La personalità forte, determinata e sicuramente eccessiva di Simone Weil non è mai stata adeguatamente celebrata dal cinema pur racchiudendo in se elementi di grande drammaturgia. Dopo aver conquistato con le suggestioni di una vita sempre condotta all'estremo la fantasia di Roberto Rossellini, che a lei s'ispirò per la protagonista di Europa 51, la filosofa francese di origine ebraica trova oggi nuova voce grazie a Le stelle inquiete di Emanuela Piovano, nei cinema dall'11 marzo. Prodotto da Kitchen Film e distribuito dalla Bolero, il film concentra la sua narrazione sull'estate del 1941 quando, abbandonato l'insegnamento per le nuove leggi razziali e con una salute già minata dalle sue sperimentazioni sociali, Simone trascorre del tempo nella fattoria del filosofo contadino Gustave Thibon e della moglie Yvette. Qui, dopo aver provato le fatiche del lavoro in fabbrica e aver scelto di vivere con il corrispettivo di un sussidio per la disoccupazione nonostante il suo stipendio d'insegnante, intreccia un intenso rapporto intellettuale con il vignaiolo Gustave, tanto da consegnargli il manoscritto L'ombra e la grazia, pubblicato postumo nel 1947. Gravemente provata da uno studio filosofico pratico più che teorico, la Weil muore a Londra nel 1943 a soli 34 anni. Dopo aver trascorso la sua breve vita costantemente dalla parte degli umili e averne provate miseria e privazioni, al mondo intellettuale e non lascia in eredità il pensiero di una donna curiosa, analitica, pronta a mettere in discussione teorie e dogmi. Non stupisce, dunque, che la regista Emanuela Piovano, nota per essere particolarmente interessata ai misteri dell'animo femminile (Le complici, Amorfù) e aver fondato l'associazione Camera Woman con lo scopo di indagare sulla condizione delle donne, sia rimasta sedotta da una personalità così intrigante e ambigua, capace di richiamare attenzione a quasi settant'anni dalla sua scomparsa. Presentato in esclusiva al Festival di Montreal, Le stelle inquiete si appresta a fare la sua comparsa sul grande schermo dopo una serie d'incontri tematici organizzati a Roma presso il Centro San Luigi dei Francesi. A chiudere le discussioni intorno alla figura della filosofa e al suo lavoro la regista Emanuela Piovano, la protagonista Lara Guirao e il direttore della fotografia Raoul Torresi.
Signora Piovano, confrontandosi con la complessa figura di Simone Weil lei ha scelto di concentrare la narrazione sul breve periodo che la vede a S. Marcel, ospite del filosofo vignaiolo Gustave Thibon e di sua moglie. In questo modo non rischia di semplificare troppo il pensiero strutturato e complesso della Weil?
Emanuela Piovano: Assolutamente sì. A dire il vero è stato una sorta d'incubo che mi ha rincorso per tutta la durata delle prime fasi del progetto ma tranquillizzarmi in questo senso sono stati propri i produttori stranieri coinvolti. Il loro messaggio è stato chiaro fin dall'inizio; non volevano realizzare una fiction televisiva ma un cinema evocativo. A questo punto, spalleggiata così fortemente, ho deciso che realizzare una storia in cui potersi identificare, una vicenda che parlasse ai giovani e non all'enciclopedia.
Ma un personaggio come Simone Weil quanto appeal può avere sul pubblico italiano?
Il film è girato totalmente in italiano nonostante la presenza di un'attrice francese. La scelta di un doppiaggio successivo non avrebbe garantito un risultato più naturale?
Emanuela Piovano: Il film ha vissuto fasi alterne. All'inizio avevamo una produzione europea quadripartita che, probabilmente a causa della crisi economica, è svanita a poco dalle riprese. A quel punto ho deciso di fermarmi, non sapendo bene cosa fare. Più o meno nello stesso momento, però, nella sede della mia società di produzione era arrivato tutto il macchinario che avevamo comprato per installare un piccolo studios e, per finire, si era definitivamente formato anche un gruppo di giovanissimi da formare tecnicamente. A darmi la scossa definitiva di cui avevo bisogno è stato Stefano della Casa, già direttore della Torino Film Commission, che mi ha suggerito la possibilità di girare il film nella mia comune La Serra di Ivrea, dove effettivamente produciamo il vino Côtes du Rhône. L'idea iniziale era di affidare la parte a Laura Morante, ma dopo lunghe conversazioni in cui avevo accarezzato addirittura l'ipotesi di realizzare tutto in interno in stile Lars Von Trier, abbiamo deciso di comune accordo che sarebbe stato meglio trovare un'attrice francese. La ricerca non è stata semplice perché non è facile trovare un'artista disposta a farsi carico di un personaggio così privo di corporalità come Simone. Però, grazie a Marco Perrone, abbiamo finalmente scovato Lara. Una volta arrivata in Italia, Lara mi ha chiesto in che lingua dovesse recitare, ma per me non aveva alcuna importanza. L'ho lasciata libera di scegliere e lei ha accettato la sfida. Effettivamente potevamo doppiarla, a dire il vero è un problema che dobbiamo porci per la versione francese tenendo conto di ricreare delle dissonanze, perché il tema centrale è sempre quello dello straniero.
Lara Guirao: Effettivamente per me sarebbe stato molto più facile recitare nella mia lingua, ovvero in francese, ma le difficoltà sono uno stimolo e non certo un limite. La prima volta che Emanuela mi ha parlato di Simone ho pensato immediatamente che questa donna fosse puro spirito, lontana e distaccata dalla sua consistenza fisica. In un certo senso, lavorare con una lingua straniera mi ha aiutato a rappresentare nel migliore dei modi proprio questa negazione del corpo. La mia mente era così occupata nello sforzo di cercare sempre le parole giuste che, per la prima volta, non mi sono preoccupata d'altro.
In questi giorni il pensiero di Simone Weil è stato chiamato in causa in relazione alla manifestazione del 13 febbraio, accendendo incredibili polemiche tra giornalisti e intellettuali. Cosa pensate a riguardo?
Lara Guirao: Simone negava con tutta se stessa la tangibilità del suo corpo e per interpretarla ho cercato di fare lo stesso. Ho mangiato pochissimo ed ho provato a non interessarmi al mio aspetto in nessun modo. Certo, quando si mette in scena un personaggio si vuole renderlo seducente, ma spesso è proprio con il rifiuto della propria bellezza che si diventa irresistibile.
In questa storia la fotografia sembra avere un ruolo incredibilmente importante, quasi fosse un personaggio attivo con cui dialogare. In modo particolare si assume il compito di rispecchiare la passionalità di questa vicenda quotidiana all'interno di una vita straordinaria...
Raoul Torresi: Tutto nasce dal personaggio di Simone Weil e dalla sua essenza quasi sovrannaturale. Lavorando in questo senso ho pensato di dover ricreare intorno a lei una sorta di realismo magico. È stata una sfida tecnica non indifferente visto che abbiamo lavorato con una macchina molto piccola, senza ottiche cinematografiche e solo con lo zoom in dotazione. In questo modo ho voluto dimostrare che la fotografia si crea attraverso l'illuminazione e non attraverso mezzi sempre più sofisticati, come credono i giovani che si avvicinano a questo mestiere.