Musica classica, reminiscenze comuniste, melodramma, ironia, satira politica e una divertente bonaria impostura al centro del cinema di Radu Mihaileanu e de Il Concerto, un po' tragicommedia e un po' melodramma ambientato tra Mosca e Parigi che narra la bizzarra storia di un grande direttore d'orchestra del Bolchoj che venticinque anni dopo il crollo della sua carriera di musicista si ritrova a lavorare come uomo delle pulizie nello stesso posto in cui aveva diretto decine di concerti. Licenziato sotto il regime totalitario di Breznev, dopo essersi rifiutato di rinunciare ai membri ebrei della sua orchestra tra cui il suo migliore amico, l'ex maestro viene in possesso di un fax che invita la prestigiosa orchestra del Bolchoj, quella vera, a tenere un concerto in uno dei più importanti teatri di Parigi. Spinto dalla voglia di rivalsa, dal suo spirito di combattente e dalla memoria della straordinaria violinista che a suo tempo era la solista del brano da lui più amato, il mitico Concerto per violino e orchestra di Cajkovskij, l'impavido musicista decide di escogitare un piano per riunire la 'vecchia' orchestra da lui diretta all'inizio degli anni '80 e partire alla volta della ville lumiere in cerca del successo che gli fu negato. L'esotico gruppo di musicisti, reduce da anni di stenti e vessazioni dittatoriali del regime comunista sovietico parte così alla volta di Parigi con nel cuore la voglia di portare a termine quello che avevano iniziato tanti anni prima con entusiasmo e passione.
Applauditissima anteprima della sezione Fuori Concorso all'ultima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Roma, Il Concerto ha fatto molto parlare di sé ancor prima di uscire nelle sale ed è stato presentato stamane dal regista e sceneggiatore Radu Mihaileanu che ci ha raccontato la genesi di questo suo ennesimo importante progetto dopo Train de Vie e Vai e vivrai. Distribuito da Bim Film, Il Concerto arriverà nei cinema italiani venerdì 5 febbraio.
Radu Mihaileanu: Mi piacerebbe che venisse usato il termine 'emozione', il lavoro di costruzione delle emozioni che c'è in questa storia è stato per me un percorso molto importante. Fossi stato in Francia non avrei neanche risposto a questa domanda in questo modo, in alcuni paesi europei il pubblico è molto più pudico riguardo le emozioni, succede anche in Germania e in Inghilterra. Ma oggi sono in Italia e quindi posso rispondere serenamente dicendovi che io sono un uomo dell'est e questo film ha nel suo cuore l'anima e il temperamento dei paesi slavi. Dalle mie parti si tende sempre ad estremizzare, in negativo e in positivo, a tentare di superare sempre i propri limiti. In ambito politico questo aspetto non ha mai portato a grossi successi ma nella cultura, nel teatro e nella musica ci siamo sempre superati, abbiamo raggiunto risultati grandiosi che nessun altro ha raggiunto. Oltre all'emozione aggiungerei anche la parola 'umorismo', protagonista dei miei film, un'arma dell'uomo contro tutte le barbarie, un mezzo per poterci esprimere e dialogare con gli altri.
Perché secondo lei questa grande diversità di sensibilità?
Radu Mihaileanu: Non so, noi non abbiamo mai avuto paura di manifestare l'emozione e raccontarla, in tanti paesi europei c'è invece una sorta di reticenza, come se provare emozione avesse di per sè qualcosa di negativo. All'inizo della mia carriera quando mi trasferii in Francia mi chiedevo continuamente quale atteggiamento poter adottare nello scrivere e dirigere i miei film, alla fine ho capito che dovevo lasciarmi andare, che non volevo farmi condizionare in alcun modo, a dispetto delle opinioni altrui. Spesso i miei film vengono definiti melodrammatici, e in un certo senso è vero perchè esprimono tante emozioni diverse. Non credo possa essere mai positivo rinunciare alle proprie emozioni - sia quando si tratta di raccontare eventi lieti che eventi tragici, perchè l'importante è dare e ricevere - questo è il cinema che voglio fare e che faccio, voglio raccontare la vita esaltandola, descrivendola in tutte le sue sfumature emotive. Non bisogna mai vergognarsi di piangere e ridere.
Radu Mihaileanu: E' vero, molti paesi dell'est hanno avuto un atteggiamento di distacco e di lontananza dalla Russia, in particolare la Romania. Personalmente sono riuscito a fare una differenza, a distinguere il popolo e la cultura russa dal regime comunista russo, mi sono addirittura rifiutato di imparare il russo durante la lavorazione del film, è stato il mio modo di resistere e di mantenere in un certo senso le distanze. Trovo che quella russa sia una grandissima cultura: se andate a Mosca vi accorgete come la Russia sia diventata una nazione 'cugina' degli Usa, anche l'architettura inizia ad assomigliare a quella americana. E poi sono cresciuto vedendo film russi, non potevo non omaggiare il cinema russo, sono convinto che Andrei Tarkovski sia uno dei cinque migliori cineasti della storia del cinema mondiale.
