerebbe a sufficienza per permettere a sua madre di non spaccarsi più la schiena, il ragazzo accetta di buon grado. Insieme ad altri quattro coetanei, Mateus parte per San Paolo ma, una volta arrivato, si renderà presto conto che la realtà che li aspetta è ben diversa da quella che si erano immaginati.
Mateus e i suoi compagni di sventura vengono a tutti gli effetti sequestrati dal proprietario di una discarica di rottami, Luca (Rodrigo Santoro), che gli confisca documenti e cellulari, costringendoli a vivere in un vero e proprio tugurio e a lavorare dalla mattina alla sera per estrarre rame da cavi e ricavare parti ancora funzionanti da elettrodomestici e auto rotte. I quatto inizialmente proveranno a scappare, verranno però fermati dalla violenza dei loro carcerieri (ovviamente armati) e dalla minaccia - reiterata dalla polizia corrotta che collabora con Luca ed i suoi - che avrebbero fatto del male alle loro famiglie. Non c'è via d'uscita, quindi, per Mateus e gli altri (a cui presto si aggiungeranno altri tre "prigionieri", i sette del titolo), che vengono inghiottiti da una metropoli fredda e inospitale, interessata solo a sfruttarli il più possibile. Mateus, però, capisce che l'unico modo per migliorare la propria condizione è quello di ingraziarsi Luca, passando in qualche modo dalla parte del nemico. Quello però di cui Mateus non si rende conto è quanto di se stesso sarà costretto a mettere in discussione, e quanto sarà disposto a fare e ad accettare per essere libero e tenere in salvo le persone che ama.
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Un film che racconta una realtà estremamente difficile
A rendere così interessante la pellicola di Moratto non è solo il fatto di mostrarci una realtà, quella del traffico di esseri umani, così presente e capillare in paesi come il Brasile (oltre ai ragazzi che lavorano nella discarica, incontreremo operai di enormi fabbriche di tessuti, ma anche ragazze costrette a vendere il proprio corpo), che dalla nostra prospettiva di "benessere" ci sembra quasi impossibile, relegata ad un altro tempo non al 2021 in cui viviamo, ma anche il fatto di raccontarcela in modo estremamente sfaccettato e ricco di sfumature. Sullo schermo non troviamo una divisione netta tra "buoni" e "cattivi", ma più procediamo con la visione più ci rendiamo conto di quanto i confini siano sfumati: da una parte abbiamo Mateus, che fa scelte assolutamente egoistiche per proteggere se stesso e le persone che ama, scelte che - come ci fa capire il film - forse avremmo preso anche noi se ci fossimo trovati al suo posto; dall'altra c'è Luca, che viene da una situazione familiare simile a quella dei suoi "prigionieri" e per emanciparsi (e proteggere la sua famiglia) è diventato un padrone ingiusto e crudele. Ma in un mondo come quello in cui sono nati è possibile fare scelte differenti? Vivere una vita diversa da quella a cui si è irrimediabilmente destinati? Ed è qui che il film di Moratto non punta più il dito solo sui suoi personaggi, e sul loro percorso di vita, ma sul resto del mondo, che è visto come una macchina che schiaccia le voci di persone come Mateus e che permette che orrori come la schiavitù (in tutte le forme diverse che ci vengono mostrate) continuino ad accadere. Perfetti per dare vita a questa storia Christian Malheiros e Rodrigo Santoro, capaci di interpretare personaggi estremamente sfaccettati e complessi, per cui, comunque, riusciamo ad empatizzare.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione del film di Alexandre Moratto sottolineando ancora una volta come si tratti di una storia capace di colpire nel profondo lo spettatore. Perfetti nei ruoli Christian Malheiros e Rodrigo Santoro, che ci permettono di empatizzare con personaggi complessi e sfaccettati.
Perché ci piace
- Una storia che ci parla di un fenomeno terribile come il traffico di esseri umani in un paese come il Brasile.
- Christian Malheiros e Rodrigo Santoro perfetti nel ruolo.
- Il film di Moratto racconta una vicenda molto complessa con il giusto tono.
Cosa non va
- Non si tratta di un film per tutti i palati.