Da Unbreakable a Glass: Se la trilogia è "twist"

L'uscita di Glass è un twist, la scoperta che Unbreakable sarebbe diventato una trilogia unica, sia per come è costruita che per come tratta i supereroi.

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Glass: un primissimo piano di Samuel L. Jackson

"Sta cercando di capire chi è. Non lo facciamo tutti?" Queste parole riguardano Mr. Glass, alias l'Uomo di Vetro, alias Elijah Price, la grande nemesi, l'arcinemico di David Dunn, il supereroe che, nel 2000, avevamo conosciuto in Unbreakable. E ora è il mattatore del film che, dopo Split, chiude la trilogia "scalena" di M. Night Shyamalan con un film che porta il suo nome, Glass, nelle nostre sale dal 17 gennaio. Il signor Glass ha una sua teoria. È convinto che i supereroi siano da sempre tra noi. E che i fumetti non siano altro che la rappresentazione e la rielaborazione di qualcosa che abbiamo già visto e conosciuto. È convinto di essere il villain, il cattivo del mondo che abita. Ma non è il cattivo d'azione, è la Mente Suprema: colui che ordisce trame, che condiziona la gente, che svia il nostro sguardo e lo rivolge da un'altra parte, mente lui sta facendo qualcosa nella direzione opposta.

Avevamo conosciuto la sua vera natura grazie al più classico dei twist ending, alla fine di Unbreakable - Il predestinato. Ed è stato un twist, un ribaltamento a sorpresa, anche la scoperta che Unbreakable sarebbe diventato una trilogia. Doveva essere questo, nelle intenzioni di Shyamalan, diciotto anni fa. Ma poi le cose non andarono così. E, quando la trilogia è arrivata, è stato con un colpo di scena, alla fine di Split. Come vi spieghiamo nella recensione di Glass, si tratta quindi di una trilogia non pianificata, arrivata in extremis, con un'opportunità. Per questo la chiamiamo trilogia "scalena": come i lati del triangolo in questione, i tre film hanno dimensioni (e quindi linguaggi, e sensi) diversi. Pensateci: non si era mai vista una trilogia dove il sequel non è annunciato, e dove nel secondo film non è nominato e non si vede, se non in un frame alla fine, il protagonista. Non si era mai vista una trilogia in cui il secondo film ha uno stile di regia, narrativo, di genere, completamente diverso dal primo. Il twist ending è un marchio di fabbrica di Shyamalan, e anche la costruzione e la rivelazione della trilogia è stata un twist, una sorpresa.

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Glass: Bruce Willis in una scena drammatica del film

Unbreakable: l'origine delle origin story

Bruce Willis con Samuel L. Jackson in una scena di Unbreakable - Il predestinato
Bruce Willis con Samuel L. Jackson in una scena di Unbreakable - Il predestinato

All'epoca fu lanciato come un thriller psicologico, perché si diceva che i cinecomic non andassero. E perché Shyamalan veniva da un film di quel tipo, Il sesto senso. Unbreakable - Il predestinato è anche questo, certo. Ma che cosa sia realmente, come nella migliore tradizione di M. Night Shyamalan, lo scopriamo alla fine, negli ultimi sei minuti, con uno dei suoi twist ending più famosi. Unbreakable è un cinecomic senza esserlo, non è tratto da alcun fumetto, e ha cambiato completamente la concezione dei film sui supereroi com'erano concepiti fino a quel tempo. Niente colori sgargianti, niente effetti speciali, poco spazio per l'epicità in cambio di un tono assorto, sospeso e misterioso, unito a un senso pittorico non indifferente, che, in qualche modo, richiama i chiaroscuri delle tavole dei fumetti. Unbreakable è stato probabilmente il precursore delle riletture di alcuni dei cinecomic che sarebbero venuti, Batman Begins su tutti. La storia di David Dunn (Bruce Willis) è un'origin story sui generis, che non ci parla dell'assunzione dei superpoteri quanto dell'assunzione di responsabilità, della consapevolezza del proprio destino, della propria identità. Da quel momento si è cominciato a scrutare gli eroi più nel profondo, nei loro lati oscuri, nel loro privato. Fino a quel momento c'era stato l'action, il gotico, il pop. Poi il mondo dei fumetti al cinema è diventato altro.

