Può la fotografia di una donna che allatta il suo bimbo al seno cambiare per sempre la vita delle persone coinvolte nello scatto? E' quello che si chiede Italo Spinelli, regista e documentarista italiano che si reca fin nel lontano West Bengala per affrontare la situazione della donna nelle comunità tribale traducendo per lo schermo un racconto dell'anziana scrittrice indiana Mahasweta Devi, una delle figure più importanti della letteratura indiana. La Devi, oggi ottaquantrenne, si presenta all'incontro con la stampa al fianco di Spinelli e del cast di Gangor al completo per presenziare all'anteprima italiana del film, in concorso a Roma.
Italo, per te questo è un esordio nel lungometraggio di finzione. Hai pensato a una distribuzione indiana del tuo film? Il pensiero di doversi rivolgere a un pubblico indiano ha in qualche modo influenzato il tuo stile?
Italo Spinelli: Avevo già realizzato un film molti anni fa. Si intitolava Roma Paris Barcellona, ma sono tornato alla finzione dopo molti anni. In qualche modo ho pensato anche al pubblico indiano cercando di non essere discalico perché questo è un pubblico che conosce bene gli argomenti trattati. Spero che il film non risulti scontato neanche per il pubblico italiano.
Pochi film indiani vengono scelti per partecipare al concorso ai festival internazionali. Il tuo lavoro rappresenta una felice eccezione.Italo Spinelli: E' vero. Questa per noi è stata una grande opportunità e siamo molto felici di aver potuto realizzare questa pellicola. Il viaggio di Gangor parte adesso e speriamo che venga ben accolto in India. Ci sono storie che non sono indiane o italiane, ma sono umane, attraversano culture e confini. Questa è una storia internazionale che fotografa la situazione di certa parte dell'India, ma può essere rivolta a pubblici diversi. Dirigendo da molti anni un festival di cinema asiatico mi trovo spesso a vedere bei film indiani, ma molte opere sono eccessive, troppo recitate, troppo cariche. Mi sono chiesto se fosse possibile provare a realizzare un film interpretato da attori indiani limitando gli eccessi di questa cinematografia, applicando una misura più occidentale.
Perché hai scelto di raccontare questa storia mescolando fiction e stile documentario?
Italo Spinelli: Ho mantenuto i luoghi del racconto da cui il film è tratto. Purullia si trova nel West Bengala ed è l'area più densamente popolata di villaggi tribali. Essendo la nostra una storia in qualche modo reale, siamo stati influenzati nel modo di narrare. Volevamo evitare di fornire un'immagine esotica dell'India prestando maggior attenzione alla realtà. La lentezza del narrazione è legata alla scelta di restituire il ritmo del pensiero e del punto di vista dei personaggi coinvolti nella vicenda.
La situazione delle donne in India è ancora così problematica come viene mostrata nel film?Italo Spinelli: Nella società tribale vigono regole molto antiche anche se oggi le donne stanno combattendo per conqustare i propri diritti, per ottenere il rispetto. L'India riunisce molte anime diverse e vi sono ancora molti uomini contrari a considerare le donne uguali a loro. Questo film è tratto dal racconto Dietro il corsetto di Mahasweta Devi, una dei più importanti scrittori indiani. Credo che le sue storie siano straordinarie e abbiano la capacità di narrare le molteplici anime dell'India, in questo caso il contrasto tra la città e la campagna.
Il film è la prima coproduzione italo-indiana. Come è nato quest'accordo?
Angelo Barbagallo: Per me non è stato difficile produrre il film, perché io sono rimasto a Roma. Esisteva già un accordo per una coproduzione italo-indiana e quando Rai Cinema ha mostrato interesse per questo progetto abbiamo deciso di partire. Apprezzavo la scelta di mescolare due culture così diverse facendo sì che una storia molto indiana venga raccontata da uno sguardo occidentale. Spero che questo film aiuti anche le donne italiane a fare uno scatto d'orgoglio riflettendo su quello che sono diventate e su come viene trattata oggi la loro immagine.
Italo Spinelli: Lavorare con la troupe indiana è stato bellissimo. Sono molto professionali. Gli innesti culturali tra India e Italia partono da lontano. Il neorealismo italiano è stato influenzato da Satyajit Ray, Pasolini, Antonioni, Bertolucci hanno subito in tempi diversi la fascinazione di questo paese. Inevitabile proseguire su questa strada.
Gangor contiene scene forti, è presente la nudità, inaccettabile per la cultura indiana, e i temi trattati sono molto controversi. In India il film potrebbe avere problemi?Italo Spinelli: Sicuramente è un film che può provocare reazioni forti. Parte della società indiana aderisce ai pricipi del fondamentalismo indù e potrebbe reagire in modo violento. Inoltre l'India ha una censura molto forte quindi il film dovrà ottenere il visto per uscire in sala. Purtroppo ci sono stati precedenti in questo senso. La società indiana, però, è più che pronta a recepire una pellicola di questo tipo anche perché il tema è molto sentito. Basti pensare a quello che è successo con The Millionaire. I bambini presenti nel film sono stati portati alla notte degli Oscar, sono finiti su tutti i giornali, hanno ricevuto l'attenzione dei media, ma cosa è successo dopo? Alcuni di essi sono tornati alla loro vita umile, altri sono finiti sulla cronaca perché hanno subito violenza dai genitori. Il nostro film mostra ciò che accade quando i riflettori si spengono.