Recensione L'ultima missione (2008)

A sei anni di distanza da 'Gangsters' e a quattro da '36 Quai des Orfevres', Olivier Marchal chiude la sua trilogia poliziesca sulle nefandezze di una realtà istituzionale che spesso non conosce moralità né lealtà. Protagonista uno straordinario Daniel Auteuil.

Profondo noir

Se 36 Quai des Orfèvres combinava con stile impeccabile le dinamiche introspettive dei classici polar francesi (un incrocio tra poliziesco e noir) con quelle dei thriller d'azione moderni, L'ultima missione è un film decisamente più classico e riflessivo, tutto incentrato sulla figura degradata dell'anti-eroe protagonista, un detective della squadra omicidi di Marsiglia che da anni cerca di superare senza successo il dramma familiare che gli ha portato via la figlia e la moglie. Louis Schneider è un uomo allo sbando consumato dal dolore: vive in un motel a dir poco deprimente, non fa che mandar giù litri di alcolici e, a causa di questa sua incapacità di reagire, sta mandando a rotoli anche la sua brillante carriera di poliziotto. Spogliato della pistola e spostato all'ufficio denunce per comportamento non regolamentare, Louis viene anche allontanato dal caso che seguiva insieme al suo collega e che riguardava una serie di efferati omicidi commessi da quello che lui sospetta essere un serial killer. Come Louis anche Justine non riesce a superare il trauma della perdita dei suoi genitori, barbaramente uccisi tanti anni prima sotto i suoi occhi innocenti di bambina. Ora che l'autore di quella barbarie sta per uscire di galera, nonostante la sua riconosciuta pericolosità e la condanna all'ergastolo, la ragazza si sente in pericolo e prova a rivolgersi proprio a Louis, tra i primi ad arrivare sulla scena dell'omicidio quella tragica sera in cui perse per sempre le persone a lei più care. Mentre cercherà di seguire per conto suo le tracce dell'assassino che terrorizza la città e di rassicurare la ragazza, Louis si scontrerà più volte con la spessa coltre di corruzione che ricopre la polizia marsigliese, ad ogni livello e carica. E l'epilogo non potrà che essere tragico.

Sullo sfondo di questa triste storia gli orrorifici sobborghi industriali di Marsiglia, quelli in cui vaga in lungo e in largo uno straordinario Daniel Auteuil in cerca di giustizia e vendetta. Tutt'intorno il buio più pesto, quello dell'anima.
L'ultima missione di Olivier Marchal (il cui titolo originale, MR 73, rievoca un modello di pistola usato dalla polizia francese negli anni '70) racconta un mondo senza speranza fatto di vite spezzate, di serial killer che non conoscono rimorso, di poliziotti privi di senso del dovere, di donne forti e disilluse che hanno smesso di avere fiducia negli uomini e nell'amore. La tragedia è davanti ai nostri occhi sin dalla primissima inquadratura, quella che scruta gli occhi del protagonista mentre si lascia andare ad una riflessione che risuona nell'aria come una minaccia: "Dio mi ha tradito e un giorno lo ucciderò".

Non c'è salvezza, non c'è pentimento e neanche giustizia nel mondo raccontato da Olivier Marchal, e non c'è nemmeno un Dio "perché se ci fosse si dovrebbe vergognare per quel che accade in giro per il mondo ogni giorno". Prolisso nelle immagini e nella caratterizzazione dei personaggi, il film riesce a non pesare più di tanto sullo spettatore grazie a dialoghi perentori e incalzanti, ad interminabili silenzi, agli invadenti primi piani con cui Marchal indugia a lungo sui volti scavati dalla disperazione. Poi di nuovo il buio, dilagante e ostile, capace di sommergere tutto e tutti e di farsi da parte solo a sprazzi, quando la verità fa capolino in mezzo a un mare di menzogne e un fascio di luce abbagliante porta il sollievo dopo un'interminabile agonia visiva. Marchal concentra in un solo personaggio e in una sola intricatissima storia tutte le infamie, le nefandezze e le ingiustizie che in dodici anni ha visto scorrere davanti ai suoi occhi di poliziotto. Per questo a volte si ha la sensazione di un netto sbilanciamento tra l'analisi psicologica e l'intreccio narrativo dei personaggi, e che tutto sia ai limiti del surreale. A farne le spese sicuramente l'azione, che aveva invece contraddistinto i due film precedenti, e tutte quelle dinamiche ad orologeria che rappresentano la quintessenza di un genere come il noir poliziesco.

Ma nel giudicare un'opera così evidentemente nichilista non possiamo non considerare che essa racchiude un pezzo di vita vissuta del suo regista ed è frutto di avvenimenti realmente accaduti; per questo non ce la sentiamo di biasimare Marchal per non essere riuscito ad osservare e a concepire questo suo appassionato racconto con occhi del tutto imparziali.
Citazioni e omaggi (letterari e cinefili) trasudano da ogni inquadratura, per questo L'ultima missione rappresenta un must imperdibile per gli amanti del genere. Sconsigliato, invece, a chi è debole di stomaco e si impressiona facilmente.

Movieplayer.it

3.0/5