Una festa esagerata: Salemme e il potere dell’antica comicità partenopea

Il regista e comico napoletano torna al cinema con l'ultima trasposizione tratta da un suo spettacolo teatrale. È il trionfo della risata, una commedia senza pretese con cui l'artista si concede un omaggio al teatro di De Filippo.

Nel 1998 L'amico del cuore approdava nelle sale cinematografiche e sbancava il botteghino riscuotendo un dirompente successo di pubblico e critica. Era un'opera prima di derivazione teatrale, il testo da cui aveva preso vita era uno spettacolo del 1991 "A chi figli, a chi figliastri" contenente tre commedie tra cui quella che ne avrebbe costituito la genesi. C'erano in quell'esordio i germi di una accorata teatralità partenopea, che avrebbe caratterizzato poi la maggior parte delle successive trasposizioni cinematografiche.

Una festa esagerata: Vincenzo Salemme e Mirea Flavia Stellato in una scena del film
Una festa esagerata: Vincenzo Salemme e Mirea Flavia Stellato in una scena del film

Sì, perché da allora Vincenzo Salemme non si sarebbe più fermato cercando di portare sempre sul grande schermo la forza travolgente della sua anima di teatrante: nel 2000 con A ruota libera, nel 2005 con Cose da pazzi, nel 2014 con ... E fuori nevica! ed oggi con Una festa esagerata, tratto dall'omonimo spettacolo portato in giro per più di una stagione sui palcoscenici di mezza Italia. Dentro c'è tutta la napoletanità di Salemme, malinconica, eccentrica, amara, straripante, insieme all'omaggio al teatro di De Filippo (su tutti il riferimento è per stessa ammissione del regista Natale in casa Cupiello) e a personaggi e situazioni della più tradizionale commedia all'italiana

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Una festa esagerata: Tosca D'Aquino e Iaia Forte in una scena del film
Una festa esagerata: Tosca D'Aquino e Iaia Forte in una scena del film

Risate, tipi umani e comiche realtà

Una festa esagerata: Tosca D'Aquino e Mirea Flavia Stellato in una scena del film
Una festa esagerata: Tosca D'Aquino e Mirea Flavia Stellato in una scena del film

Una festa esagerata eredita dal palcoscenico l'unità di tempo e di luogo: l'azione si svolge quasi interamente tra la terrazza della borghese famiglia Parascandolo, dove fervono i preparativi per il diciottesimo compleanno della giovane Mirea, e il piano di sotto, casa Scamardella, abitata da un padre molto anziano (Nando Paone) e dalla sua figlia zitella (Iaia Forte). Tutto procede freneticamente fino a quando il vecchio Scamardella non muore rischiando di far saltare i festeggiamenti; toccherà al mite Gennaro Parascandolo (Salemme), capofamiglia "per illusione", assecondare i capricci di moglie e figlia e assicurare la riuscita della festa.

Una festa esagerata: Vincenzo Salemme e Vincenzo Borrino in una scena del film
Una festa esagerata: Vincenzo Salemme e Vincenzo Borrino in una scena del film

Ad agitarsi sullo schermo una girandola di personaggi che Salemme affida ad un gruppo d'attori (molti dei quali vecchie conoscenze) affiatato e capace di reggere i ritmi forsennati di una comicità fisica e di parola: Tosca D'Aquino nei panni di una moglie famelica e ambiziosa ("un generale d'armata"), maga dell'inciucio, fervida arrampicatrice sociale e sostenitrice dell'ostentare sempre e comunque, al punto da relegare la vecchia domestica in cucina per sostituirla con un maggiordomo indiano perché l'esotico fa chic; nel ruolo dell' invadente secondino Lello, Massimiliano Gallo, che qui rivela un talento comico insospettabile regalandoci alcuni dei migliori duetti con Salemme; la Forte nella parte della vicina ossessionata da un furente amore segreto per Gennaro, bizzarra femme fatale a cui l'autore affida i toni di una comicità grottesca; ad Andrea Di Maria e Mirea Flavia Stellato spetta invece l'ingrato compito di rappresentare le nuove generazioni capricciose, selfie addicted e lobotomizzate dal linguaggio social.

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L'amore per Napoli

Una festa esagerata: Vincenzo Salemme in una scena del film
Una festa esagerata: Vincenzo Salemme in una scena del film

Un bestiario di tipi umani che ruota attorno al personaggio di Gennaro, l'unica voce fuori dal coro, "il classico tipo che paga le tasse, il fesso", proprietario di un'impresa edile con cui compiace vizi e esagerazioni delle donne della sua famiglia; quando lo chiamano ingegnere risponde di no, ci tiene a precisare che è semplicemente un geometra, potremmo definirlo un piccolo eroe dei nostri tempi, un campione di resilienza che si batterà ostinatamente per sopravvivere ad un'umanità sopraffatta dal pressapochismo, dalla volgarità e dall'ignoranza.
Ed è a lui che Salemme affida l'omaggio alla Napoli che più gli piace, quella con "una tessitura sociale che ne faceva un'isola felice", quella che "mi sembra un presepe ogni volta che la guardo", la Napoli dalla cultura millenaria, tollerante, bella, multietnica, quella accovacciata tra i suoni jazz di James Senese (che qui interpreta se stesso), lontana da "una nevrosi dell'astuzia che ci fa fare brutta figura".
Non ci sono caricature, né macchiette, si ride e ci si diverte senza il bisogno di gag facili o volgari facilonerie, trascinati da una comicità che fa leva sul vecchio gioco degli equivoci, sul ritmo e le battute serrate, i colpi di scena, i ribaltamenti.

Movieplayer.it

3.0/5