Recensione Je m'appelle Hmmm... (2013)

La regista francese ci racconta una storia dolorosa, ma aperta all'ottimismo; una storia che purtroppo non può sorvolare su certi momenti angoscianti e che ci pone più di un interrogativo, senza però azzardare giudizi.

Céline Story

Céline conosce bene l'orrore di vivere con un padre che le mette le mani addosso e si chiede se tutti gli altri padri siano come il suo, che ad un certo punto della giornata la porta al piano di sopra per farle male. Vorrebbe morire, andare in cielo e incontrare nell'ordine la Vergine Maria, amica stretta della nonna, Cenerentola e Babbo Natale. Durante una gita scolastica, la bambina lascia i suoi compagni di classe ai giochi sulla spiaggia, prende Barbie e se ne va in giro da sola. Incontra Peter, un uomo grande e grosso che guida un camion rosso e si intrufola nel suo abitacolo. Peter è scozzese e non conosce che poche parole di francese, Céline non sa parlare in inglese, eppure i due si comprendono al volo e insieme decidono di intraprendere un viaggio senza meta, in fuga dalle proprie tragedie. Peter ha da poco perso moglie e figlio e la vita è diventata insostenibile e con Céline, invece, tutto ricomincia ad andare per il verso giusto. A casa della piccola il padre si strugge per il senso di colpa, la madre, un'energica signora che ignora il segreto della figlia, evita di mostrare la sua preoccupazione al mondo.

Non è mai facile parlare di un tema come la violenza sui minori, ancor più orrendo se a commettere l'abuso è il proprio genitore. Agnès B., creatrice di moda e collezionista di arte contemporanea, lo fa con delicatezza ed estro e in Je m'appelle Hmmm..., presentato nella sezione Orizzonti alla 70. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, ci racconta una storia dolorosa, ma aperta all'ottimismo; una storia che purtroppo non può sorvolare su certi momenti angoscianti e che ci pone più di un interrogativo, senza però azzardare giudizi. Questa è l'avventura di Céline, interpretata da Lou-Lélia Demerliac, una bambina che dice al mondo di chiamarsi Hmmm e rinunciando al proprio nome, ricusa il suo presente, la sua vita. Peter (Douglas Gordon) lo capisce e sta al "gioco", proponendole per la prima volta una figura maschile profondamente affettiva e in grado di farle provare fiducia negli esseri umani.
La regista non ha alcuna intenzione di offrire al pubblico la fredda cronaca di un fatto e si avvicina alla storia di Céline come se stesse raccontando una fiaba. Le inquadrature degli attori non sono mai banali, in questo modo sembra che ogni parte del loro corpo abbia una storia da raccontare; le mani del padre (Jacques Bonnaffé) dicono di un uomo che non lavora quasi più e che preferisce passare le sue giornate sul divano a guardare qualche inutile programma in televisione. Le gambe della madre (Sylvie Testud), con le calze smagliate, raccontano di una donna che al contrario del marito si getta a capofitto nel lavoro, un triste impiego da cameriera, pur di non sentire quel sordo dolore che le si aggrappa sullo stomaco alla sera, prima di dormire, un misto di rassegnazione e depressione per una una vita sbagliata. Gli occhi di Céline e il suo profilo, invece, sono quelli di una bambina cresciuta troppo in fretta, che fino all'incontro con Peter si isola dal mondo. Ciò che colpisce in questo film è il fatto che la regista non sia fermata solo alla storia, ma l'abbia racconta in maniera originale, sfruttando tutti i mezzi che il linguaggio cinematografico propone, a partire dal montaggio che qui oltrepassa la classica dinamica del campo/controcampo. Interessante poi il lavoro compiuto sugli spazi, che vengono spesso ripresi nella loro vuotezza e sui colori, saturi e vivaci nella prima parte del film, più sfumati e malinconici nella seconda, quando anche tutto il racconto cambia passo.
Se nella prima ora la "fuga" di Peter e Céline trabocca di speranza, nell'ultima tranche emerge tutta la pesantezza della loro evasione e anche l'enigmatico Peter mostra tutta la sua fragilità e non possiamo fare a meno di domandarci perché non si sia chiesto chi fosse quella bambina, perché l'abbia trattenuta con sé. Che l'abbia considerata una sorta di risarcimento per la doppia perdita vissuta è forse vero, ma è un pensiero fin troppo cinico e non crediamo che possa appartenere ad un persona capace di dare (e attirare) affetto e di lasciarsi stupire in maniera quasi infantile dagli incontri fatti per strada, in primis quello con Céline, ma anche con tutti gli altri personaggi che incrociano la loro strada: i due danzatori che improvvisano un balletto sulla spiaggia, il vagabondo filosofo (Toni Negri), le donne che al supermercato si fanno in quattro per aiutarlo a scegliere il vestitino giusto da comprare per la bambina, il ragazzo con la sacca in spalla che fa ridere Céline e quella barista bellissima che forse gli fa battere ancora il cuore. Non tutto è perfetto in questa pellicola, in cui l'epilogo colpisce per la sua tragicità e non ci soddisfa del tutto, o meglio non soddisfa il nostro bisogno di sapere che giustizia sia fatta, ma forse è proprio in questo mancato appagamento il suo senso più profondo e coraggioso.

Movieplayer.it

4.0/5