Recensione Ultraviolet (2006)

C'è poco, davvero poco, in questo nuovo film di Kurt Wimmer, pasticcio fantascientifico tutto incentrato sull'azione roboante e sulle forme in bella vista della protagonista Milla Jovovich.

Un caleidoscopio impazzito e vuoto

In un futuro ipertecnologico e opprimente, il mondo è dominato dallo spietato dittatore Daxus, che ha intrapreso una feroce repressione contro gli emofagi; questi ultimi sono creature simili a moderni vampiri dotate di poteri sovrannaturali. In questo scenario si muove Violet, esponente della resistenza degli emofagi, che ha appena ricevuto un incarico di vitale importanza: rubare e distruggere quella che è destinata ad essere l'arma definitiva contro la sua razza. Quando, però, la donna si accorge che l'arma in questione è in realtà un bambino che ha subito un'alterazione genetica, rifiuta di eseguire l'ordine: inizierà così una spietata caccia a Violet e al bambino, ad opera sia delle forze governative, sia della resistenza che reputa la donna una traditrice.

C'è poco, davvero poco, in questo nuovo film di Kurt Wimmer (che ricordiamo come regista dell'interessante Equilibrium), pasticcio fantascientifico tutto incentrato sull'azione roboante e sulle forme in bella vista della protagonista Milla Jovovich. La sceneggiatura propone un mix poco calibrato, e decisamente confuso, di influenze tutte abbastanza riconoscibili (l'onnipresente estetica stile Matrix, le coreografie dei combattimenti prese di peso dal cinema di Hong Kong, il binomio vendetta/maternità già al centro del tarantiniano Kill Bill, il tema della diversità già trattato dalla serie degli X-Men), nessuna delle quali viene sviluppata in modo tale da giustificarne la semplice presenza. Uno script talmente confuso e allo stesso tempo inconsistente da rappresentare poco più di un mero collante, con lo scopo di tenere insieme sequenze d'azione sempre più sincopate e frastornanti. Temi, quelli che il film vorrebbe trattare, nemmeno accennati, ma rimasti semplicemente sulla carta, semplici enunciati di comodo per un film per cui pochi anni fa si sarebbe usata la parola "videogioco" (la stessa parola che attualmente, nella sua accezione negativa, rappresenta una sorta di offesa per un medium che ha ormai piena dignità artistica).

La regia di Wimmer, priva di un qualsivoglia guizzo personale, di un pur banale elemento che faccia intravedere una minima personalità registica, si muove tra un inseguimento al fulmicotone e un combattimento di arti marziali che sfida le leggi della fisica, venendo rapidamente, e inesorabilmente, a noia. La cura messa nella fotografia, decisamente fine a se stessa, fa quasi rabbia per come non si accompagna a un narrare che dia un senso alla girandola di colori che come in un caleidoscopio si rincorrono davanti agli occhi dello spettatore. La confusione nella narrazione e la scarsa comprensibilità del tutto (frutto non già di una scelta programmatica, ma di pura sciatteria di scrittura) si sommano alla sensazione di "già visto" provocando frustrazione e voglia che il tutto finisca prima possibile. E quando si è infine accontentati, dopo 88 minuti che sembrano molti di più, si pensa che in fondo un vero giro sulle montagne russe sarebbe stato più indicato: più "onesto", senza velleità artistiche, più economico e infinitamente più credibile.

Movieplayer.it

2.0/5