È il cinema che insegue la vita, oppure le nostre esistenze doppiano inconsapevolmente le rotte del Grande schermo? Al di là dell'interrogativo, alquanto marzulliano, Il padre dei miei figli - preziosa opera seconda della promettente Mia Hansen-Løve, insignita del premio speciale della Giuria nella sezione "Un Certain Regard" di Cannes 2009 - è un film tutto intriso dell'inestricabile rapporto che si instaura tra cinema e vita. Protagonista è, infatti, un illuminato produttore - modellato sulla figura realmente esistita di Humbert Balsan, scopritore di talenti come quello di Yousseuf Chahine - che antepone le logiche dell'arte a quelle del denaro, incauto delle conseguenze persino a scapito della sua vita personale. Ma il cortocircuito tra cinema e vita reale continua a riproposi anche al di là dello schermo. Infatti a distribuire in Italia questa opera, minuta ma molto densa nei contenuti, è la Teodora Film, casa indipendente innamorata del cinema d'autore, in particolar modo europeo. Quella condotta dall'indomito Cesare Petrillo e dall'inossidabile Vieri Razzini è una delle poche realtà che ancora lottano in direzione ostinata e contraria, seguendo la bussola della libertà espressiva e tenendosi a debita distanza dalle sirene del mercato di massa omologante da multisala. Proprio come Humbert Balsan, e come il protagonista de Il padre dei miei figli a lui ispirato.
Alla conferenza stampa romana erano presenti le due anime femminili che animano Il padre dei miei figli: la regista Mia Hansen-Løve e la nostra Chiara Caselli, che interpreta con misura e delicatezza il ruolo della moglie del protagonista. Prendendo spunto dalla molteplicità di temi che attraversa il film, entrambe hanno toccato svariati argomenti, dall'attuale crisi culturale e politica ai riferimenti autobiografici e personali che si celano dentro l'opera. Ribadendo, ancora una volta, che "il cinema è vita", come sosteneva Truffaut.
In Francia la storia del produttore Humbert Balsan, cui è ispirato questo film, è sicuramente più conosciuta che da noi. Si tratta di una personalità straordinaria, che ha contribuito a diffondere autori difficili su cui nessuno voleva investire, molti dei quali tristemente mai distribuiti in Italia. Ne Il padre dei miei figli fino a che punto si è fatto riferimento ai dettagli reali della sua biografia?Mia Hansen-Løve: Humbert Balsan era un uomo estremamente amato e stimato nell'ambiente culturale francese. Il suo lavoro ha concesso a grandi artisti come Yousseuf Chahine di potersi esprimere, e ha permesso di diffondere cinematografie poco conosciute come quelle del Medio e dell'Estremo oriente, nonché di lanciare autori esordienti francesi, tra cui Sandrine Veysset (il suo Ci sarà la neve a Natale è stato un successo). Tuttavia è una personalità che rimane ancora poco conosciuta anche tra il grande pubblico francese. Il mio desiderio era dunque quello di far uscire dall'ombra questo eroe silenzioso, dedicandogli un film. Da un punto di vista professionale sono stata molto legata a Balsan, perché è stato il primo che ha creduto in me e ha accettato di produrre il mio film d'esordio, Tout est pardonné. Ma dal punto di vista personale purtroppo non sono riuscita a conoscerlo molto bene, e ho incontrato per la prima volta la moglie e i figli solo dopo il suo funerale. Il padre dei miei figli è quindi il risultato di una mescolanza tra dettagli reali, attinenti alla sua storia professionale, e particolari di fantasia relativi alla sfera affettiva e famigliare. Non lo definirei dunque un biopic.
Alla riuscita del suo film contribuisce in maniera determinante lo straordinario apporto di tutti gli interpreti. Quali sono i criteri che l'hanno guidata nella scelta degli attori?
Mia Hansen-Løve: Il casting per me assume un valore quasi sacro. Penso sia l'aspetto più importante di ogni film. Non si tratta solo di trovare gli interpreti giusti, ma anche di prestare molta attenzione alla loro modalità di interazione. Per questo motivo sono stati dedicati molti mesi ai provini, ma il tempo impiegato si è rivelato ben speso, e mi riferisco naturalmente anche alla scelta di Chiara Caselli.
Chiara Caselli: Spero davvero che tanti miei amici italiani, che svolgono un lavoro simile a quello di Grégoire non facciano la sua stessa fine... Il mondo del cinema vive oggi una situazione più che mai drammatica, caratterizzata dai tagli al Fondo unico per lo spettacolo e dal ritiro dei finanziamenti per il Centro sperimentale di cinematografia. Conosco molti produttori italiani che hanno lo stesso coraggio di Grégoire, la medesima voglia di mettersi in gioco, anche in prima persona, in nome dell'arte. Il nostro Paese è pieno di talenti in ogni settore, dalla musica, alla pittura, al cinema, ma purtroppo questa gloriosa tradizione sta morendo. Ciò che ha permesso alla creatività italiana di affermarsi, fin dai tempi del Rinascimento, è stata la volontà di sovvenzionare la cultura da parte di persone illuminate. Se non ci saranno più finanziamenti, il nostro patrimonio sarà destinato a svanire. Avendo anche una figlia piccola, ciò che mi infastidisce di più di questo sciagurato Governo è l'assoluta incapacità di pensare alle generazioni future.
