Recensione Crazy Horse (2011)

L'opera di un maestro come Wiseman è l'affascinante ritratto di un mondo meno "crazy" di quello che si possa supporre, ma patisce la mancanza di un vero e proprio fulcro narrativo, un filo rosso forte in grado di mantenere compatta la narrazione.

L'oscuro oggetto del desiderio

L'entrata del Crazy Horse, nella centralissima Avenuve George V a Parigi, sembra non avere nulla di particolare; ma varcando le porte di questo storico tempio dell'erotismo chic si entra in un mondo di desideri e lascivia che per anni ha solleticato le fantasie dei numerosi avventori. Con Crazy Horse lo storico documentarista americano Frederick Wiseman racconta senza troppi orpelli questo microcosmo abitato da donne bellissime, lasciando che a "parlare" siano i loro corpi perfetti. Dopo aver dedicato la sua attenzione alle ballerine dell'Opera nel suo ultimo documentario La danse, il regista statunitense mantiene la stessa città, spostandosi di quel tanto da entrare quasi in un altro universo. Abbandonati i tutù, in favore di guepiere succinte, l'autore di Boston ha trascorso dieci giorni nel celeberrimo club parigino fondato nel 1951 da Alain Bernardin, ritrovo prediletto degli amanti della vita notturna della Ville Lumière, per raccontare il dietro le quinte di un show nuovo di zecca allestito da Philippe Decouflé; quadri, curati in ogni minimo dettaglio, che nelle intenzioni del noto coreografo francese avrebbero dovuto rinnovare le atmosfere dei singoli spettacoli, pur mantenendo intatto lo spirito che Monsieur Bernardin, sostenitore di un'erotismo esplicito, legato più alla suggestione che alla pornografia, ha voluto infondere alla sua creatura.

Per circa due ore assistiamo con partecipazione trattenuta alle evoluzioni di questo gruppo di sinuose ballerine e alle elucubrazioni dell'entourage che dirige il famoso locale; Wiseman non documenta il singolo evento, ma lascia che le emozioni fluiscano libere dal movimento di queste femmine conturbanti, spingendo lo spettatore ad andare oltre gli stereotipi riguardanti un lavoro che certamente non potrà mai essere come tutti gli altri. Il regista cela e protegge le vere identità delle sue protagoniste, delle cui vite, nonostante siano messe quotidianamente a nudo, non sappiamo assolutamente nulla.
Eteree e carnali al tempo stesso mantengono una certa distanza dal pubblico e da chi guarda, rimanendo oggetto di un desiderio che solo in alcuni momenti diventa volgare. Nel complesso l'opera appare come un affascinante ritratto di un mondo meno "crazy" di quello che si possa supporre, in cui si marcia spediti con la veemenza dei soldati; con un misto di incredulità e sconcerto il coreografo addita le ragazze di eccessiva pudicizia, viste le abbondanti lacrime versate dopo un numero un po' troppo osè. Se il tono è quello giusto, grazie all'inconfondibile tocco di un maestro del cinema del reale, non si può dire lo stesso per la resa finale. Crazy Horse patisce la mancanza di un vero e proprio fulcro narrativo, un filo rosso forte in grado di mantenere compatta la narrazione. Il racconto invece va avanti per salti, illuminato da performance a volte kitsch, senza una vera continuità, con un ritmo che non si adatta al documentario.

Movieplayer.it

3.0/5