Recensione Angel-A (2005)

Besson fallisce clamorosamente, forse abbacinato dalla splendida Rie Rasmussen, forse preso dall'ansia di dire troppe cose tutte insieme.

Un uomo e una donna si incontrano a Parigi

Un uomo e una donna si incontrano a Parigi...
Queste le uniche note introduttive che Besson consegna alla presentazione del suo nuovo lavoro. Angel-a si presenta sotto le spoglie di un abbacinante bianco e nero, che ricorda vagamente la stessa soluzione tecnico/fotografica che sottolineava i tratti de L'uomo che non c'era dei fratelli Cohen. Ma mentre in quest ultimo, nell'atipicità, nell'irrealtà della narrazione e della costruzione di molte sequenze, si delineava una totale mancanza di sé del protagonista e, conseguentemente, si poneva al centro della narrazione, paradossalmente, un casualistico vuoto narrativo, Besson fonda tutta la sua poetica filmica su una struttura pacata e lineare, inserendo lo spaesamento negli elementi stessi della diegesi del racconto. Spaesamento che, in realtà, è "telefonato" fin dal titolo della pellicola, nel rimarcare, in mezzo al magma del bianco/nero, quel trattino rosso che spezza, in senso metafisico, la scritta del nome. Il regista, dunque, non fa nulla per nascondere lo snodo cruciale di tutta la pellicola: l'appartenenza ultra-terrena della sua protagonista. E declina questa propensione al mettere le carte sul tavolo fin da subito disseminando il film di indizi e di allusioni.

Ci sembra di non svelare nulla dicendo qui che l'Angela, anzi, l'Angel-a, del film, è effettivamente un angelo, non in senso lato ma in senso letterale, per quanto concreto possa essere il termine, con tanto di ali e poteri paranormali.
E il bianco e nero, il non colore, il contrasto forte tra colori netti, marcati, sono estremamente funzionali a dipingere una vecchia, antica, storia, senza il quale si rischierebbe di scadere in un favolismo spicciolo.
Il problema serio è che, nonostante il paracadute di una soluzione tecnica così appropriata, il film mostra il fianco, nella sua estenuante vacuità, a tutte le critiche del caso.

Tutta la storia è un gigantesco fumetto (cosa di per sé non esecrabile) che si dipinge sullo schermo passando da un eccesso di (quasi) realismo a un'estraniazione dalla realtà sensibile sempre più marcata ed evidente. Processo questo che evolve in una progressione geometrica, costruendo sulla pelle dei due protagonisti personaggi che, pur nella loro dimensione fantastica, sono forzati e poco credibili. La troppo affannosa, e solo apparentemente provocatoria, ricerca dei contrasti tra i caratteri dei due protagonisti - angelicità/prostituzione, bellezza/non curanza, criminalità/bontà - concorre a questa definizione affannosa ed eccessiva, in un contesto, anche cromatico, che tende invece a smorzarla. Il tutto condito da un'estremizzazione della/nella verbosità che incancrenisce un senso di noia e di fastidio rispetto all'evolversi della vicenda.

Per un film che pone a cardine della sua essenza il lavoro sui e dei due attori principali, questi sono handicap da non poco. Un finale che, se disegnato a fumetti, potrebbe benissimo essere inserito nella disneyana "Fantasia" condisce il tutto di quel tocco di buonismo che lo fa andare definitivamente di traverso.
Un film che è un atto sconfinato d'amore. Amore per la Donna, amore per la Vita. Ma esplicato non riuscendo a non cedere alla tentazione di voler dire tutto, e di volerlo dire subito.
Un film linearmente spoglio, ma estremamente ridondante.