Un film anti-comunista come Il Concerto sarebbe stato possibile anche solo dieci anni fa?
Radu Mihaileanu: Non penso affatto che Il Concerto sia un film anti-comunista quanto più un film contro tutti i regimi dittatoriali che sono esistiti ed esistono tuttora nel mondo. La storia dell'umanità ha prodotto decine di esempi purtroppo, sia a sinistra che a destra: penso a Pinochet, alla Cambogia, alla Russia comunista di Stalin, alla Spagna, all'Italia. La mia denuncia non è soltanto contro il regime comunista ma essendo quello che ho vissuto personalmente sulla mia pelle è ovvio che abbia scelto questa ambientazione. Quest'opera vuole opporsi a qualsiasi forma di potere che arrivi a mettere in ginocchio le persone e impedire loro di vivere il proprio destino. L'impostura positiva che mettono in atto i personaggi del mio film racchiude una sorta di volontà di reazione di fronte a un regime che di fatto li ha costretti per anni a piegarsi alle vessazioni politiche degli statisti che hanno guidato il paese.
Radu Mihaileanu: Questi uomini e queste donne prendono di nuovo in mano il loro destino e tentano di rivendicare la propria dignità individuale, di riconquistare la stima di sé stessi. Questo Concerto per violino e orchestra di Cajkovskij è la metafora musicale che ho voluto utilizzare per descrivere il rapporto tra il singolo individuo e la società in cui vive. Obiettivamente è un film che poteva essere fatto anche dieci anni fa: non è una novità che il regime comunista abbia perseguitato gli ebrei, perchè accade sin dai tempi di Stalin. E' storia, non è una cosa che ho inventato io.
Dialoghi e musica hanno un diverso ruolo in questo film, ma sprigionano un'energia incredibile, qualcosa di unico. Com'è riuscito a realizzare questo mix così entusiasmante?
Radu Mihaileanu: Per me la musica è l'energia che alimenta il mondo, è una cosa importante nella vita personale di ognuno di noi, ed è dentro di noi. Anche chi non sa suonare, chi non ha orecchio e non la sa produrre ha dentro di sé una musicalità interiore fatta di energia. L'espressione musicale è la forma d'arte più vicina a quella energia scatenata dall'Universo, credo molto nello scambio di energie tra terra e cielo, tra ogni essere umano e il suo contesto sociale. E' una forma d'arte molto astratta ma allo stesso tempo molto concreta, è una forma di espressione completamente libera, assai più della letteratura, del teatro e del cinema, nei quali spesso si è vincolati da ciò che è 'in campo' nell'inquadratura, mentre i veri geni sono quelle persone in grado di suggerire con i suoni quello che è fuori campo e che non è visibile. E' il linguaggio più universale che esista per la complessita e per l'insieme di suggestioni che è in grado di far nascere nell'anima. Quando ascolti un brano musicale ti relazioni con l'autore che lo ha realizzato ma sei anche libero di rivivere quei momenti anche in seguito, in un altro momento e in altro modo.
Radu Mihaileanu: Si, anche Il Concerto si ispira un po' alla mia vita, parla dell'incontro tra i 'barbari' dell'est a la civilizzatissima cultura europea d'occidente. Pochi popoli hanno dentro l'energia vitale che vediamo in questo gruppo di russi nostalgici, è questo il vero motore della cultura di un popolo. Ci sono paesi che hanno conservato nei decenni un'energia primordiale spirituale, una ricchezza enorme che il mondo occidentale ha ormai perso. E' questo il punto focale, quanti popoli sono in grado di cogliere l'essenza della propria storia, la propria energia vitale e metterla in sintonia con quella dell'universo che li circonda? Pochissimi. Senza tutto ciò è difficile vivere pienamente, l'armonia suprema sta proprio in questo, arrivare alla felicità con un percorso arduo e lungo ha sempre rappresentato qualcosa di affascinante per me, è stato un percorso professionale ma soprattutto interiore.
Nella scena in cui il gitano sfida la violinista professionista eseguendo un virtuosismo c'è racchiusa la sua voglia di dare il giusto riconoscimento alla cultura gitana?
Radu Mihaileanu: Mi sento molto vicino ai gitani, lo sento come un popolo fratello che ha rappresentato una parte importante della mia infanzia. La loro erranza, la particolarità, la sofferenza e la prigionia nel campi di concentramento li ha resi nel tempo un popolo unico e geniale, ricco di qualità singolari ma anche ingiustamente perseguitato perchè diverso, perchè vive in maniera diversa. Su questo argomento sono spesso nati malintesi e incomprensioni. Resto sempre molto attento a cosa accade ai gitani in Europa e in particolare in Italia, scenario in cui hanno avuto luogo le più grandi incomprensioni politiche che li riguardano. Non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, come gli italiani non sono tutti mafiosi, i gitani non sono tutti delinquenti e criminali.
Progetti per il futuro?
Radu Mihaileanu: Sto finendo di scrivere un film sulla condizione delle donne arabe, il titolo provvisorio è La sorgente delle donne, un progetto importante e molto impegnativo.