Il suo film propone molti temi, dall'incomunicabilità della relazione di coppia, all'elaborazione del lutto, passando per la crisi del cinema. Quale le interessava raccontare maggiormente?.
Mia Hansen-Løve: In effetti rispetto alla mia opera d'esordio, che ruotava attorno a un unico argomento, questo film possiede un approccio più sfaccettato. Il padre dei miei figli non parla solo di cinema, ma si allarga alla vita vera. Senza fare alcun tipo di paragone, mi ispiro molto all'idea di cinema di Jean Renoir, in cui la storia di un personaggio era solo il punto di partenza per raccontare un intero universo. Ad ogni modo si può dire che nel mio film c'è soprattutto un nodo cruciale, vale a dire la relazione che scatta tra amore per il cinema e amore per la vita. Anche in questo caso mi ricollego alla visione di un altro maestro del calibro di François Truffaut, che sosteneva come il cinema fosse la vita. Personalmente mi sento molto legata al personaggio di Grégoire, che è fondamentalmente un uomo la cui forza di vivere scaturisce dal cinema, almeno fino a che questo rapporto non finisce per incrinarsi.
Mia Hansen-Løve: Forse può sembrare un po' strano che una moglie non si accorga dei problemi esistenziali di suo marito e che non ne comprenda le tragiche intenzioni. Ma, secondo me, sono cose che succedono nella vita vera. Grégoire è uno di quelli che si tengono tutto dentro, mentre Sylvia ha troppo pudore per domandargli cosa non va. Capisco che sia una situazione molto difficile da rappresentare al cinema, ma si tratta di qualcosa che fa parte anche del mio vissuto personale. Anche mio nonno, infatti, si è tolto la vita, senza che sua moglie fosse riuscita ad accorgersi del suo malessere. Una cosa che mi ha sempre colpito - tanto in mia nonna quanto nella moglie di Humbert Balsan - è la forza eccezionale con la quale queste donne riescono ad affrontare la vita, senza al tempo stesso mai serbare rancore nei confronti del proprio compagno.
Per quale motivo è stata scelta proprio Ravenna come luogo dove la famiglia si reca in vacanza?
Mia Hansen-Løve: Devo ringraziare un mio amico che mi ha portato a vedere i mosaici di Sant'Apollinare in Classe, di cui mi sono letteralmente innamorata. Per me si tratta di un luogo che ha qualcosa di atemporale; qualcosa che secondo me - proprio come il cinema - ha a che fare con la nostalgia dell'infanzia. L'altro luogo turistico che si vede nel film è Bagno San Filippo, a Siena, dove ci sono delle pozze di acque sulfuree di cui è rimasto attratto anche il regista Andrej Tarkovskij.
Mia Hansen-Løve: Non abbiamo provato molto di più rispetto a un film in cui nel cast ci fossero solo attori adulti. Anzi, non ho proprio voluto coinvolgere le bambine durante la fase di lettura del copione per evitare che perdessero di spontaneità. Sembrerà una stupidaggine, ma il fatto di aver girato in estate, in luoghi di campagna, è stato molto utile anche per le piccole attrici, che si sono potute divertire. Penso che l'ambiente che ci circonda sia una variabile molto importante per il risultato artistico finale. Ho preferito girare scene molto lunghe, senza stacchi, in modo da ricreare un'atmosfera il più possibile naturale e spontanea, affidandomi sovente all'improvvisazione.
Chiara Caselli: Quando ho incontrato per la prima volta Mia, lei mi ha consegnato la sceneggiatura de Il padre dei miei figli, ma mi ha anche fatto vedere il suo primo film. Penso che anche lì si noti la straordinaria capacità di trasformare i personaggi di finzione in persone reali. In questo caso Mia è stata bravissima nel riuscire a gestire anche il rapporto tra attori adulti e bambini, notoriamente molto difficoltoso. Per calarmi nel personaggio sono partita da piccoli gesti, come ad esempio la camminata. Un particolare apparentemente secondario, come la scelta di indossare scarpe basse, è stato per me indicativo del carattere di Sylvia; una donna con i piedi ben piantati per terra, che sa quale direzione prendere anche nei momenti di crisi. Poco prima di iniziare le riprese ho incontrato anche la moglie di Humbert Balsan. Ho percepito subito la sua grandissima forza interiore ed è stata per me una grande guida spirituale. Sono molto grata alla regista per avermi dato la possibilità di incarnare un personaggio così calato nella vita autentica, come non mi era mai capitato prima d'ora.
Cosa può dirci invece la regista sui motivi che l'hanno spinta a scegliere Chiara Caselli nel ruolo della moglie di Grégoire?
Mia Hansen-Løve: Ho voluto un'attrice straniera perché la moglie di Humbert Balsan era americana. Cercavo qualcuno che fosse in grado di catturare l'essenza del suo carattere, al tempo stesso dotato di estrema forza e fragilità, e penso che Chiara sia stata perfetta in questo.
Mia Hansen-Løve: Pur sapendo che Lois-Do avesse una figlia attrice molto brava, all'inizio la mia scelta non è ricaduta subito su di lei, perché so che sul set i rapporti di questo tipo sono molto difficili da gestire. Ma, dopo aver condotto molti provini, ho capito che in realtà Alice era la scelta migliore. Lei possiede una naturale sensibilità, che si è rivelata estremamente utile per questa parte così delicata e particolare.