Recensione Blackthorn (2011)

Un Butch Cassidy redivivo è il protagonista di questo western atipico di Mateo Gil, che anche nel ruolo del regista conferma la sua attenzione al personaggio, al suo mondo interiore e alla sua natura più vera.

Butch Cassidy e il western, redivivi

Ci sono figure che, nonostante il tempo, rimangono ammantate di leggenda. Anche se magari non erano proprio degli eroi, e anzi si guadagnavano da vivere rapinando banche. Ma poche persone hanno incarnato il fascino del fuorilegge come Butch Cassidy, ed è quindi difficile rassegnarsi all'idea che sia effettivamente morto in una sparatoria con la polizia boliviana nel 1908. Tra coloro che non credono ad una fine così banale c'è anche Mateo Gil, talentuoso autore già apprezzato dalla platea internazionale per la sceneggiatura di Agorà e Apri gli occhi e qui alla sua prima esperienza come regista, da cui trasuda un amore incondizionato per il cinema western, per i suoi temi, per la sua iconografia.

Il Butch Cassidy da lui riportato in vita vive ancora in Bolivia, alla fine degli anni Venti del secolo scorso, ma si appresta a ritornare negli Stati Uniti per incontrare Ryan, figlio di Etta, la compagna di avventure sua e dell'inseparabile amico Sundance Kid ai tempi d'oro, e per ricongiungersi con un passato decisamente indimenticabile. Sulla strada, che percorre forse anche con un po' di rimpianto, perché significa allontanarsi dall'affetto della giovane Yana, si scontrerà con Eduardo, ingegnere spagnolo che, dopo avergli teso un'imboscata, si ritroverà però dalla parte del prigioniero. Rimasto senza cavalcatura e senza fondi, Blackthorn (questo lo pseudonimo usato da Cassidy nel suo esilio forzato, ma diventato negli anni anche volontario) si troverà a dover stringere un'alleanza con Eduardo, in fuga da giorni dopo aver rapinato la miniera in cui lavorava. Metà del bottino a testa, e poi ognuno per la sua strada: sembra un patto semplice da rispettare, ma durante la strada i due uomini, anche grazie all'insospettabile riapparizione di una vecchia conoscenza, scopriranno che di banale, in quello che rappresentano l'uno per l'altro, c'è proprio poco.
Ancora una volta, Mateo Gil si dimostra abilissimo nel veicolare sentimenti ed emozioni senza eccedere in parole: molto si deve anche alla straordinaria interpretazione di Sam Shepard, che incarna un Butch Cassidy invecchiato ma anche maturato, indebolito nel fisico ma non nella tempra, e che assume i contorni quasi di un personaggio da fiaba, travalicando i pur affascinanti confini del bandito per assumere quelli del giustiziere, di un uomo con una morale precisa e inamovibile, da non confondere con chi ruba per semplice avidità o per dimostrare di essere più furbo o più abile della legge. Il suo sguardo laconico, l'atteggiamento irreprensibile ma non privo di generosità, e persino di ironia, ci testimoniano un cammino interiore di cui i primi accenni si notavano già nel Butch giovane e ancora in attività, per cui Gil ritaglia alcuni flashback, utili a svelarne alcuni tratti salienti, come l'intelligenza multiforme ma anche la ricchezza interiore. Per quanto interessanti e ben strutturati già così, offrendosi come contrappunto al presente di Blackthorn, e diventando un flusso di coscienza a cui il protagonista si abbandona quasi per trovare ispirazione in se stesso, questi frammenti nel passato avrebbero forse meritato un ulteriore approfondimento, specie per quanto riguarda il rapporto con Etta, la donna amata da Butch e Kid e del cui rapporto con entrambi ben poco si viene a scoprire. Il lavoro sui personaggi rimane comunque uno dei maggiori pregi del film: non soltanto Blackthorn, ma anche Eduardo (interpretato da un Eduardo Noriega decisamente a suo agio in questo ruolo ambiguo e sfuggente) e l'ex sceriffo Mackinley (un tragico e intenso Stephen Rea) sono protagonisti di grande profondità, autentici e dall'innegabile spessore emotivo. Molto ben orchestrato è anche il rapporto con il paesaggio: Gil riesce ad esaltare la peculiarità della natura boliviana, le sue foreste impenetrabili e le sue notti impietosamente gelide, e insieme a piegarla all'estetica propria del western, regalandoci sequenze visivamente molto potenti, prima fra tutte quella ambientata nelle distese di sale, in cui il confronto tra uomo e natura, tra volontà e arrendevolezza, è espresso con spettacolare intensità.

Anche dietro la macchina da presa, Gil mantiene lo stesso sguardo indagatore, la stessa volontà di ricercare il bandolo della matassa dell'essere umani che ce lo aveva fatto apprezzare come sceneggiatore. Coadiuvato da un ottimo cast e da un'ambientazione che riesce a sfruttare al meglio, e dimostrando una rispettosa padronanza di un genere che ci ha regalato molti dei capolavori della storia del cinema, l'autore spagnolo si conferma una delle personalità da tenere d'occhio nel prossimo futuro.

Movieplayer.it

3.0/5