Recensione Luci nella notte (2004)

I tempi lunghi, la musica scarna, i fiumi di birra e alcool, strutturano un film sincopato, con un climax ascendente di tensione che segue le regole chabroliane.

Un mistero affogato nell'alcool

Il mondo è piccolo piccolo, famigliare, e una storia d'amore si rigira su se stessa nelle abitudini e negli eccessi. Diamanti al collo, fotografie (rappresentazioni della realtà in miniatura), dialoghi freddi e tanto alcool.
A Parigi, in un weekend di grandi partenze, Antoine e Helene partono per andare a prendere i figli che sono in vacanza. Le discussioni in macchina, alternate dalle pause al bar, però, estenuano i due coniugi. Nel frattempo la radio annuncia che un pericoloso criminale è evaso. La situazione improvvisamente trascende, e Antoine comincia a guidare in modo spericolato e veloce. L'alcool sale alla testa e un litigio violento allontana Helene, che improvvisamente scompare.

I tempi lunghi, la musica scarna, i fiumi di birra e alcool, strutturano un film sincopato, con un climax ascendente di tensione che segue le regole chabroliane. La sequenza in cui il protagonista è alla ricerca della moglie e telefona numerose volte è l'emblema di tutto il film. Il mistero e la paura è nelle piccole cose, nei minimi movimenti che accrecono l'inquietudine lentamente in modo incessante. Senza speranza. E' qui che Cedric Kahn è vincente e seduce lo spettatore.

Pochi fronzoli, due grandi interpretazioni (in particolare Jean-Pierre Darroussin è strepitoso) e una serie di situazioni fra sogno e realtà rendono Luci nella notte un'esperienza particolare, con un fortissimo contrasto fra suspence e lentezza.
Siamo dalle parti di Stephane, la moglie infedele di Claude Chabrol, strizzando l'occhio al cinema contemporaneo con le sue efferatezze conclamate. Le attese destrutturano il genere sostenuto dagli attori e alla fine lo spettatore si renderà conto che la violenza è più nelle parole che nei fatti.