Balliamo sul Polo
Il pinguino Mambo, alla fine, ha avuto ragione. Se nel primo Happy Feet la sua passione per la danza era vista con sospetto e derisa da tutta la comunità dei pinguini Imperatore, naturalmente votati al canto, ora non solo il tip tap è ormai pratica mainstream in Antartide, ma il suo alfiere è diventato un leader nella comunità, rispettato come pinguino saggio e ponderato, oltre che per le sue grandi doti di ballerino. Eppure, le difficoltà non mancano nell'attuale vita di Mambo: sposato con l'amica di infanzia Gloria, il pinguino ha un figlio, il piccolo Erik, che non sembra proprio volerne sapere di imparare a ballare. Goffo e poco attratto dalla pratica tanto amata dai suoi simili, Erik prova comunque a cimentarsi nella danza dietro consiglio del padre, ma inciampa e viene inevitabilmente deriso dagli altri pinguini: deluso, il piccolo lascia così la comunità in cerca della sua strada, seguendo il simpatico Ramon che sta per fare ritorno nella sua Terra di Adelia. Qui, Erik incontra Sven, un pinguino che incredibilmente è in grado di volare: ammaliato dalle capacità e dal carisma di Sven, il piccolo pinguino crede di aver trovato un nuovo punto di riferimento, forse persino in grado di sostituire suo padre. Ma, mentre nel frattempo Mambo si è messo sulle tracce di suo figlio, una imprevedibile minaccia sta per abbattersi sulla comunità dei pinguini Imperatore...
Era quasi scontato che sarebbe stato realizzato un sequel di una pellicola di successo come Happy Feet, opera di animazione "ecologica" che sfruttava l'onda lunga del successo dei più blasonati prodotti Pixar e Dreamworks; ed era praticamente scontato che il paesaggio dell'Antartide, già mirabilmente rappresentato in un prototipo che resta tecnicamente validissimo, avrebbe acquisito quella terza dimensione che ormai sembra diventata la norma per tutti i prodotti di animazione, con una profondità che si va a unire alla ricchezza di dettagli già garantita da un team creativo che ha di nuovo lavorato al meglio. Come per il film originale, e al netto di un 3D comunque non indispensabile, il livello tecnico di questo sequel, diretto ancora da George Miller, è in effetti piuttosto alto; ma la caratura tecnica di prodotti come questo non deve più stupire, considerati i passi da gigante fatti dalla tecnologia del settore ormai quasi quotidianamente, e i cinque anni intercorsi (quasi un'era, viene da dire) dall'uscita in sala del primo film. La domanda che ci si deve porre, quindi, è se questo Happy Feet 2 in 3D sia riuscito o meno ad aggiungere qualcosa ad un prototipo che già si caratterizzava per un'estrema semplicità narrativa (ai limiti del semplicismo) e che faticava a coinvolgere, nella sua movimentata girandola di canzoni, colori e buoni sentimenti, un pubblico anagraficamente più maturo del suo target naturale. Squadra che vince non si cambia, si dice spesso, ma in questo caso l'affermazione più calzante è forse quella per cui formula che vince non si cambia: questo sequel segue narrativamente, infatti, le tracce lasciate dal suo predecessore, non solo in una storyline semplice e lineare, con un protagonista (qui il piccolo Erik) che dopo una delusione va a cercare la sua strada altrove distaccandosi dalla famiglia e dalla comunità; ad essere riproposti, e forse addirittura amplificati, sono di fatto anche i limiti del film originale, con una sceneggiatura che per tutta la prima parte non fa altro che inanellare un numero musicale dopo l'altro, tutti in sé gradevoli ma insufficienti, da soli, a creare un film che interessi lo spettatore. Nonostante qualche simpatica aggiunta, tra cui quella dei due piccoli Will e Bill (minuscoli crostacei a cui danno la voce, nella versione originale, rispettivamente Brad Pitt e Matt Damon) e nonostante l'introduzione di una tematica, come quella del rapporto padre-figlio, trattata in modo fin troppo superficiale, dopo quaranta minuti lo spettatore starà ancora, probabilmente, domandandosi quand'è che il film finalmente inizierà. Un senso di deja vu pervade inevitabilmente lo spettatore adulto che abbia già riscontrato questo limite nella pellicola precedente, con la differenza che qui, quando una linea narrativa coerente (rappresentata dal crollo dell'iceberg che ha isolato la comunità dei pinguini Imperatore) viene finalmente messa insieme, questa si rivela ancora più fragile e pretestuosa di quella del primo Happy Feet. La successione di canti, danze e numeri coreografici che il questo Happy Feet 2 in 3D continua ad inanellare disinvoltamente, condita da una profusione di buoni sentimenti in quelle che sembrano essere una serie di scene madri (tutte parimenti adatte a fare da finale) sarà probabilmente, di nuovo, gradita al pubblico più giovane; ma non può che risultare stucchevole per uno spettatore che non solo abbia superato anagraficamente l'infanzia, ma che sia stato anche testimone (ripetuto) della possibilità di creare opere d'animazione in grado di essere fruite, in modo diversificato ma ugualmente soddisfacente, da entrambi i tipi di pubblico. La situazione viene ulteriormente appesantita da un doppiaggio italiano deficitario, con scelte di casting piuttosto discutibili (la Nathalie - cantutrice lanciata da X Factor - che dà la voce al personaggio di Gloria ricorda inopinatamente la Ilaria D'Amico che doppiava la draghessa di Eragon) e dalla discutibile scelta di tradurre in italiano tutte le canzoni della colonna sonora: anche qui, se un bambino sicuramente non ci farà caso, per chi al contrario conosca e ami i Queen sentire una Under Pressure cantata in italiano suonerà, probabilmente, un po' troppo simile a una bestemmia.
Movieplayer.it
2.0/5