Tenace, determinato e preciso, così si presenta Oreste Crisostomi, classe 1982, autore ternano che a breve debutterà nelle sale con Alice, una pellicola distribuita da Medusa e interpretata da Camilla Ferranti nel ruolo principale, e da Catherine Spaak, Massimiliano Varrese, Antonio Ianniello, Gisella Sofio, Emanuela Aureli e Vito. Con lui abbiamo parlato del lungo processo creativo (e burocratico) affrontato per portare a termine la sua prima avventura cinematografica, ma anche della dura realtà distributiva nostrana, oltre che degli autori di cinema europei da lui più amati, e degli inevitabili confronti con le altre cinematografie.
Da quello che si sa di Alice, è che si tratta di una ragazza alle prese con le difficoltà della sua realtà quotidiana: la famiglia, il lavoro, l'amore, l'amicizia. Hai preso spunto dall'eroina della fiaba di Lewis Carroll, per questo personaggio o si tratta solo di un omaggio che si limita solo al nome della protagonista?
Il nome Alice richiama moltissime altre storie e, anche senza volerlo, queste entrano nel nuovo racconto perché i nomi, e le parole in genere, esistono da molto tempo prima e portano al loro interno un significato a prescindere dal nuovo percorso che si vuole intraprendere. Le parole hanno vita propria, una loro autonomia di significato e un enorme campo semantico che può condurre la narrazione in una direzione, oppure verso la parte opposta, senza mai dimenticare le origini.
Come sei arrivato a scegliere Camilla Ferranti per questo ruolo?
Alice segna il tuo esordio alla regia. Quali sono state le difficoltà più grandi che hai incontrato durante lo sviluppo di questa tua opera prima?
Ho iniziato a scrivere Alice nel 2007, è stato un percorso lungo, sono stato paziente e tenace. Anche fortunato. Purtroppo molte opere prime non trovano distribuzione: è una mattanza terribile. Gli esordienti dovrebbero essere sostenuti di più anche nel percorso distributivo.
Sembra di capire che la realtà di Alice sia comune a quella di molti giovani italiani. Quali sono secondo te, le problematiche principali che vivono le nuove generazioni, nel nostro Paese, e cosa ti auguri per il futuro?
Non posso parlare di futuro del Paese, non ne ho le competenze. Ma nella cinematografia vorrei che le nuove onde venissero accettate con più apertura. In Francia registi piuttosto giovani come Ozon, Decourt e altri hanno avuto grandi occasioni e sostegno nello sfoggiare tutta la loro potenza creativa che affonda le radici nella Nouvelle Vague. In Italia mi sembra che questo non avvenga spesso. Inoltre tutta la cinematografia anglosassone, a partire da Loach e Leigh, ha come riferimento il nostro Neorealismo, molto spesso però ce ne dimentichiamo. Ho amato molto l'irlandese Once di John Carney, l'ho trovata una testimonianza sincera, toccante e profonda, realizzata per di più con un budget irrisorio.
Dai primi dettagli svelati sul tuo film, sembra che tra gli amici della protagonista ci sarà un omosessuale interpretato da Massimiliano Varrese. Si tratta di una scelta mirata ad affrontare tematiche relative alla condizione omosessuale, o è solo un semplice dettaglio narrativo?
Credo si possa parlare di diritti civili, aldilà di ciò che si fa a letto. Allo stato delle cose, l'anomalia è ancora considerata estremamente poco salutare, poco malleabile e sfuggente al controllo dei corpi. Tutto questo avviene ultimamente troppo spesso per passare inosservato.
Spesso si parla delle difficoltà, da parte degli autori più giovani, di riuscire ad imporsi nell'attuale panorama cinematografico nostrano. In che modo sei riuscito a convincere la produzione con questo tuo esordio, di cui tra l'altro, hai firmato la sceneggiatura?
Che atmosfera si respirava sul set del film? In che modo e con che spirito hai affrontato il tuo primo giorno di riprese?
È stata un'apnea, la respirazione c'entra poco. Ma il set è stato teatro anche di grandi amicizie. Un gruppo di lavoro, gran parte del cast e della troupe, che spero possa incontrarsi di nuovo in futuro.
A chi dedicheresti questo film?
A chi ci ha lavorato con passione.