Recensione Il futuro (2013)

La Scherson possiede un'asciuttezza stilistica che ben si sposa con la prosa di Bolaño, così essenziale e pungente, ma qualcosa nella messa in scena sfugge di mano.

Nemmeno una lacrima

Bianca e Tomàs sono fratelli; quando i genitori muoiono in un incidente stradale si ritrovano da soli a doversi prendere cura l'uno dell'altra. Bella e molto matura per la sua età, Bianca tenta in tutti i modi di dare un senso a quella nuova condizione, continuando ad andare a scuola e lavorando part-time come sciampista. Cerca come può di non pensare a quel dolore che la disintegra, anche se non riesce a piangere, un tormento che i suoi occhi trasformano in una luce continua e accecante. Tomàs non ha la stessa reattività. Riesce ad essere sereno solo guardando film porno, giusto per imparare come si fa l'amore e frequentando la palestra sotto casa, il posto dove conosce Libio e il Bolognese. La coppia di criminali di mezza tacca si stabilisce nella casa dei ragazzi e subito li coinvolge in un piano che dovrebbe rappresentare la svolta nella vita di tutti loro. L'idea è quella di sfruttare l'avvenenza di Bianca per circuire un ex attore di peplum, Maciste, entrare nella sua splendida villa cittadina e derubarlo dei soldi nascosti in una fantomatica cassaforte. Bianca accetta, ma visita dopo visita sente crescere un affetto vero per quel signore non più giovane che un incidente ha reso cieco e in quel rapporto trova un motivo per ricominciare a vivere.


E' stata coraggiosa la regista cilena Alicia Scherson a voler adattare per il grande schermo il romanzo breve di Roberto Bolaño, Un romanzetto canaglia, un centinaio di pagine incandescenti che descrivono con crudezza la vita di una giovane donna, capace di risalire dall'abisso della delinquenza grazie all'incontro con un uomo. Coraggiosa perché ha voluto correre il rischio di trasporre un libro per certi versi perfetto così com'è, compiuto nella sua forma 'semplice', una confessione in prima persona della protagonista Bianca, i cui pensieri vengono quasi vivisezionati dall'acuta penna di uno scrittore di culto, che ha conosciuto la gloria e il riconoscimento internazionale solo dopo la morte. Il passaggio al cinema insomma poteva appesantire quello che era nato per essere leggero e l'aggettivo non si riferisce certo alle meditazioni dell'io narrante, quanto alla loro incisività, alla precisione con cui vengono presentate; proprio per questo l'operazione non può essere perfettamente riuscita.

La Scherson possiede un'asciuttezza stilistica che ben si sposa con la prosa di Bolaño, così essenziale e pungente, ma qualcosa nella messa in scena sfugge di mano e il risultato finale è un'opera anomala, ibrida, che pur avendo molti punti di contatto con il noir, non ne rispetta i canoni, perdendo così vigore. A prima vista potremmo dire che adattamento migliore non poteva esserci. Il personaggio di Bianca è il vero e unico motore della storia, l'elemento dinamico di una trama in cui le figure maschili (perfino quella di Maciste) restano statiche; la regista dunque riproduce fedelmente l'intreccio, propone i personaggi con coerenza e attenzione, riesce perfino ad essere efficace nel ribaltamento completo della geografia del romanzo, spostando l'azione dal Centro ad una non meglio identificata periferia, funzionale a mostrare lo spaesamento di Bianca e Tomàs.
Eppure la visione di Il futuro non riesce ad essere appagante e non perché il film sia più brutto del libro, ma perché ciò che nel libro è un colore preciso, quel senso di perdizione che blocca i protagonisti, il loro continuo interrogarsi sulla propria situazione senza trovare una via d'uscita, scandagliando l'animo senza sconti, diventa nel film un'esibizione ordinaria. La pellicola ha un'andatura trattenuta, i personaggi sembrano imprigionati in un tempo immobile che ne condiziona le scelte; ma se questo umore molto si avvicina allo 'spirito' del libro, l'opera della Scherson non riesce ad andare oltre il romanzo, a tradurne in senso cinematografico il contenuto profondo. La regista riempie i vuoti di Bolaño, le sue sospensioni, in maniera fin troppo regolare, senza alcun momento memorabile e con delle sottolineature musicali in alcuni punti invadenti. Gli interpreti avrebbero potuto dare un contributo più sostanziale, ma non riescono sempre a catturare la nostra attenzione; Manuela Martelli, però, trova un modo molto personale per restituirci l'inquietudine di Bianca, l'impossibilità a districarsi in una situazione paludosa e nonostante il ruolo sia molto complesso rivela una grazia delicata, supportata in questo da una fotografia molto livida che riserva tutta la luce per i suoi primi piani e dalla sensuale sinergia col suo partner artistico, Rutger Hauer.

Movieplayer.it

2.0/5