Arriva in Italia dopo essere passato al Festival di Toronto un anno fa questo film di Gaby Dellal, regista di origine britanniche che si immerge in una New York ricca di suoni, colori e suggestioni per raccontare il dramma di un ragazzo transgender sedicenne e delle conseguenze della sua scelta di iniziare il processo di cambiamento di sesso sul suo mondo e sulla sua famiglia.
Una famiglia al femminile che che, nella nuova America nel segno di Donald Trump, inizia a sembrare un'oasi anomala, felice e autoreferenziale: due lesbiche legate da decenni, una madre single con figlia adolescente che, da che ricordi, ha sempre desiderato un'unica cosa: un corpo che riflettesse la sua identità maschile. Nei panni di Ray, che per il mondo è ancora Ramona, c'è la diafana e dolente Elle Fanning, nel ruolo della madre una vibrante Naomi Watts, mentra la spumeggiante nonna che ruba spesso e volentieri la scena alle talentuose colleghe è l'incomparabile Susan Sarandon.
Se il corpo è una prigione
Per la maggior parte di noi, abbastanza fortunati da nascere e crescere cisgender, ovvero a nostro agio con l'identità sessuale che ci capita in sorte alla nascita, il dramma di Ray è un enigma insondabile, ed è difficile anche solo iniziare a concepire, figurarsi a comprendere e accettare, le sofferenze e le frustrazioni di chi cresce in un corpo in cui non si riconosce. Non c'è solo la dissonanza e la frattura identitaria: a ci sono anche le pressioni, le incomprensioni, spesso e volentieri le violenze che l'individuo transgender deve affrontare in una società che lo percepisce come una minaccia destabilizzante.
La risposta per molti, in Italia, negli Stati Uniti e un po' in tutto il mondo continua ad essere la stessa: è un disagio psichico, una malattia che non va assecondata ma va controllata e combattuta. La battaglia di Ray inizia tra le donne colte, raffinate e progressiste che gli sono più vicine. Le prime a non capirlo, pur amandolo.
Quello che spetta a Elle Fanning è un compito difficile e corrisponde con quella che si propone 3 Generations - Una famiglia quasi perfetta: raccontare a tutti un dramma che appartiene a pochi e chiedere empatia agli indifferenti.
Lei non lesina impegno e convinzione nel tratteggiare un personaggio che non chiede compassione, ma solo di essere ascoltato. Gaby Dellal sceglie di raccontarlo attraverso la musica, le sue solitarie escursioni in skateboard per le strade di Manhattan, e i suoi videodiari di post-Millennial, ma la guida della regista purtroppo tradisce Elle in qualche occasione, così il suo talento cristallino rompe gli argini in qualche momento cruciale del film. Nel complesso, però, l'immersione nel mondo di Ray è efficace e illuminante, e tanto basta a fare di 3 Generations un film interessante e formativo soprattutto per le giovani generazioni.
Non è lesbica, è un maschio.
Le scelte delle madri
Le generazioni precedenti, invece, quelle che fanno fatica a porgere l'orecchio, perché ancora, (giustamente) assorbite da una vita che non deve finire prima del tempo, fanno i conti con le scelte del passato e con il sorprendente e sconfortante dato su quanto esse possano condizionare il futuro dei loro figli e nipoti. Il fatto che Ray, cresciuto esclusivamente da donne femministe, sia così incrollabilmente certo della propria mascolinità è probabilmente indice di quanto relativo in realtà sia l'impatto del nostro stile e delle nostre convinzioni ha sulla progenie; e la sceneggiatura di 3 Generations gestisce bene il rischio di far coincidere la transessualità di Ray con le conseguenze dei fallimenti dei suoi familiari. Come spiega lui stesso alla nuova famiglia del padre, tra le cose che deve ai genitori non c'è la sua transessualità. La verità è che mettere al mondo un figlio ci carica di responsabilità che vanno ben oltre la necessità di accudirlo fino a che non sarà autonomo; la misura in cui abbracciamo questa responsabilità è probabilmente quella che ci definisce come persone ancor prima che come genitori.
Detto questo, il dramma personale della Maggie di Naomi Watts è al centro del racconto quanto quello del figlio, anzi forse è l'elemento più immediatamente accattivante del film, grazie alla naturale amabilità della Watts e alla maggiore accessibilità di un personaggio a cui evidentemente anche Dellal si sente vicina. Anche Susan Sarandon riesce a farci digerire la transfobia della sua Dolly con il carisma e l'autoironia, e in generale il film indica una via verso la riconciliazione che passa per il perdono e il rispetto senza mai cadere nello stucchevole sentimentalismo.