Out of Tehran (2011): curiosità e frasi celebri

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Tutte le curiosità sul film Out of Tehran del 2011: curiosità, frasi celebri e citazioni, aneddoti, bloopers, note di regia e produzione, trivia sul film e sui realizzatori.

Curiosità

  • Venezia 2011

    Presentato nella sezione Controcampo Italiano - Documentari della 68. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (2011).

Frasi celebri e citazioni

  • Abbas: Io personalmente non ho davvero nessuna ragione per abbandonare il mio Paese, come tutti gli altri iraniani amo profondamente l'Iran ma ormai avevo solo due alternative: restare in prigione a farmi torturare ferocemente giorno dopo giorno o lasciare il mio Paese.

  • Ebrahim: Mi chiamo Ebrahim Mehtari, sono nato a Tehran nel 1983. Come tutti i ragazzi della mia generazione sono diventato attivista quando è cominciata l'era di Khatami. Ho cominciato a lavorare con i partiti riformisti, con i loro siti e i loro giornali. E tutto questo è durato fino alla campagna elettorale del leader riformista Moussavi.

  • Narges: Ormai in Iran la realtà è che questo regime, il regime della Repubblica Islamica, chiede alla gente di non pensare. Chi pensa è in pericolo.

  • Hossein: Mi chiamo Hossein Tabatabaie. Sono nato nel 1969. Nella mia famiglia erano tutti personaggi religiosi molto importanti. Poi nel 2009, il giorno che Ahmadinejad è stato eletto, siamo tutti scesi in strada. Noi abitavamo vicino al Ministero dell'Interno. Mia moglie era decisa a manifestare.
    Era l'8 di luglio del 2009.
    Siamo andati al Parco Laleh verso le cinque del pomeriggio. Fino a quel giorno ero ancora convinto che la Repubblica Islamica avrebbe potuto essere riformata. Alle 5 la gente si è messa a gridare per strada Allah Akhbar. In quel momento la polizia ha attaccato. Io e mia moglie siamo entrati nel parco: abbiamo visto una donna di una settantina di anni e sua figlia. Due poliziotti hanno cominciato a picchiarle. Io ho protestato. Loro hanno iniziato a insultarmi pesantemente, a minacciarmi. Ma io non sono scappato. Mi sono rivoltato contro di loro ed è stato lì che mi hanno attaccato. Mi hanno picchiato furiosamente con tutto quello che potevano.

  • Ebrahim: Nel corso di ogni interrogatorio avevo davanti a me una telecamera. Venivo fatto sedere su una sedia.
    Ogni volta che la luce rossa era accesa significava che stavano registrando e dunque il carceriere smetteva di picchiarmi e di insultarmi, ma appena la luce diventava verde si avvicinava di nuovo a me e non aveva alcuna pietà.

  • Carceriere: Ci insegnano dal primo giorno come dobbiamo comportarci. Annullano dentro di noi la possibilità di provare qualsiasi sentimento umano. Ci insegnano la violenza assoluta.
    Ogni giorno vedevo i miei compagni torturare e uccidere i prigionieri.
    Poi un giorno è successa una cosa terribile.
    Ci hanno portato dei bambini che erano stati arrestati. Erano quattordici, tutti tra i gli undici e i quattordici anni. Era Nowrooz, la festa della luce, e loro avevano violato la legge. Mi ricordo perfettamente come li abbiamo torturati.
    Abbiamo arroventato sul fuoco delle sedie di ferro, poi li abbiamo costretti a sedersi sulle sedie ardenti.
    I bambini avevano tutti delle scottature orribili sulle gambe e le cosce, piangevano disperati...

  • Ebrahim: Hanno cominciato a spegnermi mozziconi di sigaretta in ogni parte del corpo. Mi hanno legato al letto e mi hanno iniziato a picchiare sulla testa e sulla schiena con un bastone. Vedevo il mio sangue che colava sul pavimento. Mi usciva sangue dappertutto, dal corpo, dal naso.
    Poi lui si è arrabbiato e con il bastone mi ha violentato. Non riuscivo più a respirare...

  • Narges: In fondo Ebrahim non ha fatto altro che scrivere su un blog. Certo, ha delle idee politiche, ma non ha fatto nulla di particolare. Solo cose normali. Ma non c'è più nulla di normale in Iran. E' bastato questo a farlo cadere nelle mani del regime e dei suoi aguzzini.
    E' finito in carcere.
    Lui ha lasciato l'Iran solo perché voleva avere una vita normale, come tanti altri.

  • Hossein: Il mio grande desiderio adesso è quello di rivedere le mie due figlie.
    Veramente sogno di poterle rivederle in Iran.
    Io aspetto.
    Sono sicuro di non poterle rivedere in Iran allora prego dio ogni giorno che almeno me le faccia rivedere qui.
    Prego, e cerco di non perdere la speranza.

  • Abbas: La sera della partenza sapevo che era l'ultima volta che uscivo da casa mia, ma ho cercato di salutare la mia famiglia in modo normale, nonostante la grande tristezza, cercavo di non turbarli ancora di più.
    È stato un momento tristissimo.
    Mia moglie e i miei due figli sono ancora in Iran e spero che un giorno potranno uscire dal paese.

  • Ebrahim: Qui le persone non sono certo cattive, ma io non appartengo a questo posto. Il mio solo desiderio è quello di tornare nel mio paese e in qualche modo lo farò. Voglio tornare per servire il mio paese. Lo so che è molto pericoloso e non so cosa mi aspetta ora, la mia sola ragione di vita è l'idea di tornare in Iran.

  • Narges: Lui vuole tornare. Anch'io voglio tornare in Iran.
    Io, Narges Kalhory, un giorno ho deciso di fare un documentario sulla tortura e ho capito che non sarei più tornata nel mio paese. Io, e tanti altri come me, aspetto il giorno in cui mio padre finalmente capirà la mia decisione; il giorno in cui i nostri padri avranno la possibilità di ripensare a questi tempi e di capire quale è stata la ragione che ci ha portato a prendere questa decisione, e a scegliere il nostro destino.