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Split: e se i diversi fossero superiori?

Split: Betty Buckley e James McAvoy in una scena del film
Split: Betty Buckley e James McAvoy in una scena del film

Se abbiamo capito qualcosa di Unbreakable solo negli ultimi sei minuti, abbiamo capito cosa fosse Split solo negli ultimi tre. E con una scena che, in pratica, arriva a film finito. Shyamalan è sempre più twist, e riesce nell'impresa di regalarci un secondo capitolo di una trilogia che in realtà non è il sequel del primo film. E che ha anche un linguaggio e uno stile molto lontani dal predecessore. È un thriller psicologico, con venature horror: ma più che psicologico diremmo psichiatrico, visto che stiamo in un mondo tra Qualcuno volò sul nido del cuculo, The Ward - Il reparto e Identità. La storia di Kevin Crumb (James McAvoy), cioè l'Orda, un uomo con personalità multiple (ben 24), risente dell'ingresso di Shyamalan nel mondo BlumHouse (che, da The Visit in poi, di fatto lo ha rilanciato), e vive di immagini fredde, di luci chiare, apparentemente l'opposto di Unbreakable. Eppure, a rivederlo oggi, i segnali di una continuità ci sono. E sono soprattutto nei discorsi tra gli psichiatri, che a una prima visione ci sembrano elementi secondari. "Consideriamo i diversi esseri inferiori a noi. E se invece fossero superiori?" si chiede la professionista che ha in cura Crumb. "Ne parli come di esseri soprannaturali, come se avessero dei poteri" risponde il collega. È in questo breve scambio che il regista di Signs ci lancia un aggancio, che prepara il terreno per dirci che, in fondo, anche qui siamo in un cinecomic. E comincia il discorso di Glass, che è il vero momento rivoluzionario nel rapporto tra cinema e supereroi.

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Glass: il superpotere come patologia

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Glass: una scena con Samuel L. Jackson

Glass è il momento in cui tutti i nodi vengono al pettine, in cui il discorso di Unbreakable e Split trova la sua esplicitazione. Dopo uno scontro tra David Dunn, che ora è chiamato il Sorvegliante, e la Bestia, la più pericolosa delle personalità di Kevin Crumb, troviamo i due, insieme a Elijah Price (Samuel L. Jackson), cioè l'Uomo di vetro, in un ospedale psichiatrico. Dove trovano una dottoressa specializzata in persone con manie di grandezza, che si credono supereroi. Mentre in ogni cinecomic è dato per scontato che ci troviamo in un universo che è quello dei fumetti, e quindi dove i supereroi esistono, in Glass tutto questo viene messo continuamente in dubbio. Potremmo anche trovarci nel nostro mondo, nella vita reale, dove i supereroi non esistono. E allora chi crede di esserlo altri non è che un malato psichiatrico, un diverso, un essere più fragile. E se invece fosse più forte, se il suo fosse un superpotere, come suggerisce la psichiatra di Split? E se gli eroi, e i villain, ci fossero ma fossero bravi a nascondersi? I dubbi su se stesso che aveva David Dunn in Unbreakable, in Glass diventano i dubbi su un intero mondo. Il superpotere come patologia è una chiave di lettura assolutamente nuova nel genere.

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M. Night Shyamalan, la Mente Suprema

Glass: Bruce Willis sul set insieme a M. Night Shyamalan
Glass: Bruce Willis sul set insieme a M. Night Shyamalan

E il merito è tutto suo, di Mr. Twist Ending, M. Night Shyamalan. Il sesto senso, Unbreakable, Signs, The Village, The Visit, Split e ora Glass: ogni volta ci ha colpito, ogni volta ha saputo sviarci e stupirci. Il regista di Philadelphia è come Mr. Glass, è la Mente Suprema: da anni ormai dirotta il nostro sguardo da una parte per poi colpirci dall'altra, ci racconta una storia per darci un messaggio che svela solo alla fine, traveste le sue opere da qualcosa per mostrarci qualcos'altro. Soprattutto in questi giorni, di accesi dibattiti su Glass, abbiamo capito che Shyamalan si ama o di odia. E il regista de Il sesto senso lo odiano in molti. Ma, d'altra parte, non potrebbe essere altrimenti: è o non è un grande villain da cinecomic?