Recensione Borgman (2013)

Alex van Warmerdam costruisce un thriller sui generis che ha i suoi punti di forza in un umorismo nerissimo e su un'ambiguità di fondo che accompagna lo spettatore anche dopo il termine della pellicola.

Il diavolo probabilmente

Un uomo con un cane da caccia, un prete armato di fucile ed un altro con un bastone appuntito partono nei boschi alla ricerca di non si sa quale misterioso avversario. Trovano una botola nel terreno e tentano di entrare con la forza, ma l'uomo che si nasconde sottoterra riesce a fuggire tramite un cunicolo segreto verso la città, ma non prima di aver avvisato altri due compagni, anch'essi celati in nascondigli simili.
Arrivato ad una abitazione di periferia, quest'uomo dall'aspetto di un barbone e che dice di chiamarsi Anton, bussa alla porta e chiede di poter fare un bagno. Mandato via malamente dal proprietario della casa, Anton insiste dicendo di conoscere sua moglie, Marina; quando anche questa arriva e nega nel modo più assoluto questa conoscenza, l'uomo viene picchiato selvaggiamente ottenendo così quello che probabilmente voleva ottenere: la compassione della donna, che a quel punto gli offre, di nascosto al bellicoso marito, un posto dove dormire e poter guarire le ferire, a patto, però, che Anton resti nascosto nel capannone in giardino e non si faccia vedere da nessuno. Un patto che Anton non ha alcuna intenzione di mantenere, anzi incomincia ben presto a fare visita ai tre bambini della coppia e da quel momento le cose non possono che prendere una piega inquietante...

Ha un incipit davvero travolgente questo Borgman, un progetto che in superficie potrebbe ricordare un po' il Funny Games di Michael Haneke ma che in realtà ha un tono molto diverso, visto che fin da subito vira su un umorismo nerissimo e su un'ambiguità di fondo che accompagna lo spettatore anche dopo il termine della pellicola. Chi è Anton? Chi sono gli uomini e le donne che ben presto si aggiungeranno a lui e lo aiuteranno nella sua "missione"? Che ruolo hanno coloro che nell'incipit sembravano cacciarli? Nel film non esistono queste risposte, e forse, chissà, nemmeno nella testa del regista; ma il punto è che anche inutile cercarle perché lo scopo è proprio quello di rappresentare il Male nella sua manifestazione più pura, quella caotica e apparentemente insensata che è tipica delle violenze più brutali e sconvolgenti.
Ma il male sa anche essere affascinante e spesso travolgente, è forse per questo che nessuno sembra saper resistere al magnetismo di Anton (l'ottimo Jan Bijvoet) e dei suoi compari (uno dei quali interpretato dallo stesso regista), e che anche noi spettatori veniamo attratti dalle azioni nefaste ma anche terribilmente divertenti di questo satanico e misterioso gruppo di individui.
Il regista Alex van Warmerdam - per la prima volta in concorso a Cannes, dove d'altronde un film olandese in corsa per la Palma d'oro mancava da quasi quarant'anni - sa giocare bene con le aspettative degli spettatori, ribalta gli schemi e costruisce un thriller sui generis, nel cui finale quasi nessun nodo viene al pettine e le domande sono persino superiori rispetto ad inizio film.

Movieplayer.it

3.0/5